Onorario architetti e ingegneri: l'onore e il rispetto

Fino al 2006 a nessuno era permesso di svilire il ruolo, la dignità e l'onorabilità anche economica del lavoro intellettuale

di Giuseppe Scannella - 23/01/2020

La Corte di Cassazione, con la sentenza 451 del gennaio 2020, riporta l'attenzione sulle modalità retributive del lavoro di ingegneri e architetti. Lo fa, con riferimento alla Legge n. 143/1949 (cassata dal Decreto Bersani poi ribadito e ampliato negli effetti dalla Legge Monti), ribadendo che se ad un architetto o ingegnere viene revocato l'incarico professionale, in corso di esecuzione e non per sua responsabilità, a questi spetta, oltre all'onorario, una maggiorazione pari al 25% dello stesso, indipendentemente dalla causa relativa al mancato completamento dell'incarico. E' da notare che non si tratta di un semplice pronunciamento su una singola causa, bensì di una enunciazione in “principio di diritto”, quindi valido sempre e a cui i giudici di merito devono attenersi.

La notizia, che ha aperto più di un cuore, va però inquadrata nel suo ambito di riferimento e cioè quello di prestazioni effettuate in vigenza della Legge n. 143/1949, anche se la decisione arriva - tardiva come solito per il sistema giudiziario italiano - solo ora. Quindi è una magra consolazione per i professionisti non direttamente interessati? Non proprio; perché, anche se tardivamente, si è segnato un punto, spesso controverso in passato, che sancisce ora e per sempre - nella fattispecie della vigenza della Legge n. 143/49 - di quello che lo Stato di allora riconosceva quale diritto (oggi lo definiremmo giusto compenso e risarcimento per il mancato utile) del professionista ad essere con giustizia ricompensato, rendendo peraltro il committente responsabile delle sue azioni senza conferirgli un diritto a disporre a suo piacimento delle energie intellettuali ed economiche del professionista. Si applicherà ancora questo principio di diritto, perché ancora cause della stessa fattispecie è ragionevole ritenere siano aperte.

Ora tutto sta a vedere se “il principio di diritto”, in quanto tale, può essere trasportato alle regole oggi vigenti e qui l'azione di Ordini, Sindacati e Associazioni di categoria dovrebbe essere incisiva.

Quello che a me più interessa però è rilevare come, almeno fino al 2006, le prestazioni professionali godessero nella legislazione italiana applicata per 57 anni, di una considerazione e di una dignità che, in nome della concorrenza e del mercato, è stata letteralmente buttata ai porci (i risultati globali del comparto economico relativo ne sono testimonianza). Forse c'era qualche rigidezza poco adatta ai tempi cambiati e alle diverse modalità di esercizio professionale che nel frattempo si sono prefigurate ma, e ora la Suprema Corte lo scolpisce sulla roccia, a nessuno era permesso di svilire il ruolo, la dignità e l'onorabilità anche economica del lavoro intellettuale.

C'era onore, c'era rispetto! Oggi i tempi sono cambiati, delle parole non resta più nulla perché neanche onorari possiamo definire i nostri compensi, si chiamano “corrispettivi” e in questo modificare anche le parole il legislatore italiano ha dimostrato la sua ignoranza, o la sua pervicace malafede (viste le passate e recenti notizie dall'Europa), perché il termine onorario, perciò stesso non discutibile e fissato dallo Stato, deriva da honorarium - compenso a titolo di onore- termine latino che afferiva agli “onori” non solo economici che i nostri avi, dai romani in poi, hanno sempre attribuito ai lavoratori della conoscenza.

A cura di Arch. Giuseppe Scannella

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