Recupero sottotetto e tutela del paesaggio: la sentenza del Consiglio di Stato

Palazzo Spada sottolinea il necessario bilanciamento tra interessi pubblici e lo jus edificandi dei proprietari

di Redazione tecnica - 03/02/2022

Il recupero di un sottotetto può creare danni al paesaggio? Dipende da dove viene effettuato l’intervento, e a confermarlo è il Consiglio di Stato, sez. Quarta, con la sentenza n. 624/2022.

Tutela del paesaggio e recupero sottotetto: la sentenza del CDS

Il caso riguarda un edificio dei primi del ‘900, di proprietà indivisa e caratterizzato da una corte interna, sul quale si vogliono effettuare degli interventi sul sottotetto, finalizzati alla creazione di 3 nuove unità abitative e all’ingrandimento di quella esistente. L'amministrazione comunale ha però negato il permesso di costruire, a fronte anche del parere negativo della Commissione del Paesaggio.

Secondo la Commissione, l’intervento avrebbe avuto un impatto negativo sulla sobria qualità architettonica dell’impianto architettonico unitario, anche perché il progetto non avrebbe interessato l’intero complesso ma solo parte di esso. Il parere è stato anche confermato dal Tar Lombardia: il giudice di prime cure ha ritenuto che la Commissione abbia correttamente applicato una nozione ampia di paesaggio, in linea con la Convenzione europea del paesaggio del 2000, ratificata con la legge n. 14/2006.

Infatti l’intervento avrebbe finito per alterare la linea architettonica unitaria degli immobili adiacenti, che condividono la corte interna con l’edificio oggetto dei lavori e che, ai fini del paesaggio rilevano sia gli spazi privati che la visione dall’alto.

La nozione di paesaggio

I giudici di Palazzo Spada invece non sono stati dello stesso avviso e hanno accolto l’appello. Preliminarmente, hanno osservato che:

  • l’edificio in questione non è gravato da alcun vincolo, neanche di carattere paesaggistico, né quale bene individuale né quale bellezza di insieme;
  • il progetto prevede un intervento non percepibile dall’esterno, essendo esso visibile solo dalla corte interna, e quindi esso è irrilevante ai fini dell’impatto paesaggistico, secondo la nozione accolta dalla stessa Convenzione europea del paesaggio del 2000 che condizionerebbe la rilevanza paesaggistica alla fruibilità da parte della collettività.

Da questo punto di vista non è stata condivisa l’interpretazione resa dal primo giudice, basata su una concezione ampia e “olistica” del “paesaggio”, arrivando ad affermare che questa ormai ingloberebbe anche la nozione di “ambiente”: questo approccio, sebbene possa ritenersi in ipotesi comprensibile con riferimento alle scienze tecniche quali l’urbanistica e l’ingegneria, non è attuabile sul piano giuridico.

In particolare, la Convenzione europea del paesaggio, stipulata dagli Stati membri del Consiglio d’Europa a Firenze il 20 ottobre 2000 e ratificata dall’Italia con la legge 9 gennaio 2006, n. 14:

  • a) impone agli Stati parte della Convenzione (art. 5, lett. a), di “riconoscere giuridicamente il paesaggio in quanto componente essenziale del contesto di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale e fondamento della loro identità”;
  • b) definisce il paesaggio (art 1, lett. a) come “una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. Questa nozione è tradotta e recepita dall’art. 131, commi 1 e 2, del codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al d.lgs. n. 42 del 2004,
  • c) nell’individuare il proprio campo di applicazione, fa riferimento a “gli spazi naturali, rurali, urbani e periurbani”, comprendendo “sia i paesaggi che possono essere considerati eccezionali, che i paesaggi della vita quotidiana e i paesaggi degradati”.

La Convenzione introduce un concetto certamente ampio di “paesaggio”, non più riconducibile al solo ambiente naturale statico, ma concepibile quale frutto dell’interazione tra uomo e ambiente, valorizzando anche gli aspetti identitari e culturali. Secondo tale prospettiva, è pertanto la sintesi dell’azione di fattori naturali, umani e delle loro interrelazioni a contribuire a delineare la nozione, complessa e plurivoca, di “paesaggio. Tale arricchimento in senso contenutistico non può comunque intaccare il nucleo essenziale di carattere estetico del “paesaggio”, al quale è inevitabilmente attribuibile un carattere soggettivo (e non oggettivo), dal quale discende l’importanza da attribuire alla fruibilità da parte della popolazione.

Pertanto, resta netta la distinzione tra paesaggio e ambiente perché:

  • il primo implica la percezione per lo più qualitativa e l’interpretazione da un punto di vista soggettivo;
  • il secondo riguarda prevalentemente l’apprezzamento delle quantità fisico-chimiche e dei loro effetti biologici sull’ecosistema da un punto di vista oggettivo.

Bilanciamento tra interesse pubblico e diritto di proprietà

Secondo il Consiglio di Stato, ai fini dell’applicazione delle norme in materia di tutela del paesaggio, l’interesse pubblico va bilanciato anche con corrispondenti interessi privati, in primis quelli relativi al diritto di proprietà che viene inevitabilmente limitato dalle prescrizioni di tutela dei beni paesaggistici.

Nel caso in esame, il fatto che l’intervento verrà effettuato su una porzione del manufatto non fruibile dalla collettività in quanto prospettante su una corte interna porta a non condividere l’assunto del Comune, secondo cui anche coloro che accedono alla corte interna sono parte della “popolazione” che costituisce il riferimento per la fruizione del paesaggio.

La conclusione adottata dall’Amministrazione tradirebbe quindi il necessario bilanciamento tra la libera esplicazione del diritto di proprietà, di cui è espressione lo jus aedificandi, e l’interesse pubblico alla salvaguardia di un valore paesaggistico, che finisce per essere recessivo quando riguarda un bene non fruibile dalla generalità indifferenziata dei consociati.

Di conseguenza, il ricorso è stato accolto: il diniego del permesso di costruire è immotivato, perché ha erroneamente attribuito la nozione di “paesaggio” a un elemento architettonico (la conformazione della falda del tetto) estraneo al paesaggio perché prospiciente solo il cortile interno e dunque non percepibile se non da chi abbia titolo particolare all’ingresso nel cortile.

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