Sopraelevazione, vicinitas, sanzione acquisitiva, fiscalizzazione e stato legittimo: interviene il Consiglio di Stato

Una interessante pronuncia del Consiglio di Stato entra nel merito di un complicato caso di abuso edilizio, definendo alcuni concetti chiave

di Redazione tecnica - 31/01/2024

In cosa consiste il requisito della vicinitas necessario per agire contro un titolo edilizio? Quali sono le condizioni per applicare la sanzione alternativa (fiscalizzazione) alla demolizione? Quali sono le procedure che l’amministrazione deve attivare per la sanzione acquisitiva post inottemperanza alla demolizione? Cosa si intende per stato legittimo?

Testo Unico Edilizia: interviene il Consiglio di Stato

Quando si parla operativamente di Testo Unico Edilizia (il d.P.R. n. 380/2001) esistono fiumi di giurisprudenza che sono entrati nel merito delle diverse sfaccettature di una norma viziata da tante piccole e grandi problematiche. Sull’argomento registriamo la sentenza 25 gennaio 2024, n. 806 resa dal Consiglio di Stato su un complicatissimo caso che va avanti da oltre un trentennio e che riguarda un ampliamento volumetrico realizzato all’ultimo piano di una unità immobiliare non sottoposta a vincolo.

Ampliamento sul quale, dopo aver emesso ordinanza di demolizione, il Comune aveva optato per la sanzione alternativa (fiscalizzazione dell’abuso ai sensi dell’art. 33, comma 4, del d.P.R. n. 380 del 2001), salvo poi doverlo annullare a seguito di ricorso presentato e vinto dagli altri condomini dell’edificio.

Tralasciando di entrare nel dettaglio di una storia parecchio complessa e sul quale sia il giudice di primo grado che quello di secondo propongono una ancora più complicata ricostruzione, di seguito alcuni dei temi chiavi evidenziati dal Consiglio di Stato.

Sopraelevazione e vicinitas

Per prima cosa: chi può impugnare un titolo edilizio ordinario o in sanatoria? La domanda ha avuto una risposta definitiva dal Consiglio di Stato che, con la pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 22 del 2021, ha precisato che la mera vicinitas, intesa come vicinanza fisica della propria proprietà rispetto a quella oggetto dell’intervento edilizio contestato, non basta a dimostrare l’esistenza di un concreto ed attuale interesse a ricorrere, dovendosi affermare la distinzione e l’autonomia tra la legittimazione ad agire e l’interesse al ricorso.

Il Giudice è sempre tenuto ad accertare anche d’ufficio la sussistenza di entrambe le condizioni dell’azione, verificando se esiste un vantaggio concreto ed attuale che il ricorrente potrebbe effettivamente trarre dalla caducazione del titolo edilizio contestato, tenuto conto delle specifiche censure articolate in atti e concedendogli la possibilità di precisarlo e comprovarlo in corso di causa, in modo da evitare il compimento di attività giurisdizionali inutili, in contrasto con l’interesse pubblico all’efficienza ed efficacia del processo.

Tale principio non subisce deroghe neppure laddove ad agire sia un condomino, in relazione ad interventi che non interessino, o non interessino direttamente, parti comuni dell’edificio. Nel caso in esame l’intervento è consistito nella sopraelevazione dell’edificio, con riferimento alla quale le odierne appellate non a caso hanno proposto ricorso innanzi al giudice civile ai sensi dell’art. 1127 c.c. (Costruzione sopra l'ultimo piano dell'edificio).

In particolare l’incremento di volumetria, pur essendo stato realizzato sulla propria esclusiva, ma effettuando una sopraelevazione, soggiace comunque ai limiti e alle condizioni di cui ai commi 2 e 3 del richiamato art. 1127 c.c. Pur non essendo stato ritenuto provato il pregiudizio statico riveniente all’intero edificio, è stata al riguardo dichiarata “la discontinuità con la linea orizzontale superiore del fabbricato, […] arretrata rispetto alla facciata condominiale” nonché connotata dalla presenza di “due finestre di forma e finiture diverse da quelle esistenti nei piani inferiori e disallineate rispetto alle stesse, determinando un quid disarmonico rispetto al preesistente a scapito del pregio estetico del condominio nel suo aspetto architettonico”.

Ciò premesso, il Consiglio di Stato ha confermato che la tutela del valore architettonico dell’edificio condominiale, astrattamente pregiudicata da qualsivoglia ipotesi di sopraelevazione, integra sicuramente l’interesse ad agire avverso provvedimenti che ne legittimano il mantenimento, come accaduto nel caso di specie.

Sanzione acquisitiva a patrimonio comunale

Altro aspetto meritevole di approfondimento riguarda la sanzione acquisitiva a patrimonio comunale prevista all’art. 31 del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Tale articolo prevede, per i soli casi di opera eseguita in assenza di permesso di costruire o in variazione essenziale o totale difformità dallo stesso, quale conseguenza della mancata ottemperanza all’ordine di demolizione, un’automatica fattispecie acquisitiva al patrimonio del comune dell’opera abusiva e della relativa area di sedime (tema ripreso dall’Adunanza Plenaria con la sentenza 11 ottobre 2023, n. 16).

Il Consiglio di Stato conferma che l’ordine di demolizione e l’atto di acquisizione al patrimonio comunale costituiscono due distinte sanzioni, che rappresentano “la reazione dell’ordinamento al duplice illecito posto in essere da chi dapprima esegue un’opera abusiva e, poi, non adempie all’obbligo di demolirla”:

  • la sanzione disposta con l’ordinanza di demolizione ha natura riparatoria ed ha per oggetto le opere abusive, per cui l’individuazione del suo destinatario comporta l’accertamento di chi sia obbligato propter rem a demolire e prescinde da qualsiasi valutazione sulla imputabilità e sullo stato soggettivo (dolo, colpa) del titolare del bene;
  • l’acquisizione gratuita, quale conseguenza dell’inottemperanza all’ordine di demolizione e della relativa omissione, ha natura afflittiva (così come la correlata sanzione pecuniaria).

Da questo assunto viene riassunta la procedura da seguire secondo cui il responsabile dell’illecito, il proprietario ed i suoi aventi causa hanno sempre il dovere di rimuoverne le conseguenze, sicché vanno distinte le seguenti fasi temporali:

  1. fino a quando scade il termine fissato nell’ordinanza di demolizione, questi hanno il dovere di effettuare la demolizione, che, se viene posta in essere, evita il trasferimento della proprietà al patrimonio pubblico;
  2. qualora il termine per demolire scada infruttuosamente, i destinatari dell’ordinanza di demolizione commettono un secondo illecito di natura omissiva, che comporta, da un lato, la perdita ipso iure della proprietà del bene con la conseguente e connessa irrogazione della sanzione pecuniaria e, dall’altro, la novazione oggettiva dell’obbligo propter rem, perché all’obbligo di demolire il bene si sostituisce l’obbligo di rimborsare l’Amministrazione, per le spese da essa anticipate per demolire le opere abusive entrate nel suo patrimonio, risultanti contra ius (qualora essa non abbia inteso eccezionalmente utilizzare il bene ai sensi dell’art. 31, comma 5, del d.P.R.n. 380 del 2001);
  3. decorso il termine per demolire, qualora l’Amministrazione non decida di conservare il bene, resta la possibilità di un’ulteriore interlocuzione con il privato per un adempimento tardivo dell’ordine di demolire, che non comporta il sorgere di un diritto di quest’ultimo alla “retrocessione” del bene, né fa venire meno la sanzione pecuniaria irrogata, ma può evitargli, da un lato, la perdita dell’ulteriore proprietà sino a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita se non è già stata individuata in sede di ordinanza di demolizione, nonché gli eventuali maggiori costi derivanti dalla demolizione in danno.

In linea generale, il proprietario non ha più alcun diritto a porre in essere la demolizione dopo la scadenza del termine dei 90 giorni, spettando alla discrezionalità dell’Amministrazione di valutare se coinvolgerlo ulteriormente nella stessa. Quanto alla possibilità di chiedere una sanatoria, l’art. 36, comma 1, del Testo Unico Edilizia, consente la presentazione della relativa istanza “fino alla scadenza dei termini di cui agli articoli 31, comma 3, 33, comma 1, 34, comma 1, e comunque fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative” e dunque prima della scadenza del termine indicato per demolire o ridurre in pristino ovvero - nel caso in cui ciò non sia possibile - prima dell’irrogazione delle sanzioni previste in alternativa dagli articoli 33 e 34.

Ciò detto, il Consiglio di Stato ha ammesso che nella prassi accade sovente che i provvedimenti ripristinatori rimangano lettera morta per incapacità, semplice inerzia, ovvero addirittura scelta consapevole dell’amministrazione procedente. “La meccanicistica applicazione dei principi di diritto poc’anzi enunciati - affermano i giudici di Palazzo Spada - finirebbe dunque per determinare un incredibile quantitativo di situazioni nelle quali, a prescindere da qualsivoglia analisi del caso concreto, lo stato di diritto non corrisponde allo stato di fatto, a discapito delle più elementari esigenze di certezza delle situazioni giuridiche”.

In definitiva, comunque, l’effetto acquisitivo, seppure immediato, va considerato sottoposto ad una sorta di ineludibile condizione sospensiva, da ravvisare nel formale accertamento dell’inottemperanza, notificato all’interessato, come espressamente previsto all’art. 31, comma 4, del d.P.R. n. 380/2001. L’applicazione della sanzione ablatoria, in ragione della sua massima afflittività, presuppone necessariamente l’apertura di una parentesi accertativa/informativa che da un lato consente all’amministrazione di verificare l’elemento materiale dell’illecito, dall’altro mette il suo autore in condizione di difendersi, potendo trattarsi del nudo proprietario, estraneo e finanche inconsapevole della prima fase del procedimento. Essa risponde dunque ad esigenze di garanzia di difesa, ma anche a logiche di risparmio, stante che l’avvenuta demolizione spontanea, seppure tardiva, soddisfa pienamente e a costo zero le esigenze di buon governo del territorio dell’Amministrazione vigilante.

La fiscalizzazione dell’abuso (sanzione alternativa alla demolizione)

Interessante, oltre che puntuale, è la disamina del Consiglio di Stato relativa alla cosiddetta fiscalizzazione dell’abuso che prevede una sanzione alternativa alla demolizione. Secondo i giudici di Palazzo Spada, con il termine “fiscalizzazione” dell’abuso si intende un rimedio alternativo eccezionalmente concesso in luogo della demolizione. In particolare, si può accedere alla fiscalizzazione:

  • in caso di mancanza, totale difformità o variazione essenziale dal titolo riferito ad ristrutturazione edilizia (art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001);
  • a fronte di accertata difformità solo parziale dal permesso di costruire (art. 34, comma 2, e 2-bis, che ne ha esteso l’applicabilità anche agli interventi soggetti a s.c.i.a. alternativa al permesso di costruire di cui all’art. 23, comma 01);
  • all’esito di un annullamento, giudiziale o in autotutela, del titolo stesso (art. 38).

Non si può accedere alla sanzione alternativa (la cui scelta è rimessa unicamente al giudizio dell’amministrazione nella fase esecutiva della demolizione) nell’ipotesi, più grave, di avvenuta realizzazione di una “nuova opera” in assenza di permesso di costruire o in totale difformità o variazione essenziale dallo stesso.

Sul piano dei presupposti oggettivi, mentre nel caso di variazione essenziale o totale difformità ovvero di illiceità dell’intervento sopravvenuta all’annullamento del titolo si fa riferimento all’impossibilità di esecuzione, il cui accertamento motivato è demandato espressamente, almeno nella prima ipotesi, ai competenti uffici tecnici comunali (art.33, comma 2); laddove si tratti di parziale difformità la stessa è limitata alla verifica dell’impatto sulla “parte eseguita in conformità”, che non deve ricavarne pregiudizio.

Lo Stato Legittimo

Per ultimo, meritevole di segnalazione, è l’approfondimento relativo allo stato legittimo. Come ammesso dai giudici di secondo grado, lo “stato legittimo” dell’immobile è oggi declinato nell’art. 9-bis, comma 1-bis, del Testo Unico Edilizia che lo individua in “…quello stabilito dal titolo abilitativo che ne ha previsto la costruzione o che ne ha legittimato la stessa e da quello che ha disciplinato l’ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Per gli immobili realizzati in un’epoca nella quale non era obbligatorio acquisire il titolo abilitativo edilizio, lo stato legittimo è quello desumibile dalle informazioni catastali di primo impianto, o da altri documenti probanti, quali le riprese fotografiche, gli estratti cartografici, i documenti d’archivio, o altro atto, pubblico o privato, di cui sia dimostrata la provenienza, e dal titolo abilitativo che ha disciplinato l'ultimo intervento edilizio che ha interessato l’intero immobile o unità immobiliare, integrati con gli eventuali titoli successivi che hanno abilitato interventi parziali. Le disposizioni di cui al secondo periodo si applicano altresì nei casi in cui sussista un principio di prova del titolo abilitativo del quale, tuttavia, non sia disponibile copia”.

La disposizione, già sottoposta al vaglio della Corte costituzionale, è stata ritenuta rispettosa del riparto costituzionale in materia edilizia in quanto si limita ad individuare, in termini generali, la documentazione idonea allo scopo, definendo i tratti di un paradigma le cui funzioni sono quelle di semplificare l’azione amministrativa nel settore, di agevolare i controlli pubblici sulla regolarità dell’attività edilizio-urbanistica e di assicurare la certezza nella circolazione dei diritti su beni immobili.

Lo “stato legittimo dell’immobile”, dunque, riguarda una sua condizione permanente, preesistente alla stessa entrata in vigore della disposizione, da riferire a opere realizzate prima del 1967, ovvero in epoca ancor più risalente, nei centri urbani poi dotatisi di un regolamento che richiedeva la licenza edilizia per l’edificazione, o per cui esiste solo un principio di prova di un titolo edilizio, il cui originale o la cui copia non è più rintracciabile.

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