Whistleblowing: il TAR dice no ad ANAC

Illegittimo il provvedimento dell'Autorità basato su un’istruttoria incompleta e privo di adeguata motivazione, quando il segnalato dimostri di non avere effettuato ritorsioni

di Redazione tecnica - 27/09/2023

La tutela dei c.d. “segnalanti” o whistleblowers è giunta quest’anno a un punto di svolta, con l’entrata in vigore del d.Lgs. n. 24/2023, di attuazione della direttiva UE 2019/1937, riguardante la protezione delle persone che segnalano violazioni del diritto dell’Unione e recante disposizioni riguardanti la protezione delle persone che segnalano violazioni delle disposizioni normative nazionali.

Whistleblowing: no a provvedimenti ANAC immotivati

Con il provvedimento è stata infatti disciplinata  in maniera organica la protezione dei soggetti che, venuti a conoscenza in un contesto lavorativo pubblico o privato di violazioni di disposizioni normative nazionali o della UE che ledono l’interesse pubblico o l’integrità della PA o dell'ente interessato, provvedono a segnalarle.

Precedentemente, la disciplina di riferimento faceva capo all’art. 54-bis del d.Lgs. n. 165/2001 “Tutela del dipendente pubblico che segnala illeciti”) e che, per ratione temporis, ha guidato la decisione del TAR Lazio nella sentenza n. 13838/2023, che ha annullato la delibera ANAC che accertava la natura ritorsiva e la conseguente nullità del provvedimento di trasferimento di un medico presso un’altra sede, irrogando anche una sanzione di 5mila euro nei confronti del dirigente che aveva deciso il trasferimento.

Tutto nasce dalla segnalazione ad ANAC, da parte di un medico, del trasferimento presso un’altra sede, quale effetto ritorsivo da parte del proprio direttore, per avere effettuato delle altre segnalazioni, sempre all'Autorità, di altri illeciti commessi dal dirigente.

L’Autorità ha quiindi avviato procedimento ex art. 54-bis, d.lgs. n. 165/2001 – osservando che «il responsabile della misura ritenuta ritorsiva, avrebbe appreso delle segnalazioni ad ANAC» e che «il trasferimento di sede, risulta sprovvisto di esplicita motivazione ed è stato sottoscritto da colui che è illsoggetto direttamente interessato dalle segnalazioni presentati dal whistleblower, con conseguente configurabilità del fine ritorsivo».

Il Direttore si sarebbe difeso specificando che il trasferimento era stato disposto per incompatibilità ambientale, determinata da una serie di conflitti con diversi colleghi, e in particolare a seguito di spiacevoli episodi con una di loro.

I presupposti per la tutela del whistleblower: la sentenza del TAR

Nel ricorso presentato al TAR, il presunto responsabile della ritorsione ha specificato che ANAC avrebbe adottato la delibera “nel difetto dei presupposti per l’operatività delle forme di tutela del cd. whistleblower" e osservando, in particolare che:

  • l’Autorità aveva errato nel ritenere che il ricorrente fosse a conoscenza delle segnalazioni sollevate nei suoi confronti, arrivando a una siffatta conclusione all’esito di un’istruttoria superficiale e viziata;
  • l’Autorità aveva erroneamente considerato come ritorsivo un provvedimento che era solamente "la diretta ed inevitabile conseguenza di una effettiva e dimostrabile situazione di conflittualità" e che non arrecava alcun pregiudizio al segnalatore;
  • il presunto whistleblower aveva inviato le segnalazioni all’ANAC relativamente a fatti noti da tempo e a informazioni reperibili nel sito web aziendale – al solo fine di "disporre di uno strumento di pressione o per poterlo ricusare, motivo per cui non poteva essere considerato quale whistleblower".

Secdono l’Autorità hnon c'erano dubbi sulla possibilità di qualificare il dirigente quale whistleblower, rilevando che «la finalità pubblicistica richiesta dall’articolo 54-bis non è esclusa dalla compresenza di una finalità anche personale del dipendente pubblico, laddove si verifica che quest’ultima non sia prevalente ma solo concorrente e/o coincidente con quella pubblica».

Di diverso avviso il TAR, che ha ritenuto fondato il ricorso, evidenziando che la normativa applicabile ratione temporis alla vicenda oggetto del giudizio è quella di cui all’art. 54-bis, d.lgs. n. 165/2001, il quale prevedeva che:

  • «il pubblico dipendente che, nell'interesse dell'integrità della pubblica amministrazione, segnala … all’Autorità nazionale anticorruzione (ANAC) … condotte illecite di cui è venuto a conoscenza in ragione del proprio rapporto di lavoro non può essere sanzionato, demansionato, licenziato, trasferito, o sottoposto ad altra misura organizzativa avente effetti negativi, diretti o indiretti, sulle condizioni di lavoro determinata dalla segnalazione» (comma 1);
  • «qualora venga accertata, nell'ambito dell'istruttoria condotta dall'ANAC, l'adozione di misure discriminatorie da parte di una delle amministrazioni pubbliche o di uno degli enti di cui al comma 2, fermi restando gli altri profili di responsabilità, l'ANAC applica al responsabile che ha adottato tale misura una sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 30.000 euro» (comma 6);
  • «è a carico dell'amministrazione pubblica o dell'ente di cui al comma 2 dimostrare che le misure discriminatorie o ritorsive, adottate nei confronti del segnalante, sono motivate da ragioni estranee alla segnalazione stessa» (comma 7, primo periodo);
  • «gli atti discriminatori o ritorsivi adottati dall'amministrazione o dall'ente sono nulli» (comma 7, secondo periodo).

L'onere della prova a carico del segnalato

Attraverso tale disposizione – così come evidenziato nelle Linee Guida approvate da ANAC con delibera 9 giugno 2021, n. 469, il legislatore ha quindi optato «per un’inversione dell’onere probatorio stabilendo al comma 7 dell’art. 54-bis, che laddove il segnalante dimostri di avere effettuato una segnalazione di illeciti di cui all’art 54-bis e di aver subito, a causa della segnalazione, una misura ritorsiva o discriminatoria, l’onere della prova grava sulla persona che ha posto in essere tale misura», sicché è quest’ultima a essere tenuta a dimostrare che «l’azione intrapresa non è in alcun modo connessa alla segnalazione».

Le stesse Linee Guida, nel declinare i principi del procedimento svolto innanzi all’Autorità, hanno quindi chiarito che poiché nel «procedimento innanzi ad ANAC … l’intento ritorsivo si presume … è necessario che le prove in senso contrario emergano nel contraddittorio con ANAC» ed hanno sottolineato che «a tal fine è fondamentale che il presunto responsabile fornisca tutti gli elementi da cui dedurre l’assenza della natura ritorsiva della misura adottata nei confronti del segnalante».

Ciò naturalmente, se per un verso non importa alcuna limitazione ai poteri istruttori di ANAC, allo stesso tempo impone all’Autorità, ove il presunto responsabile fornisca elementi di prova sufficienti a fondare una giustificazione del provvedimento segnalato come ritorsivo, di svolgere un’adeguata istruttoria su quanto dedotto dal presunto responsabile e di motivare adeguatamente sulle eventuali ragioni che la inducono a ritenere non sufficienti le giustificazioni offerte in sede procedimentale.

Nel caso in esame, il ricorrente ha fondato la propria difesa su due argomenti che lo stesso TAR ha ritenuto idonei ad escludere la natura ritorsiva del procedimento, ovvero che:

  • il dirigente non era a conoscenza delle precedenti segnalazioni inviate ad ANAC;
  • il trasferimento era giustificato da ragioni di incompatibilità ambientale.

Di conseguenza, il Collegio ha accolto il ricorso, specificando che le conclusioni cui è giunta l’Autorità con riferimento ad entrambe le circostanze (conoscenza delle segnalazioni e pretestuosità del trasferimento per incompatibilità ambientale) siano viziate per carenza di istruttoria e conseguente carenza di motivazione.

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