Equo compenso: Per il Tar Marche bandi illegittimi se non rispettano i parametri

Il TAR Marche con la Sentenza n. 761 del 9 dicembre 2019 ha accolto il ricorso degli Ordini dei commercialisti di Ancona e Pesaro e Urbino contro la Provinci...

12/12/2019

Il TAR Marche con la Sentenza n. 761 del 9 dicembre 2019 ha accolto il ricorso degli Ordini dei commercialisti di Ancona e Pesaro e Urbino contro la Provincia di Macerata che, nell'ottobre del 2018, aveva pubblicato un annuncio per l'acquisizione di candidature ai fini della nomina dell'organismo di controllo (Sindaco unico) di una società in house, per un compenso annuo pari a 2.000 euro oltre Iva e Cpa.

Si tratta di un importante sentenza per il fatto che la stessa trae i seguenti principi:

  • le pubbliche amministrazioni, nell’affidamento dei servizi di opera professionale (qual è quello in questione), sono tenute a corrispondere un compenso congruo ed equo, ovvero proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione;
  • al fine di accertare l’equità del compenso, occorre far riferimento ai parametri stabiliti dai singoli decreti ministeriali per ciascuna categoria di professionisti;
  • detti parametri non possono essere considerati alla stregua di minimi tariffari inderogabili (pena la surrettizia introduzione di tariffe obbligatorie fisse o minime per le attività professionali e intellettuali, abolite dal cosiddetto “decreto Bersani”), ma costituiscono un criterio orientativo per la determinazione del compenso; in altri termini, non è esclusa, in via di principio, la possibilità che le parti pattuiscano liberamente il compenso anche in deroga ai parametri di liquidazione indicati nei citati decreti ministeriali (in particolare, art. 1, comma 7, del DM n. 140 del 2012);
  • tanto è confermato dalla stessa Corte di Cassazione con le pronunce richiamate dai ricorrenti (Cass. Civ., sez. II, 17 gennaio 2018, n. 1018 e 31 agosto 2018, n. 21487); in particolare, nella prima delle citate pronunce si legge testualmente: “… il D.M. n. 140, risulta essere stato emanato (D.L. n. 1 del 2012, conv. nella L. n. 27 del 2012) allo scopo di favorire la liberalizzazione della concorrenza e del mercato, adempiendo alle indicazioni della UE, a tal fine rimuovendo i limiti massimi e minimi, così da lasciare le parti contraenti (nella specie, l'avvocato e il suo assistito) libere di pattuire il compenso per l'incarico professionale; per contro, il giudice resta tenuto ad effettuare la liquidazione giudiziale nel rispetto dei parametri previsti dal D.M. n. 55, il quale non prevale sul D.M. n. 140, per ragioni di mera successione temporale, bensì nel rispetto del principio di specialità, poiché, diversamente da quanto affermato dall'Amministrazione resistente, non è il D.M. n. 140 - evidentemente generalista e rivolto a regolare la materia dei compensi tra professionista e cliente (ed infatti, l'intervento del giudice ivi preso in considerazione riguarda il caso in cui fra le parti non fosse stato preventivamente stabilito il compenso o fosse successivamente insorto conflitto) - a prevalere, ma il D.M. n. 55, il quale detta i criteri ai quali il giudice si deve attenere nel regolare le spese di causa …”;
  • tuttavia, quando il cliente è un contraente forte - ovvero, come nella specie, la pubblica amministrazione - la pattuizione del compenso professionale incontra il limite del rispetto del principio dell’equo compenso (inteso, si ribadisce, come proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, nonché al contenuto e alle caratteristiche della prestazione), che va armonizzato con le esigenze di riequilibrio finanziario e non recedere rispetto ad esse (TAR Campania Napoli, sez. I, ordinanza n. 1541 del 25 ottobre 2018).

Nel ricorso, recita una nota, "si sosteneva che il compenso predeterminato in maniera fissa e unilaterale dalla Provincia, violasse il minimo tariffario che, se determinato tenendo conto sia della parte riferibile all'incarico di revisore dei conti che a di quella riferibile all'incarico di sindaco di società, avrebbe dovuto ammontare ad oltre 7.000 euro. Gli Ordini ricorrenti avevano sottolineato anche la violazione della disciplina dell'equo compenso dei professionisti autonomi, introdotta da una legge del 2017, che individua tra i "contraenti forti" anche la Pa".

Qui di seguito il commento alla sentenza del TAR Marche  del presidente del Consiglio nazionale dei commercialisti, Massimo Miani "Siamo di fronte ad una sentenza estremamente importante, che ci auguriamo possa essere da sprone per una rapida e piena approvazione dell'equo compenso per i professionisti italiani, colmando il vuoto apertosi anni fa con la dannosa eliminazione delle tariffe minime".
 Per il consigliere nazionale delegato ai compensi e agli onorari professionali, il marchigiano Giorgio Luchetta, "va reso merito agli Ordini territoriali di Ancona, Pesaro e Urbino che con la loro determinazione hanno raggiunto un risultato che ci auguriamo possa avere ora effetti positivi sul piano nazionale. Il nostro obiettivo è rendere maggiormente coerenti e congrui i parametri per remunerare le attività dei commercialisti".

                                                         A cura di Redazione LavoriPubblici.it

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