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Come opporsi al Superbonus: le armi nelle mani del condominio se qualcosa non quadra

Se l’impresa commette errori, “abbandonare” il Superbonus e optare per un contenzioso può rappresentare un’àncora di salvataggio per proteggersi dal rischio di successivi recuperi fiscali

di Cristian Angeli - 02/05/2024

“Vivo in un condominio che, fortunatamente, è riuscito a ultimare i lavori di Superbonus. In base agli accordi con l’impresa, ai costi da sostenere avrebbe dovuto essere applicato lo sconto in fattura. Purtroppo, però, i lavori non sono stati fatti molto bene. Sono infatti presenti difetti di vario tipo, ma nonostante questo l'impresa ha smontato i ponteggi ed ha liberato le facciate.

Tuttavia, leggendo la documentazione trasmessa dal nostro amministratore, mi sono accorto che qualcosa non torna. Precisamente, sembra che l'impresa abbia inserito nell'ultimo SAL una serie di lavorazioni che sono state realizzate in modo difforme e con minori quantitativi di materiali.

Vorrei sapere, di fronte a questo problema, se possiamo rifiutarci di firmare la comunicazione di cessione dei crediti, anche se ci siamo impegnati a sottoscriverla nel contratto d’appalto. In altre parole vorremmo a tutti i costi evitare di trovarci a discutere con l’Agenzia delle Entrate e quindi preferiremmo piuttosto aprire un contenzioso in sede civile con l’appaltatore, cosa che riteniamo ormai inevitabile avendo già emesso fattura”.

L’Esperto risponde

Sono mesi di fermento per chi si occupa di Superbonus, sul quale viene detto (e scritto) di tutto e di più. Effettivamente, il tema è caldo e le ambiguità sono molte.

Alcune ricostruzioni potrebbero anche sembrare contro intuitive, eppure in alcuni casi le soluzioni più “assurde” possono essere le migliori, o le “meno peggio”. E così, ad esempio, il condominio nel quale vive il gentile lettore che pone il quesito potrebbe davvero gestire in maniera più efficace la situazione in cui si trova optando per un contenzioso civile piuttosto che rischiare di scontrarsi con l’Agenzia delle Entrate.

Affermare che percorrere la strada del contenzioso possa “salvare” dalle insidie del Superbonus sembra, appunto, un controsenso, e invece le particolarità della disciplina e l’orientamento della giurisprudenza impongono - in alcuni casi - di valutare come fruttuosa anche questa strada.

E non è affatto infrequente che un committente, magari già un po' scontento per lavori fatti male, si trovi in una situazione simile, nella quale all’interno del SAL vengono inserite “per errore” lavorazioni in più, mai realizzate o realizzate in maniera diversa da quella prevista nei progetti.

Il contenzioso come “arma”

Il condominio del quesito ha una grande fortuna: quella di aver terminato i lavori. Tale circostanza lo pone in una condizione di “superiorità” rispetto all’impresa. Quest’ultima, cioè, è in attesa di riscuotere i compensi, mentre il committente ha già ricevuto quanto pattuito, vale a dire le opere, seppur difettose.

In un caso di questo tipo, davanti a un SAL che non torna o a qualunque altra irregolarità, il condominio non ha alcun interesse a mandare avanti una pratica fiscale “imperfetta”, che può ritorcerglisi contro. Nel caso specifico, accettare di cedere all’impresa un credito d’imposta che potrebbe un giorno essere considerato dal Fisco come “non spettante”, comporta rischi giudiziari che ricadono inevitabilmente sul beneficiario dei lavori. Chi riceve il credito, infatti, è salvo dalla responsabilità sulla “qualità” degli stessi, almeno se possiede il lungo set documentale richiesto dal DL 11/2023, mentre il cedente, in quanto primo beneficiario del bonus, ne risponde sempre. Tale meccanismo può dar modo a un’impresa poco onesta di “incastrare” il suo committente, soprattutto se i professionisti sono un po' “sbrigativi” e magari, nella fretta, accettano di basare le loro asseverazioni sulla contabilità di cantiere redatta dallo stesso appaltatore.

In questa prospettiva il lettore ha avuto un’intuizione corretta: suggerendo al proprio amministratore di non firmare la comunicazione telematica dell’opzione per lo sconto in fattura prevista dall’art. 121 del DL 34/2020 (c.d. “Modello CIR20”), l’impresa rimane evidentemente “a bocca asciutta”, non potendo ricevere i crediti d’imposta che si aspettava.

Chiaramente, una scelta del genere dovrà avere come obiettivo prioritario quello di “sistemare le cose”. Ove ciò non avvenga apre alla possibilità di far nascere un contenzioso in sede civile, poiché il condominio, si legge dal quesito, si era impegnato contrattualmente a cedere il Superbonus all’impresa, e questa avrebbe tutto il diritto di lamentare un inadempimento. Per “colpa” del condominio, cioè, il Superbonus potrebbe rimanere virtuale, non concretizzarsi, non trasformarsi in moneta. Ciò che invece si è concretizzato, nel caso specifico, è il lavoro, che a quanto pare è stato fatto.

È evidente che in questa condizione, se non si giunge a un accordo, al condominio potrebbe convenire di più affrontare un processo civile per mancato adempimento di una obbligazione contrattuale piuttosto che scontrarsi con l’Agenzia delle Entrate con l’accusa di aver partecipato alla creazione di crediti d’imposta non spettanti. Anche perché bisogna evidenziare che il condominio pare avere ragioni più che valide per rifiutarsi di cedere il credito all’impresa, e potrà ben argomentarle nell’ambito del giudizio.

È fondamentale una perizia

Da quanto fin qui illustrato emerge come la pattuizione dello sconto in fattura nel contratto d'appalto, se non adeguatamente regolamentato, possa rivelarsi un boomerang per l'impresa, e non solo per i committenti. Qualora qualcosa non torni, infatti, il condominio può ben opporsi al “passaggio” dei crediti non firmando la comunicazione. Ma se il motivo per cui si oppone allo sconto è valido, come nell'esempio, chi ci rimette è l'impresa, che alla fine potrebbe non essere pagata, né dallo Stato né dal committente.

Non è improbabile infatti che il contenzioso abbia come esito quello di non imporre al condominio di pagare alcunché, dato che comunque l’appalto non prevedeva un pagamento in denaro, ma uno tramite cessione del credito, che se rifiutata per ragioni fondate, non ha motivo di essere imposta.

La buona riuscita del contenzioso, allora, dipende proprio dalla fondatezza dei motivi addotti dal condominio, e provarla è fondamentale. Per essere maggiormente “pronti”, dunque, è consigliabile muoversi avendo già in mano una propria perizia di parte (CTP), svolta prima dell’inizio del contenzioso, documento con il quale un professionista di fiducia illustra dettagliatamente che le pretese della parte in causa hanno riscontro nella realtà. Nell’ambito del procedimento civile, infatti, vige il principio del libero convincimento del giudice, cosicché la sua decisione può fondarsi anche su una perizia resa al di fuori del processo, come confermato da consolidata giurisprudenza (da ultimo, si veda la sentenza n. 88/2024 della Corte d’Appello di Bologna).

A cura di Cristian Angeli
ingegnere esperto di detrazioni fiscali applicate all’edilizia
www.cristianangeli.it

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