Superbonus e Bonus barriere architettoniche: quando lo Stato diventa un nemico

Con la conferma del Decreto Superbonus, si spengono le speranze del comparto edile per una soluzione agli annosi problemi derivanti dal blocco della cessione del credito

di Gianluca Oreto - 05/02/2024

Il bonus barriere architettoniche

Senza aggiungere altro sul superbonus e sul meccanismo di cessione, a questo punto possiamo passare all’ultima grande problematica, divenuta tale a seguito della scelta (che io considero scellerata) di intervenire in corsa sul bonus 75% previsto per l’eliminazione delle barriere architettoniche.

Sulle modifiche apportate dal D.L. n. 212/2023 (Decreto Superbonus) ne abbiamo già sufficientemente scritto.

Senza entrare nuovamente nel merito della correttezza delle disposizioni volute dal Governo con il Decreto Superbonus (approvato senza modifiche dalla Camera e, quindi, sostanzialmente definitivo nei contenuti), occorre evidenziare un aspetto determinante.

Il bonus 75% barriere architettoniche è stato disciplinato dalla Legge 30 dicembre 2021, n. 234 (Legge di Bilancio 2022) approvata nella scorsa legislatura (Governo Draghi). Questa detrazione è stata utilizzata tutto il 2022 e 2023, per poi essere prorogata fino al 31 dicembre 2025 (l’iniziale scadenza era fissata al 2024) dalla Legge 29 dicembre 2022, n. 197 (Legge di Bilancio 2023), approvata da questo Parlamento (Governo Meloni).

A seguito della proroga al 2025 e dopo un biennio di “start-up”, il comparto delle costruzioni (che, ricordiamo, si compone anche dei produttori) ha cominciato a riorganizzare i sistemi di produzione per rispondere alla domanda crescente di sistemi edilizi e impiantisti conformi ai requisiti previsti dal regolamento di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici 14 giugno 1989, n. 236.

Con il D.L. n. 212/2023, arrivato come un pugno nello stomaco, il Governo ha deciso di limitare il bonus 75% per l’abbattimento della barriere architettoniche di tipo “verticale” (scale, rampe, ascensori, servoscala e piattaforme elevatrici), eliminando la possibilità di utilizzarlo per quelle “orizzontali” (infissi, vasca da bagno,…).

Una scelta dettata (indubbiamente) da un bonus molto “ampio” (utilizzato per tutti i lavori correlati e collegati) sul quale era stata “dimenticata” persino l’asseverazione di un tecnico ma che, ancora una volta, punisce i giusti per i peccatori (quanto hanno speso i produttori, ad esempio, di infissi per riorganizzare i sistemi di produzione? domanda questa che i nostri Governanti avrebbero potuto/dovuto porsi).

Conclusioni

Alla luce di questo racconto (che mi perdonerete per l’eccessiva lunghezza), è evidente che l’art. 1 della Costituzione risulta essere sempre più distante da una realtà in cui chi produce lavoro è ormai messo ad un angolo da uno Stato che ormai viene considerato “nemico”.

E a nulla servono i (pochi a dir vero) cortei in Piazza, le denunce alla Corte dei Conti o al Parlamento Europeo. Il dato di fatto è solo uno: mai fidarsi di una legge dello Stato, meglio basarsi unicamente sulle proprie forze ricordando di avere a fianco un socio occulto a cui versare parte dei guadagni generati con fatica, sudore e abnegazione.

Certo, se questi guadagni fossero utilizzati per migliore le infrastrutture, la sanità, la scuola,…forse saremmo tutti anche più contenti.

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