Strutture, impianti ed opere speciali quale effettivo sinonimo di qualità?

In una tavola rotonda all'interno dell'evento di Ecomondo a Rimini mi è stato richiesto di intervenire su un'esigenza rappresentata,in particolare, dagli ope...

14/11/2013
In una tavola rotonda all'interno dell'evento di Ecomondo a Rimini mi è stato richiesto di intervenire su un'esigenza rappresentata,in particolare, dagli operatori che si occupano di depurazione. Questi, infatti, operando nell'ambito delle opere ed investimenti pubblici per il tramite della categoria OS22 (che, come noto, si riferisce alla costruzione, manutenzione e ristrutturazione sia di impianti di potabilizzazione delle acque che di depurazione di quelle reflue) ritengono di non avere una legittima e distinta connotazione.

A tale rivendicazione se ne accosta un'altra rappresentata dai Ministeri competenti di garantire che le opere eseguite rappresentino lo stato dell'arte delle tecniche di settore con il raggiungimento dei migliori risultati.

Come in tante problematiche che caratterizzano il mondo complesso degli appalti pubblici, le esigenze prospettate risultano legittime e condivisibili, tuttavia la soluzione al problema non è, nei fatti, di facile attuazione.

Voglio precisare da subito, ed evitare fraintendimenti, che a mio parere il risultato atteso non è certamente conseguibile pensando di individuare ulteriori categorie di opere specializzate da inserire all'interno dell'allegato A al DPR n.207/2010. E questo non solo con riferimento all'autorevole parere n. 3014 del 26 giugno 2013 espresso dal Consiglio di Stato sul ricorso straordinario al capo dello Stato promosso dall'AGI né dei principi sottesi dalle Direttive Comunitarie al riguardo.

Come ha ben sottolineato e censurato il massimo consesso amministrativo, il nostro regolamento di cui al DPR n. 207/2010 prevede su ben 52 categorie ben 46 a qualificazione obbligatoria e ben 24 di super specializzate andando di fatto ad irrigidire le procedure di partecipazione agli appalti ben oltre gli intenti del legislatore comunitario.

Non voglio e non ritengo utile addentrarmi nelle polemiche tra le diverse ottiche (ed interessi) di 10 grandi imprese da un lato o delle oltre 17.000 imprese specialistiche dall'altro. Aggiungo, per chiarezza, che chi scrive non è del parere che grande impresa significhi di fatto grandi competenze, dando atto viceversa dell'importanza delle piccole e medie imprese specializzate che con il loro Know How incidono significativamente sul processo realizzativo e caratterizzano di fatto il tessuto produttivo italiano (non omogeneo a quelli di altri contesti europei).

Sono, tuttavia, convinto, e anche l'incontro di Rimini me ne ha dato piena conferma, che il risultato atteso può e deve essere ottenuto con un definitivo salto culturale di tutti i soggetti interessati nella realizzazione di una commessa pubblica.

In tale prospettiva non può che aderirsi a quanto affermato a valle del parere del Consiglio di Stato, dall'Autorità LLPP nel proprio atto di segnalazione n. 3 del 25 settembre 2013 che sul tema precisa: "a prescindere dalla soluzione adottata, l'Autorità ritiene che sia, in ogni caso necessario, salvaguardare il principio che permea tutto il sistema della contrattualistica pubblica, secondo cui chi esegue le prestazioni oggetto di affidamento deve essere adeguatamente specializzato in tale attività".

In termini più generali detta specializzazione deve investire l'intero processo da quello ideativo- progettuale a quello esecutivo a quello del controllo, dovendosi pretendere non solo al mondo delle imprese ma anche alle stazioni appaltanti ed ai professionisti una maggiore e decisa specializzazione e competenza.

D'altra parte questa esigenza era già ben evidente all'impianto della legge "Legge Merloni", nel lontano 1994, in cui si proclamava con enfasi la centralità di una progettazione di qualità.
Chi scrive si occupa di gestione del claim e può serenamente affermare che le conseguenze negative in termini temporali, economici e qualitativi di un intervento nascono o sono sempre collegate a carenze progettuali.

Anche qui una necessaria precisazione: per progetto intendo tutti gli adempimenti e documenti connessi al progetto in senso stretto riferendomi anche ai pareri e alle classi e categorie individuate nel bando di gara.

Non è certo individuando una ulteriore categoria che potremmo pensare si superare un'errata individuazione negli atti di gara; si è fatto l'esempio di un'unica categoria di appalto es. la OG1 perché prevalente in termini economici ed assorbente erroneamente la OS 22 con le proprie peculiarità.

Il risultato di tale erronea scelta sarebbe:
  1. far partecipare alla gara soggetti di fatto non in possesso delle necessarie competenze;
  2. rendere impossibile, stante il vincolo della percentuale massima subappaltabile, di affidare le opere a soggetti effettivamente competenti.

Non sono certamente la persona più autorevole per censurare il sistema di qualificazione esistente in Italia, che comunque ha degli indubbi vantaggi in termini di oggettività, ma certamente l'impostazione attuale del sistema italiano non premia chi veramente sa fare ma chi ha le iscrizioni formali per fare.

Ne consegue che chi opera nel sistema ed in primis le stazioni appaltanti ed i progettisti debbono comprendere queste peculiarità e non trascurare ogni aspetto della progettazione ivi compresa l'esatta e funzionale individuazione delle classi e categorie di appalto, attività questi sottovalutate se ben espressamente contemplate nell'ambito della progettazione esecutiva.

Al riguardo vale la pena di ricordare che il comma 7 dell'art. 32 del DPR n. 207/2010 riferito al livello di progettazione definitivo prevede che le varie voci di computo vadano raggruppate per categorie allo scopo di individuare:
- la categoria prevalente;
- le categorie scorporabili di importo superiore al 10% oppure a 150.000 €;
- nell'ambito delle categorie suddette quelle di cui all'art 77 comma 11 ovvero quelle specializzate con al relativa percentuale.

Tale classificazione, al di là del parere del Consiglio di Stato, permette, con una buona visione del contesto normativo riguardante la qualificazione e l'esecuzione di individuare con efficacia le categorie di appalto.

Non sono certamente polemico nell'affermare che la classificazione suddetta e la sensibilità al problema è del tutto estranea a gran parte delle stazioni appaltanti e dei progettisti e ciò ribadisco, indipendentemente dal problema di imporre o meno un ATI in fase di gara.

La strada è quindi obbligata e segnata da tempo: qualità effettiva del processo progettuale e realizzativo. In tale prospettiva appaiono controproducenti, seppur comprendendo le pressanti e sottese esigenze di carattere economico, gli approcci frammentari e privi di visione unitaria del Legislatore miranti a:
1) penalizzare la quantificazione delle competenze professionali ; pur prendendo atto del venir meno dei minimi tariffari inderogabili (CFR D.L. 24.01.2012 convertito dalla Legge n. 27 del 24 marzo 2012) è evidente come l'attuale quantificazione del costo della progettazione da porre a base di gara sulla base delle risultanze storiche appaia sottostimata.
Tale erronea quantificazione, contribuisce a determinare, sin dall'origine, un decadimento dei soggetti partecipanti alle procedure di affidamento.

2) limitare al 20% dell'importo contrattuale le riserve formulate dagli esecutori così come previsto dal comma 1 dell'art.240 bis del Codice; tale irrituale norma infatti spinge, in attesa di pronunciamenti al riguardo, gli operatori verso soluzioni per così dire "originali".
La riserva, è bene chiarire, non è un male né una patologia ma l'unico legittimo strumento in capo all'esecutore per ristabilire il corretto rapporto contrattuale nel rispetto delle parti e della Legge.

3) legittimare nella posizione di RUP soggetti di non adeguata professionalità; l'Autorità (si veda deliberazione n.10 del 23 febbraio 2001) partendo dal dato oggettivo delle carenze di organico di molte stazione appaltanti, soprattutto di piccole dimensioni, ha riconosciuto la possibilità di svolgimento delle funzioni di RUP a soggetti non adeguati anche di formazione non tecnica (nel presupposto che gli stessi possano avvalersi del supporto interno ed esterno). E' facile constatare in molte realtà italiane si assiste allo svolgimento di tale ruolo cruciale da parte di soggetti non adeguati con le evidenti conseguenze sull'intero processo.

Ebbene se in Italia esistono ben 35.000 stazioni appaltanti (dato Unionsoa) non è pensabile di poter formare almeno 35.000 RUP dotati delle necessarie competenze! Sarebbe molto più logico, prevedere l'accentramento delle funzioni di RUP in strutture uniche su base regionale (magari nell'ambito delle attività di istituzione della stazione unica appaltante anche recuperando il personale proveniente dalle province) altamente specializzate con personale adeguatamente formato.

Mi scuso per la genericità di alcuni riferimenti legati ad ovvie esigenze di sintesi convinto più che mai del valore della qualità del processo ma consapevole che la questione è ben lungi dall'essere risolta.

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