Emergenza Covid-19: pensieri, parole e dubbi dalla Lombardia

Lettera di un ingegnere che vive in Lombardia al tempo del Covid-19

di Mauro Moroni - 21/03/2020

Anche questa mattina, alle 8:30 circa, come quasi ogni mattina da molti anni a questa parte mi siedo alla scrivania e accendo il Mac. Devo rivedere un documento per una riunione alle 10:00 e mi serve un po' di tempo per affinarlo. Sarebbe tutto normale, se non fosse che la scrivania alla quale sono seduto è quella di una bella casa sul lago di Como dove dall'8 marzo mi sono autorecluso con la mia famiglia, che il documento si trova sul server del mio ufficio di Milano e che la riunione sarà una videoconferenza gestita con un software ad hoc.

Eravamo qui, il weekend del 7/8 marzo, come ci capita spesso, io e mia moglie. Le notizie che si sono susseguite la domenica mi hanno indotto a insistere per convincere i figli a caricare la loro auto con i computer, i libri dell'università, un po' di effetti personali e raggiungerci. Ho dovuto alzare la voce, ma mi è sembrato da subito che la situazione che si stava prospettando potesse essere quel che si è rivelata.

Sarà per gli studi in ingegneria e una certa dimestichezza con la matematica e i modelli di propagazione? Probabilmente sì. Chissà

E così, da ormai 11 giorni, siamo confinati e fortunati perché la casa ha un grande giardino e la proprietà è isolata. Poche uscite, ogni tre-quattro giorni, per fare un po' di spesa in alcuni negozi vicini, lavoro, lezioni online per i due universitari, mia moglie che è diventata una brava docente a distanza per i suoi studenti delle superiori. Il mio lavoro da ingegnere che procede in modo fondamentalmente uguale a prima.

Poi un po' di attività fisica in giardino, lettura di libri e giornali on line, cucina, tv. Sembra figo.

Ma fuori – dice la tv – le cose non vanno tanto bene. Devo dire che, in questi giorni, la mia esperienza del fuori è di un deserto assoluto, ma pare che a Milano qualcuno non riesca ancora a capire che la situazione è tosta. Qui a Lecco, forse sono più intelligenti. Chissà.

È inevitabile riflettere sulla situazione, su cosa significhi in termini prospettici, su come le scelte fatte in passato sia a livello individuale sia a livello nazionale influenzino in modo determinante la qualità (e la possibilità) di vita odierna e futura. Le decisioni che prenderò oggi che effetto avranno fra dieci anni? Chissà.

Esempio individuale: la tecnologia digitale mi ha sempre affascinato; ho un indirizzo di posta elettronica dal 1990, e ho sempre voluto avere buone connessioni. Qui, al lago, non ce ne sarebbe stata nessuna necessità reale, ma mi piaceva e ora la nostra rete a 100Mb/sec ci permette di vivere in modo confortevole.

Esempio nazionale: la scelta italiana di avere un sistema sanitario nazionale universale e gratuito è sempre stata oggetto di stupore e spesso di critica nei vari paesi del mondo occidentale in cui mi sono trovato a viaggiare e discutere. Ma, hic et nunc, questa scelta – con tutti i suoi limiti e i suoi costi e le sue inefficienze – sta facendo la differenza, sta salvando una popolazione fortemente sotto attacco. Qui è Lombardia, qui il sistema funziona, qui – con storture e passaggi a volte discutibili – un sistema sanitario efficiente c'è e cura la gente. Tutta la gente, i ricchi e i poveri. Mai come ora mi è stato così chiaro che il diritto alla salute non può essere dipendente dal censo, dalla capacità individuale di sottoscrivere polizze sanitarie onerose. Il diritto alla salute è universale e con un virus che si diffonde per via aerea solo un sistema universale può garantire la necessaria copertura.

Ecco. Mai come oggi – io che sono fondamentalmente anarchico – mi rendo conto che una collettività numerosa e complessa non può fare a meno di uno Stato forte e autorevole, con capacità progettuale di lungo termine e con capacità organizzativa immediata. Uno Stato che preveda e prevenga oggi quel che può succedere fra dieci, trenta, cinquant'anni.

Un'altra riflessione è quella sulla capacità che l'ingegneria ha avuto di accorciare le distanze: infrastrutture stradali e aeroportuali, ottimizzazione dei mezzi di trasporto, efficienza degli stessi, modelli gestionali evoluti e amenità varie ci hanno permesso di raggiungere ogni angolo del globo. Non c'è quasi punto del pianeta che non possa essere raggiunto in 24 ore e non c'è punto con presenza stabile di esseri umani che – per quanto sperduto – non possa essere raggiunto in 72 ore. Non c'è luogo al mondo dove, data la rapidità con cui lo possiamo raggiungere, non ci possiamo sentire a casa.

Ma ora facciamo fatica a sentirci a casa proprio a casa nostra.

Certamente nella facilità e rapidità di spostamento c'è la chiave della diffusione rapida del contagio, ma sono sicuro che in questa realtà, che non possiamo non chiamare "globalizzazione", ci sia la possibilità stessa della soluzione. Oggi equipe di ricercatori di ogni paese stanno lavorando – congiuntamente – alla ricerca di una soluzione e certamente la sua scoperta sarà accelerata dalle stesse ragioni che la rendono necessaria.

Che strana vicenda. Chissà cosa impareremo. Chissà se impareremo qualcosa

Chissà come ne usciremo, se cambiati oppure no. Chissà se smetteremo di baciarci due volte sulle guance (gli svizzeri addirittura tre) ogni volta che ci salutiamo. Chissà se avremo un maggior senso del bene comune e un maggior rispetto della politica e delle istituzioni. Degli altri. Dell'altro

Chissà.

A cura di Ing. Mauro Moroni

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