Scadenza bonus edilizi e varianti non concordate: il committente può non pagarle?

Panoramica del quadro normativo e giurisprudenziale per comprendere quando e se è lecito modificare i progetti senza autorizzazione del committente al fine di rientrare nei bonus edilizi

di Cristian Angeli - 14/11/2023

Quando si realizzano interventi edilizi, il progetto concordato regna sovrano. Questo perché il progetto, con tutti i relativi allegati, esprime la volontà del committente e l’impegno dell’esecutore, scandendo le tempistiche ma anche dettando i requisiti tecnici delle opere commissionate, dalle misure ai materiali.

Con la firma del contratto d’appalto, il costruttore si obbliga così a rispettare le condizioni stabilite, anche quelle tecniche, cosicché discostarsi dal progetto non è, di regola, lecito. Eppure, nella realtà tutto può succedere. Potrebbero ad esempio servire delle modifiche in corso d’opera, con aggiunte al progetto originario necessarie per completare i lavori.

O ancora, può presentarsi il caso in cui opportune varianti possono “salvare” i bonus edilizi. La maggior parte delle agevolazioni fiscali, infatti, ha una sua data di scadenza, entro la quale l’opera va completata per potervi accedere, o per poterne fruire con un’aliquota più vantaggiosa. È il caso del Superbonus che, come noto, è già sceso al 90% nel 2023 e con il finire dell’anno scenderà ulteriormente al 70%, mentre sarà del tutto inutilizzabile per gli interventi realizzati sugli edifici unifamiliari (villette). Ecco che, per evitare lungaggini e fuoriuscire dall’ambito operativo dei bonus, potrebbe essere decisivo modificare il progetto, scegliendo materiali diversi e più facilmente reperibili, o riducendo l’entità dei lavori.

In tutti questi casi, appaltatore e committente devono sedersi a un tavolo e accordarsi.

Ma cosa succede se non lo fanno e le varianti vengono eseguite ugualmente? Una panoramica delle disposizioni e della giurisprudenza (piuttosto consolidata) in materia può aiutare a trovare una risposta, che cambia in base a chi abbia assunto una simile decisione, se l’impresa esecutrice di sua iniziativa o, nel caso dei condomìni, l’amministratore.

L’iniziativa dell’appaltatore

Come accennato, l’appaltatore è tenuto a realizzare quanto gli è stato commissionato nel rispetto delle condizioni stabilite nel contratto. Di conseguenza, egli non può apportare autonomamente variazioni alle modalità fissate nero su bianco, a meno che non intervenga l’autorizzazione del committente. A disporlo è il Codice Civile, il cui art. 1659 prevede altresì la necessità che l’autorizzazione sia provata “per iscritto”.

Da tale norma consegue che ogni qual volta l’appaltatore faccia “di testa sua”, realizzando senza autorizzazione scritta opere in più o diverse rispetto a quelle concordate, egli non avrà diritto al relativo compenso, perché la legge conferisce solo al committente (e nemmeno al Direttore dei lavori) la facoltà di ordinare o autorizzare in autonomia le variazioni. Si tratta di un principio espresso e ribadito in più occasioni nelle aule di giustizia. A tale conclusione, ad esempio, è giunto recentemente il Tribunale di Cassino, depositando il 27 marzo 2023 la sentenza n. 385.

La vicenda giudiziaria nasce quando un condominio, committente di alcuni lavori, si oppone al decreto ingiuntivo che gli imporrebbe di versare all’impresa appaltatrice il corrispettivo. Secondo il condominio, infatti, la pretesa della ditta sarebbe illegittima, poiché questa avrebbe realizzato opere non autorizzate. Il giudice di Cassino, richiamando proprio il citato art. 1659 C.C., revoca il decreto ingiuntivo, specificando che “considerata la mancata autorizzazione da parte del condominio all’esecuzione di lavori extra contratto, si ritiene che il condominio non debba corrispondere alcun compenso per le opere eseguite extra appalto”.

L’appaltatore può eseguire varianti non autorizzate solo in due casi. Innanzitutto, quando “secondo il prudente apprezzamento del giudice, (la modifica, ndr.) rivesta scarsa rilevanza rispetto alla prestazione dedotta in contratto” (Cassazione, sentenza n. 32828/2021). In secondo luogo, quando si tratta di variazioni necessarie. Infatti, l'art. 1660 C.C. dispone che in caso di “necessità”, l’appaltatore può procedere senza autorizzazione. Tuttavia, non sembra che l’eventuale approssimarsi della scadenza dei bonus possa rientrare in tale nozione, poiché, come stabilito dalla Cassazione con sentenza n. 10891/2017, “spetta al giudice accertare la necessità e determinare il corrispettivo delle relative opere”, necessità che la giurisprudenza riconduce tendenzialmente a modifiche in assenza delle quali l’opera non possa essere portata a termine.

Anche adottando un orientamento più estensivo, l’impresa che esegua opere difformi senza autorizzazione dovrebbe dunque attendere l’esito di un giudizio per determinare se le varianti non concordate fossero lecite o meno, e non vi è attualmente alcuna pronuncia giudiziaria in grado di inquadrare la scadenza di regimi fiscali agevolativi tra i motivi di “necessità”.

L’iniziativa dell’amministratore

Come già illustrato in precedenti articoli:

l’amministratore di condominio può disporre in autonomia interventi di manutenzione straordinaria solo se caratterizzati dall’urgenza (art. 1135 C.C.). Ciò significa, in sintesi, che se l’impresa esegue lavori (non urgenti) diversi da quelli approvati dall’assemblea su ordine dell’amministratore, il relativo rapporto obbligatorio non può riferirsi al condominio, che esprime la propria volontà solo tramite delibere assembleari regolarmente svolte.

Riguardo il concetto di urgenza, però, la giurisprudenza è abbastanza consolidata nel considerarla sussistente solo in caso di pericoli o danni all’immobile in termini strutturali o in caso di rischi per la sicurezza dei condomini (da ultimo Tribunale di Napoli, sentenza n. 4111/2023), rendendo complesso immaginare che la “fretta” di rispettare le scadenze di bonus edilizi possa rientrarvi.

Tuttavia, la giurisprudenza ammette che i lavori ordinati dall’amministratore, anche se non urgenti nel senso appena esposto, possano comunque essere legittimi, a condizione che subentri una ratifica “ex post” da parte dell’assemblea. Infatti, la Cassazione ha espresso tale orientamento nella sentenza n. 2864/2008, con la quale ha stabilito che “in considerazione dei poteri sovrani di cui dispone l'assemblea in tema di gestione del condominio, nulla si oppone, in linea di principio, a che la stessa possa procedere alla ratifica di una spesa effettuata dall'amministratore, che consideri comunque utile, anche quando manchi il requisito della urgenza”.

A cura di Cristian Angeli
ingegnere strutturista esperto di detrazioni fiscali applicate all’edilizia
www.cristianangeli.it

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