Concessioni demaniali marittime: proroga solo fino al 2023

Il Consiglio di Stato in adunanza plenaria pubblica una sentenza che porterà una rivoluzione nel settore turistico-ricettivo e degli stabilimenti balneari

di Redazione tecnica - 16/11/2021

Concessioni demaniali e stabilimenti balneari, stop alla proroga al 31 dicembre 2033. Con la sentenza n. 00017/2021 in Adunanza Plenaria, il Consiglio di Stato riscrive le condizioni del mercato delle concessioni demaniali marittime. Una piccola miniera d’oro per chi ne ha beneficiato negli ultimi anni, tra l’altro con il “cuscinetto” di un orizzonte temporale (relativamente) a lunga scadenza: in particolare l’art. 1, commi 682 e 683, della legge n. 145 del 2018 ha stabilito la proroga fino a fine 2033 delle concessioni già rilasciate, data che aveva fatto tirare più di un sospiro di sollievo tra gli operatori del settore.

Proroga concessioni demaniali marittime: stop del Consiglio di Stato

Adesso, tutto da riscrivere e da rifare, con l’indizione di procedure d’evidenza pubblica. Non basta più pagare o essere in possesso di adeguati titoli abilitativi per ottenere una concessione: con l’obiettivo di garantire la massima libertà di concorrenza sul mercato e servizi di qualità, le concessioni verranno affidate mediante gare d’appalto.

Alla base della sentenza, il principio per cui una proroga ex lege stabilita dalla normativa italiana contrasta con l’ordinamento comunitario e, in particolare con quanto disposto nella direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio all’art. 12, paragrafi 1 e 2: “qualora il numero di autorizzazioni disponibili per una determinata attività sia limitato per via della scarsità delle risorse naturali o delle capacità tecniche utilizzabili, gli Stati membri applicano una procedura di selezione tra i candidati potenziali, che presenti garanzie di imparzialità e di trasparenza e preveda, in particolare, un’adeguata pubblicità dell’avvio della procedura e del suo svolgimento e completamento”.

Inoltre l’art. 49 TFUE per cui qualsiasi atto dello Stato che stabilisce le condizioni alle quali è subordinata la prestazione di un’attività economica, è tenuto a rispettare principi di non discriminazione in base alla nazionalità e di parità di trattamento, nonché l’obbligo di trasparenza che ne deriva. Quest’obbligo di trasparenza impone all’autorità concedente di assicurare, a favore di ogni potenziale offerente, un “adeguato livello di pubblicità” che consenta l’apertura del relativo mercato alla concorrenza, nonché il controllo sull’imparzialità delle relative procedure di aggiudicazione.

Concessioni demaniali marittime: il diritto comunitario

L’Adunanza Plenaria ha quindi ricordato che il diritto dell’Unione impone che il rilascio o il rinnovo delle concessioni demaniali marittime (o lacuali o fluviali) avvenga all’esito di una procedura di evidenza pubblica, con conseguente incompatibilità della disciplina nazionale che prevede la proroga automatica ex lege fino al 31 dicembre 2033 delle concessioni in essere.

Questo perché quando sia accertato che un contratto (di concessione o di appalto), presenta un interesse transfrontaliero certo, l’affidamento, in mancanza di qualsiasi trasparenza, di tale contratto ad un’impresa con sede nello Stato membro dell’amministrazione aggiudicatrice costituisce una disparità di trattamento a danno di imprese con sede in un altro Stato membro che potrebbero essere interessate a tale appalto. Un interesse economico che è evidente nel “mercato” delle concessioni demaniali, date le finalità turistico-ricreative e, soprattutto, data la scarsità di risorse libere disponibili: “pensare che questo settore, così nevralgico per l’economia del Paese, possa essere tenuto al riparo dalle regole delle concorrenza e dell’evidenza pubblica, sottraendo al mercato e alla libera competizione economica risorse naturali in grado di occasionare profitti ragguardevoli in capo ai singoli operatori economici, rappresenta una posizione insostenibile, non solo sul piano costituzionale nazionale (…), ma soprattutto e ancor prima, per quello che più ci interessa ai fini del presente giudizio, rispetto ai principi europei a tutela della concorrenza e della libera circolazione".

Per cui, il provvedimento che riserva in via esclusiva un’area demaniale (marittima, lacuale o fluviale) ad un operatore economico, consentendo a quest’ultimo di utilizzarlo come asset aziendale e di svolgere, grazie ad esso, un’attività d’impresa erogando servizi turistico-ricreativi va considerato, nell’ottica della direttiva 2006/123, un’autorizzazione di servizi contingentata e, come tale, da sottoporre alla procedura di gara: infatti, le concessioni di beni demaniali per finalità turistico-ricreative rappresentano autorizzazioni di servizi ai sensi dell’art. 12 della direttiva c.d. servizi, come tali sottoposte all’obbligo di gara.

Consiglio di Stato: proroga al 2033 è illegittima

L’Adunanza ha anche evidenziato che la moratoria emergenziale prevista dall’art. 182, co. 2, d.l. 34/2020 presenta profili di incompatibilità comunitaria: non è, infatti, seriamente sostenibile che la proroga delle concessioni sia funzionale al “contenimento delle conseguenze economiche prodotte dall’emergenza epidemiologica”: non c’è alcuna ragionevole connessione tra la proroga delle concessioni e le conseguenze economiche derivanti dalla pandemia, presentandosi semmai essa come disfunzionale rispetto all’obiettivo dichiarato e di fatto diretta a garantire posizioni acquisite nel tempo.

Secondo il Consiglio di Stato, la Pubblica Amministrazione ha quindi l’obbligo di non applicare la legge anticomunitaria; la sottoposizione ai principi della concorrenza e dell’evidenza pubblica per le concessioni demaniali trova il suo presupposto nella circostanza che con la concessione del bene pubblico si fornisce un’occasione di guadagno a soggetti operanti sul mercato, per cui è necessario imporre una procedura competitiva ispirata ai suddetti principi di trasparenza e non discriminazione. Infatti la proroga disposta per legge non può essere applicata perché in contrasto con il diritto dell’Unione.

Stop proroga concessioni demaniali: cosa succede dopo il 2023

Dato che tale sentenza provocherà delle ripercussioni notevoli, sia per i titolari di concessione che per il legislatore, l’annullamento operativo della proroga avverrà il 31 dicembre 2023.

Scaduto tale termine, tutte le concessioni demaniali in essere dovranno considerarsi prive di effetto, indipendentemente da se vi sia –o meno- un soggetto subentrante nella concessione ed eventuali proroghe legislative del termine così individuato saranno ritenute in contrasto con il diritto dell’Unione.

Allo stesso tempo, l’Adunanza ha invitato sia al riordino normativo che all’indizione di procedure di selezione basate su imparzialità e trasparenza che riconoscano un indennizzo a tutela degli eventuali investimenti effettuati dai concessionari uscenti. Infine, nel conferimento o nel rinnovo delle concessioni, andrebbero evitate ipotesi di preferenza “automatica” per i gestori uscenti.

In merito alla durata delle nuove concessioni, il Consiglio ha precistato che essa dovrebbe essere limitata e giustificata sulla base di valutazioni tecniche, economiche e finanziarie, al fine di evitare la preclusione dell’accesso al mercato e che sarebbe opportuna l’introduzione a livello normativo di un limite. In ogni caso andrebbe commisurata al valore della concessione e alla sua complessità organizzativa e non dovrebbe eccedere il periodo di tempo ragionevolmente necessario al recupero degli investimenti.

Concessioni demaniali marittime: la sentenza del Consiglio di Stato

L’Adunanza ha quindi dichiarato inammissibile il ricorso, enunciando i seguenti principi di diritto:

1. Le norme legislative nazionali che hanno disposto (e che in futuro dovessero ancora disporre) la proroga automatica delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative – compresa la moratoria introdotta in correlazione con l’emergenza epidemiologica da Covid-19 dall’art. 182, comma 2, d.l. n. 34/2020, convertito in legge n. 77/2020 – sono in contrasto con il diritto eurounitario, segnatamente con l’art. 49 TFUE e con l’art. 12 della direttiva 2006/123/CE. Tali norme, pertanto, non devono essere applicate né dai giudici né dalla pubblica amministrazione.

2. Ancorché siano intervenuti atti di proroga rilasciati dalla P.A. (e anche nei casi in cui tali siano stati rilasciati in seguito a un giudicato favorevole o abbiamo comunque formato oggetto di un giudicato favorevole) deve escludersi la sussistenza di un diritto alla prosecuzione del rapporto in capo gli attuali concessionari. Non vengono al riguardo in rilievo i poteri di autotutela decisoria della P.A. in quanto l’effetto di cui si discute è direttamente disposto dalla legge, che ha nella sostanza legificato i provvedimenti di concessione prorogandone i termini di durata. La non applicazione della legge implica, quindi, che gli effetti da essa prodotti sulle concessioni già rilasciate debbano parimenti ritenersi tamquam non esset, senza che rilevi la presenza o meno di un atto dichiarativo dell’effetto legale di proroga adottato dalla P.A. o l’esistenza di un giudicato. Venendo in rilievo un rapporto di durata, infatti, anche il giudicato è comunque esposto all’incidenza delle sopravvenienze e non attribuisce un diritto alla continuazione del rapporto.

3. Al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni in essere, di tener conto dei tempi tecnici perché le amministrazioni predispongano le procedure di gara richieste e, altresì, nell’auspicio che il legislatore intervenga a riordinare la materia in conformità ai principi di derivazione europea, le concessioni demaniali per finalità turistico-ricreative già in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023, fermo restando che, oltre tale data, anche in assenza di una disciplina legislativa, esse cesseranno di produrre effetti, nonostante qualsiasi eventuale ulteriore proroga legislativa che dovesse nel frattempo intervenire, la quale andrebbe considerata senza effetto perché in contrasto con le norme dell’ordinamento dell’U.E.

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