Codice Appalti 2023 e parità di genere: per il punteggio serve la certificazione

In attesa della piena operatività del nuovo Codice dei contratti, arriva la prima modifica al D.Lgs. n. 36/2023 che riguarda il rispetto della parità di genere nelle gare

di Aurora Donato - 13/06/2023

Negli ultimi anni abbiamo assistito a un rafforzamento dell’idea degli appalti pubblici come uno strumento volto non solo ad acquisire beni e servizi necessari all’amministrazione, ma anche a perseguire strategicamente finalità ulteriori e di più ampio respiro.

Dagli appalti verdi agli obiettivi sociali

Sulla scorta dell’esperienza dei c.d. appalti verdi, l’Unione europea suggerisce oggi una disciplina finalizzata a favorire anche il perseguimento di obiettivi sociali, come sottolineato nel documento della Commissione europea “Acquisti sociali - Una guida alla considerazione degli aspetti sociali negli appalti pubblici (seconda edizione)” (2021/C 237/01), nel quale viene evidenziata l’importanza di promuovere “appalti socialmente responsabili” sia per i benefici a vantaggio della comunità sia per l’effetto di stimolo verso mercati “socialmente più consapevoli”.

A tal proposito, sono state introdotte importanti misure nella disciplina degli appalti pubblici, tra cui gli interventi diretti a promuovere l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità e le finalità relative alle pari opportunità, generazionali e di genere previsti dall’art. 47 del decreto “PNRR-Semplificazioni” (d.l. 31 maggio 2021, n. 77, conv. con mod. dalla l. 29 luglio 2021, n. 108). Tali misure – in origine applicate solo alle procedure finanziate con le risorse del PNRR – sono state generalizzate a tutte le gare dall’allegato II.3 del nuovo Codice, che di fatto riproduce fedelmente l’art. 47, d.l. n. 77/2021. Tra i requisiti necessari per la partecipazione alle gare, la normativa prevede, ad esempio, l’obbligo per le aziende con più di 50 dipendenti di trasmettere, al momento della presentazione dell’offerta, una copia dell’ultimo rapporto sulla situazione del personale (e per gli operatori economici di minori dimensioni di consegnare una relazione di genere dopo l’aggiudicazione), nonché l’assunzione di impegni finalizzati ad incrementare l’occupazione di donne e giovani; inoltre, le amministrazioni possono incentivare l’adozione di misure di promozione della parità di genere inserendo nei bandi di gara appositi criteri premiali.

Cosa prevede il nuovo Codice Appalti

In tale contesto si colloca la previsione dell’art. 108, co. 7, D.Lgs. n. 36/2023 (Codice dei contratti), che impone alle amministrazioni di attribuire un punteggio premiale punteggio all’operatore economico in possesso dei requisiti di cui all’art. 46-bis del Codice delle pari opportunità tra uomo e donna di cui al d.lgs. n. 198/2006. La previsione è una delle sole due ipotesi (l’altra riguarda la cybersicurezza negli appalti di beni e servizi informatici), in cui il nuovo Codice entra nel merito dell’attribuzione dei punteggi premiali all’offerta tecnica, per il resto rimessa interamente alla discrezionalità delle amministrazioni.

Proprio tale disposizione è stata investita dalla prima modifica del nuovo Codice, avvenuta ancor prima che lo stesso acquisisse efficacia. Infatti, l’art. 2, D.L. 29 maggio 2023, n. 57, ha eliminato la possibilità di comprovare attraverso un’autocertificazione il possesso dei requisiti per il rilascio della certificazione della parità di genere ai fini dell’attribuzione del punteggio premiale.

La formulazione originaria dell’art. 108, co. 7, consentiva in effetti di provare il possesso dei suddetti requisiti attraverso un’“autocertificazione”, la cui attendibilità sarebbe stata verificata dalla stazione appaltante “con qualsiasi mezzo adeguato”. Il nuovo testo, invece, richiede nuovamente (come il previgente art. 95, co. 13, d.lgs. n. 50/2016, come modificato nel 2022) che l’adozione di politiche tese al raggiungimento della parità di genere al fine del conferimento di un maggior punteggio possa essere comprovata solo dal possesso della certificazione di cui all’art. 46-bis del Codice delle pari opportunità.

La certificazione della parità di genere

La certificazione della parità di genere, introdotta a decorrere del 1° gennaio 2022 dalla recente legge 5 novembre 2021, n. 162, attesta le politiche e le misure adottate dai datori di lavoro per ridurre il divario di genere, garantendo opportunità di crescita in azienda, parità salariale in relazione alle mansioni e tutela della maternità. Si tratta di una novità che può essere considerata un’implementazione del PNRR, in quanto parte del Piano strategico nazionale per la parità di genere previsto dalla Legge di bilancio 2022 (art. 1, commi 139-147, l. 30 dicembre 2021, n. 234).

La modifica del nuovo Codice dei contratti pubblici, al di là di incontrare senza dubbio la soddisfazione degli organismi di certificazione accreditati, può essere considerata opportuna. Infatti, i requisiti cui rinvia la norma consistono nel rispetto di articolati parametri minimi sulla retribuzione, sulle opportunità di carriera e sulla conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, anche per le lavoratrici in stato di gravidanza, che – in virtù del rinvio operato dal d.P.C.M. 29 aprile 2022 – si basano sulla prassi di riferimento UNI/PdR 125:2022, pubblicata il 16 marzo 2022, che fornisce linee guida comprensive di specifici indicatori chiave di prestazione (KPI) utilizzati per il monitoraggio degli obiettivi stabiliti dalle politiche di parità di genere delle organizzazioni e dai relativi piani strategici, al fine di colmare i gap attualmente esistenti e produrre un cambiamento sostenibile e durevole nel tempo.

Le Aree di valutazione

Per la misurazione del livello di maturità delle singole organizzazioni, sono state individuate sei Aree di valutazione, a ciascuna delle quali corrisponde un peso percentuale rispetto alla valutazione complessiva – cultura e strategia (15%); governance (15%); processi HR (10%); opportunità di crescita e inclusione delle donne in azienda (20%); equità remunerativa per genere (20%); tutela della genitorialità e conciliazione vita-lavoro (20%) – e un numero di specifici KPI, di natura quantitativa e qualitativa, attinenti alle differenti variabili che possono contraddistinguere un’organizzazione inclusiva e rispettosa della parità di genere. Ogni singolo indicatore è associato a un punteggio, il cui raggiungimento o meno viene ponderato per il peso dell’Area di appartenenza. Solo il conseguimento dello score minimo complessivo del 60% consente l’accesso alla certificazione da parte dell’organizzazione.

Si tratta insomma di parametri molto articolati che sarebbero stati in concreto difficili da autocertificare per le imprese e, al contempo, il cui rispetto sarebbe stato complicato da verificare per le stazioni appaltanti.

Ben venga, dunque, lo strumento della certificazione, che semplifica di molto le procedure e che, comunque, anche solo al momento della sua acquisizione impone alle imprese un ragionamento sulla parità di genere nella loro organizzazione. Il rischio, però, che la certificazione sia solo l’ennesimo “pezzo di carta” alla cui raccolta sono costrette le imprese che partecipano alle gare è elevato.

Risultano forse strumenti di politiche pubbliche promozionali più efficaci e interessanti – e, al contempo, non eccessivamente gravosi per le imprese – criteri di valutazione delle offerte tecniche ad hoc, come quelli suggeriti dalle Linee guida per favorire la pari opportunità di genere e generazionali, nonché l’inclusione lavorativa delle persone con disabilità nei contratti pubblici finanziati con le risorse del PNRR e del PNC (dPCM 7 dicembre 2021), tutt’oggi attuali alla luce dell’All. II.3 del nuovo Codice. L’inserimento nei bandi di tali criteri, che devono comunque essere coerenti con l’oggetto dell’appalto e proporzionati nel peso attribuito, può costituire uno stimolo importante anche per la riflessione interna alle imprese sulla loro organizzazione.

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