PNRR, FCS e Fondo React-Eu: le imprese non sono capri espiatori

Fondi comunitari: le imprese sono in fase di riscaldamento prepartita da tre anni, senza che il campionato sia ancora effettivamente iniziato

di Edoardo Bianchi - 30/05/2023

Tutti gli indicatori, costantemente negli ultimi 18 mesi, parlano chiaro: siamo in fortissimo ritardo nell’impiego delle risorse/investimenti del PNRR. Ritardi che vengono da lontano e che ora stanno deflagrando in tutta la loro pericolosità.

PNRR, FCS e React-Eu: i principi sono saltati

Alcuni principi che erano alla base del Recovery Plan (post pandemia ma ante Ucraina) sono saltati.

Non riusciremo ad attuare progetti che garantiscano una diminuzione del divario nord/sud, non riusciremo a colmare le difficoltà di accesso al mercato del lavoro in termini di genere ed età e non riusciremo ad utilizzare le risorse del PNRR in termini di booster per riavviare l’economia; molte risorse europee risulteranno sostitutive e non aggiuntive a quelle nostrane.

Tutti i buoni propositi sono andati a farsi friggere.

Non siamo riusciti ancora a fare atterrare circa 30 miliardi quale residuo del Fondo di Coesione e Sviluppo 2014/2020 che a dicembre di questo anno andranno irrimediabilmente persi.

Siamo in ritardo anche con l’impiego degli investimenti previsti dal Fondo React-Eu.

In questo contesto, l’Europa ha avviato il confronto sulle regole che dovranno sovrintendere alla riforma del Patto di Stabilità.

In presenza di un alto debito ed a fronte di disallineamenti macro economici rilevanti potrebbe scattare automaticamente una procedura per disavanzo eccessivo.

Il contesto italiano e il prodotto interno lordo

Guardando a casa nostra è necessario garantire una costante riduzione del debito pubblico avendo come riferimento un arco temporale più breve (4 anni) o un arco temporale più lungo (7 anni), sempre con l’obiettivo di avere a fine periodo un rapporto debito/pil minore di quello di entrata.

Dalle prime proiezioni sembrerebbe che a fronte di un arco temporale di 4 anni l’aggiustamento di bilancio dovrebbe essere dello 0,85% annuo di pil, mentre a fronte di un arco temporale di 7 anni l’aggiustamento di bilancio dovrebbe essere dello 0,45% annuo di pil.

Nel primo caso varrebbe in ragione di circa 16 miliardi di euro e nel secondo di circa 8,5 miliardi di euro.

Con i nostri dati di partenza sono numeri talmente enormi che il tutto potrà avvenire (oltre che con robuste riforme) con un concreto atterraggio degli investimenti.

Sapevamo che il Temporary framework non avrebbe avuto una vita infinita ed ora quel giorno è arrivato.

Sicuramente è da condividere la battaglia sulla imputazione di alcuni investimenti (quelli per il green, quelli per la ricostruzione post alluvione e così via) perché venga mitigata la loro incidenza sui conti pubblici; una diversa classificazione ci darebbe maggiore respiro.

Nelle more del confronto in corso trova però conferma che non riusciamo a fare atterrare le risorse a disposizione, oramai è un dato endemico connaturale al nostro Paese.

Questa realtà già di per sé grave, desta oggi ancora maggiore preoccupazione perché il periodo di maggiore flessibilità sui conti condiviso in Europa per la ripresa post pandemia sta giungendo al termine e si sta voltando pagina.

Le problematiche e le colpe

Siamo onesti, non è stato il Covid o la crisi Ucraina a rallentare la nostra capacità di spesa perché è un vulnus che viene da molto più lontano nel tempo.

Fino a qualche anno or sono scontavamo criticamente la mancanza di risorse per fare decollare gli investimenti ma negli ultimi anni, con risorse più abbondanti, gli investimenti non decollano lo stesso.

Nelle more che si riesca a dare attuazione al principio proprio dei vasi comunicanti tra Fondi europei aventi diversi orizzonti temporali, travasando opere (e quindi investimenti) da un fondo ad un altro, giova cristallizzare a futura memoria un principio sacrosanto.

Il ruolo delle imprese e l'effetto imbuto

Fino ad oggi trascorsi quasi tre anni dall’avvio del Piano le imprese, soprattutto nel campo della edilizia e delle infrastrutture, hanno sempre svolto il proprio compito.

Nulla fino ad oggi può essere rimproverato agli operatori economici che, anzi, aspettano ancora in larga misura i danari dei provvedimenti varati dai vari Governi in termini di riequilibrio del rapporto contrattuale per i maggiori costi delle forniture e delle lavorazioni anticipati già nei lontani 2021/2022.

Nei prossimi mesi vi sarà una messe di bandi di gara che si sono via via accumulati, con aggiudicazioni dei lavori che si concentreranno tutte in un medesimo arco temporale creando non pochi problemi di eseguibilità ed approvvigionamento sia in termini di manodopera che di materiali.

Molte delle procedure di gara sino ad oggi bandite non si sono ancora tramutate in cantieri e consegne dei lavori; se a questi numeri aggiungiamo quelli dei prossimi affidamenti è inevitabile prevedere un mefitico effetto imbuto.

Il mondo delle imprese ha formulato innumerevoli proposte, quasi tutte disattese, e consentirà a nessuno di gettare la croce addosso agli operatori quando emergerà in maniera inequivocabile la mancata attuazione dei vari Piani con la definitiva peritura dei vari investimenti.

Non vi è la benché minima disponibilità a ricoprire il ruolo di capro espiatorio dopo un lunghissimo tempo infruttuosamente trascorso assistendo ad annunci, assegnazioni di risorse, creazione di governance, bandi di gara, aggiudicazioni che restano/restate sulla carta per troppo tempo.

Usando la metafora calcistica, le imprese sono in fase di riscaldamento prepartita da tre anni, senza che il campionato sia ancora effettivamente partito, rischiando di dovere giocare per 90 minuti ben 38 partite con cadenza (quasi) quotidiana per rispettare il termine di ultimazione della competizione.

È ovvio non solo che non sarà possibile ma che alcuna responsabilità potrà essere imputata alle singole squadre ma solo a chi ha permesso l’infruttuoso trascorrere dei tempi come se fosse una variabile indipendente.

Edoardo Bianchi
Imprenditore edile

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