Superbonus e crediti fiscali incagliati: CANDE chiama la Corte dei Conti

Una rappresentazione contabile che non corrisponde alla realtà: chiesta giustizia per una spesa pubblica mai sostenuta

di Redazione tecnica - 09/05/2025

Tra classificazioni statistiche, regolamenti europei e saldi di finanza pubblica, la questione dei crediti fiscali derivanti dal Superbonus torna a occupare il centro del dibattito. Questa volta non si tratta di una circolare o di una FAQ interpretativa, ma di un atto formale: un esposto alla Procura Generale della Corte dei Conti presentato da CANDE - Class Action Nazionale dell’Edilizia, associazione che rappresenta oltre 250 imprese e professionisti del settore.

L’obiettivo? Fare chiarezza sulla legittimità della classificazione contabile dei crediti fiscali maturati nel 2023 e verificare se, nel rappresentare in bilancio una spesa mai effettivamente sostenuta, si sia prodotto un danno erariale. Il tema riguarda non solo le modalità con cui lo Stato ha gestito contabilmente i bonus edilizi, ma anche le ricadute concrete su migliaia di imprese e contribuenti che non hanno potuto utilizzare quei crediti né in compensazione né in cessione.

Crediti “pagabili”, ma inutilizzabili

Il cuore dell’esposto è chiaro: come si possono considerare “pagabili” dei crediti che non possono essere usati, ceduti o rimborsati? Secondo CANDE, la classificazione adottata da ISTAT – fondata sui nuovi criteri introdotti dall’aggiornamento 2022 del Manual on Government Deficit and Debt (MGDD) – ha permesso al Governo di registrare nei conti pubblici una spesa fittizia per l’intero ammontare dei crediti maturati, gonfiando il deficit ESA B.9 ma senza che tali crediti siano stati effettivamente fruiti dai beneficiari finali.

In altre parole, mentre i documenti ufficiali parlano di risorse destinate a famiglie e imprese, nella realtà si è trattato di una partita puramente contabile, perché quei crediti – privati delle opzioni alternative (sconto in fattura e cessione) dal D.L. n. 11/2023 prima e dal D.L. n. 39/2024 poi – sono rimasti bloccati nei cassetti fiscali, spesso svenduti all’asta o, peggio, del tutto inutilizzabili.

La ricostruzione tecnica: dai conti pubblici al danno erariale

Nell’esposto si contesta in particolare:

  1. la legittimità della classificazione “pagabile” dei crediti Superbonus, in contrasto con il Regolamento (UE) n. 549/2013 (SEC 2010), che richiede l’effettivo rimborso per definire un credito come tale;
  2. l’impatto contabile indebito sulle voci B.9 (saldo netto di finanziamento), D.5 (entrate tributarie) e D.75 (trasferimenti correnti) del Sistema Europeo dei Conti;
  3. la possibile creazione di margini fiscali non giustificati, che avrebbe consentito al Governo di spendere di più altrove, pur in assenza di un reale esborso per i bonus edilizi;
  4. la vendita coatta all’asta dei crediti fiscali, svuotati di valore proprio dalla riclassificazione adottata;
  5. la necessità di attivare strumenti di responsabilità contabile, qualora fossero accertate irregolarità nella rappresentazione delle poste di bilancio;
  6. la richiesta urgente di un meccanismo di rimborso per i crediti incagliati, soprattutto a beneficio di imprese e soggetti incapienti.

Parallelamente, CANDE ha anche avviato una procedura presso la Commissione Europea (prot. CPLT 2024-01889) per presunta violazione del diritto dell’Unione, portando così la questione a un livello sovranazionale.

Contabilità creativa o tutela dei conti?

Il caso solleva una questione più ampia: può lo Stato contabilizzare come spesa pubblica un credito d’imposta che, di fatto, non ha generato alcun trasferimento né benefici fiscali per il destinatario?

Secondo CANDE la risposta è no. E se Eurostat ha aperto alla classificazione “ibrida” dei crediti “pagabili ma non rimborsabili”, il SEC 2010 – cioè il regolamento europeo di riferimento – resta più rigoroso: un credito è pagabile solo se lo Stato si impegna a restituirne l’eccedenza non utilizzata. Qualsiasi altra interpretazione, pur ammessa in chiave statistica, rischia di allontanare la contabilità dalla realtà e di generare squilibri non dichiarati.

Conclusioni

L’esposto di CANDE non è solo un atto tecnico, ma una presa di posizione politica e sociale. Le parole del Presidente Roberto Cervellini sono eloquenti: “Lo Stato ha costruito una facciata contabile, mentre lascia i cittadini senza casa e le imprese senza futuro. Non lo permetteremo”.

Difficile dargli torto: se la classificazione contabile serve a fotografare la realtà economica di un Paese, oggi la fotografia appare ritoccata. E mentre l’immagine ufficiale mostra un Paese che spende per sostenere imprese e famiglie, sul campo restano crediti incagliati, imprese fallite e cantieri abbandonati.

La Corte dei Conti è chiamata ora a verificare se tutto questo sia accaduto nel rispetto delle regole. Il settore, intanto, aspetta risposte.

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