Costi della manodopera: la differenza tra subappalto e contratto di fornitura

La fornitura può essere considerata come un subappalto celato? Per il TAR la risposta è no: ecco il perché

di Redazione tecnica - 11/03/2024

Nella valutazione dei costi della manodopera, la Stazione Appaltante non può considerare come subappalto non dichiarato quello che si configura essere come mero contratto di fornitura, perché i presupposti su cui si basano i due istituti sono differenti: uno sul fare, l’altro sul dare.

Subappalto, fornitura e costi manodopera: la sentenza del TAR

È questa una delle motivazioni con cui il TAR Molise, con la sentenza del 24 febbraio 2024, n. 45, ha accolto il ricorso proposto contro il provvedimento di esclusione di un operatore nell’ambito di una procedura di gara  ai sensi dell’art. 95, comma 6 del d.lgs. n. 50/2016 (Codice dei Contratti Pubblici).

Secondo la SA l’offerta era “inadeguatamente giustificata”, oltre che, “nella parte in cui ha indicato costi della manodopera parziali (senza considerare quelli del subappaltatore), omissiva, dunque espressa in violazione di legge e meritevole di esclusione”. Inoltre, sempre secondo l'Amministrazione, l’impresa aveva sostanzialmente ammesso l’esistenza di un contratto di subappalto non dichiarato nella propria offerta, concretizzando, gli estremi di una violazione del costo minimo della manodopera, poiché la lex specialis richiedeva che l’impresa offerente indicasse tra i costi della manodopera anche quelli che sarebbero stati sostenuti dall’impresa subappaltatrice.

In realtà, secondo la ricorrente, le prestazioni “incriminate” avrebbero solo integrato un accordo di fornitura, e non un subappalto.

Tesi condivisa dal TAR secondo cui la stazione appaltante, anziché attenersi a una valutazione rigorosamente parametrata sulla verifica del costo della manodopera, ai sensi del combinato disposto degli artt. 95, comma 10, 97, comma 5, lett. d), e 23, comma 16 del Codice, non ha dato alcuna dimostrazione della effettiva sussistenza di un contratto di subappalto con un terzo imprenditore, poggiando il proprio assunto su affermazioni solo laconiche e apodittiche, senza tener nemmeno conto delle giustificazioni fornite in merito dalla ricorrente.

Costi della manodopera: le verifiche a carico della Stazione Appaltante

Dal quadro normativo del Codice Appalti, si ricava che  prima di disporre l’aggiudicazione definitiva della gara all’operatore posizionatosi utilmente nella graduatoria, la stazione appaltante debba accertare l’adeguatezza dei costi della manodopera da questo indicati nell’offerta economica, in rapporto ai minimi salariali retributivi indicati nelle apposite tabelle elaborate dal Ministero del Lavoro sulla base dell’art. 23, comma 16 del Codice.

Secondo costante oreintamento giurisprudenziale, la verifica ex art. 95, comma 10 cit. “attiene esclusivamente al rispetto dei minimi salariali retributivi, così come indicati nelle apposite tabelle ministeriali di cui all'art. 23, comma 16, del decreto legislativo n. 50 del 2016, per cui essa non dà luogo ad un sub procedimento di verifica di anomalia dell'offerta che tende a indagare la serietà e affidabilità dell’offerta nel suo complesso

Il punto nodale della valutazione suscettibile di condurre all’esclusione dell’offerta, quindi, “non è il contenuto della dichiarazione in sé considerata, quanto, piuttosto, la verifica circa l’eventuale violazione degli obblighi retributivi minimi, indipendentemente dalla congruità dell'offerta valutata nel suo complesso”. Per questo motivo, assume rilievo centrale e decisivo “la circostanza se i costi indicati risultino congrui rispetto all'entità e alle caratteristiche dei lavori o dei servizi, per la cui valutazione si utilizzano i valori riportati nelle tabelle ministeriali”.

L’Amministrazione, nel caso di specie non ha compiuto una semplice verifica dei costi della manodopera, bensì ha dato ambiguamente luogo, almeno in parte, a una più ampia valutazione sulla congruità dell’offerta nel suo complesso, violando in tal modo la stessa norma attributiva del potere amministrativo azionato ai sensi dell’art. 95, comma 10 del Codice.

La differenza tra subappalto e contratto di fornitura

Inoltre, nella sua valutazione, l'Amministrazione non ha dimostrato l’esistenza di un contratto di subappalto non dichiarato, con conseguente occultamento dei costi del personale.

La ditta, nello specifico, nella propria “offerta tecnica” non aveva mai prospettato all’Amministrazione che si sarebbe avvalsa, per l’esecuzione di una parte dei lavori, delle prestazioni di una ditta subappaltatrice. Né, l’Amministrazione avrebbe potuto automaticamente desumere la sussistenza di un’ipotesi di subappalto dalla mera indicazione fatta dalla ricorrente nel DGUE ai sensi dell’art 85 del Codice dei contratti pubblici.

La Stazione appaltante non ha mai considerato la possibilità che lo schema operativo prefigurato avrebbe potuto costituire, in realtà, solo un contratto di vendita, pur con clausole eventualmente anche atipiche, o un contratto di fornitura: un contratto cioè caratterizzato da un profilo di dare prevalente sul facere.

Sul punto i giudici ricordano che i contratti di subappalto e di fornitura, pur se in qualche caso vicini tra loro, si differenziano comunque nei loro elementi essenziali:

  • la fornitura, disciplinata nell’ambito dello schema legale del contratto di somministrazione di cui all’art. 1159 e ss. del codice civile per le prestazioni di beni, consiste in una forma contrattuale ove una parte si obbliga a eseguire nei confronti di un'altra parte delle prestazioni periodiche o continuative di beni, verso il pagamento di un corrispettivo.
  • diversamente, il contratto di subappalto di cui all’art. 105 del Codice dei contratti pubblici descrive quella forma contrattuale in cui un terzo affida l’esecuzione di una parte dell’opera, nella sede di cantiere, a proprio rischio e mediante una propria organizzazione di mezzi e personale (l’art. 105 precisa che “Il subappalto è il contratto con il quale l'appaltatore affida a terzi l'esecuzione di parte delle prestazioni o lavorazioni oggetto del contratto di appalto”).

La distinzione tra le due forme contrattuali ricade sull’assunzione del rischio finale d’impresa: con il subappalto, il subappaltatore si sostituisce all’affidatario della commessa nei confronti dell’Amministrazione, mentre con la vendita o fornitura la prestazione di base, seppur effettuata da altri, è acquisita nella stessa organizzazione aziendale del cliente acquirente o somministrato, il quale si accolla al riguardo il rischio d’impresa discendente da un eventuale difetto o difformità della prestazione.

Come ben precisato dal Consiglio di Stato sul punto, “la distinzione tra le figure contrattuali si fonda non solo sulla specificità delle prestazioni, ma anche sulla diversità degli effetti giuridici dei tipi di contratto. Le prestazioni sono infatti dirette a destinatari diversi: nel caso del subappalto, il contratto è stipulato con l'amministrazione, sostituendosi all'affidatario; nell'altro caso, le prestazioni sono rese in favore dell'aggiudicatario che le riceve, inserendole nell'organizzazione di impresa necessaria per adempiere alle obbligazioni contrattuali e le riutilizza inglobandole nella prestazione resa all'amministrazione appaltante. Nel subappalto vi è un'alterità anche sul piano organizzativo, tra appaltatore e subappaltatore, poiché la parte di prestazione contrattuale è affidata dall'appaltatore a un terzo che la realizza direttamente attraverso la propria organizzazione; diverso è il caso in cui la prestazione resa è inserita all'interno dell'organizzazione imprenditoriale dell'appaltatore. Ne deriva che la disciplina in tema di subappalto non è estendibile, se non si dimostri che il contratto costituisca solo uno schermo per il contratto di subappalto”.

L’Amministrazione avrebbe dovuto pertanto dimostrare, tanto sul piano probatorio quanto su quello logico- argomentativo, la sussistenza nel caso di specie di un contratto di subappalto: ma di questa dimostrazione non vi è traccia.

La differenza tra subappalto necessario e subappalto facoltativo

Il giudice ha anche evidenziato che in questo caso il subappalto apparterrebbe alla categoria del c.d. subappalto facoltativo. Ai sensi dell’art. 105 del Codice dei contratti pubblici, tale forma di subappalto si distingue:

  • a) per essere rimessa alla libera scelta dell’appaltatore;
  • b) per non avere attinenza ai requisiti di partecipazione alla procedura (ai quali si riferisce, invece, il subappalto c.d. obbligatorio);
  • c) per essere afferente alla sola fase della mera esecuzione dei lavori.

Ora, nel caso di specie l’impresa non ha dichiarato la volontà di avvalersi del subappalto ai fini della integrazione dei requisiti di partecipazione specialistici. La generica manifestazione di volontà di avvalersi del subappalto entro i limiti di legge si pone alla strega di una mera dichiarazione di intenti, senza che dalla stessa possa desumersi alcun effetto automatico di qualificazione giuridica delle modalità di realizzazione dell’appalto proposte dalla ditta.

Questa considerazione trova supporto nella giurisprudenza amministrativa in materia, la quale distingue l’efficacia delle manifestazioni di volontà di avvalersi del subappalto rese nel DGUE a seconda dei casi di subappalto c.d. necessario o solo facoltativo.

Nello specifico, “nella dichiarazione di subappalto “necessario” viene in rilievo non una mera esternazione di volontà dell’operatore economico quale è la dichiarazione di subappalto “facoltativo”, bensì una delle modalità di attestazione del possesso di un requisito di partecipazione, che non tollera di suo il ricorso a formule generiche o comunque predisposte ad altri fini, pena la violazione dei principi di par condicio e di trasparenza che permeano le gare pubbliche” .

Non sussistono quindi dubbi sul fatto che la generica riserva di subappalto facoltativo formulata nel proprio DGUE sia inidonea a sostenere le argomentazioni a base del provvedimento impugnato: tale indicazione, oltre a essere non impegnativa, lasciava del tutto impregiudicata la questione della corretta qualificazione giuridica del contratto che l’operatore avrebbe concluso con i terzi.

Concludendo ne consegue che, essendo rimasto indimostrato il fatto del ricorso al subappalto da parte della ditta, il richiamo a quest’ultimo schema non vale in alcun modo a supportare la conclusione raggiunta dall’Amministrazione nell’esercizio del proprio potere di verifica del costo della manodopera della concorrente, motivo per cui il provvedimento di esclusione è stato ritenuto illegittimo e annullato.

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