Norme Tecniche per le Costruzioni: il capitolo 8 sugli Edifici esistenti

La recente approvazione della bozza delle nuove Norme Tecniche per le costruzioni, dopo alcuni anni di discussioni, ha suscitato un dibattito con pareri dive...

01/12/2014
La recente approvazione della bozza delle nuove Norme Tecniche per le costruzioni, dopo alcuni anni di discussioni, ha suscitato un dibattito con pareri diversi, anche se prevalentemente positivi.

L'importante determina del Consiglio, è stata approvata con solo 24 voti a favore, su 34 presenti dei circa sessanta componenti del Consiglio (Numeri ricavati durante la seduta e passibili di piccoli errori): il risultato non può essere pertanto considerato pienamente soddisfacente sia per il modesto numero dei consiglieri che hanno ritenuto di dover garantire la propria presenza alla votazione, sia per il limitato numero di voti favorevoli, soprattutto se si pensa al lungo tempo di gestazione che è stato necessario per arrivare ad un testo tecnico così poco condiviso. Certamente la necessità di arrivare comunque ad una approvazione dopo tanto tempo ha condizionato il risultato.

In realtà i punti sui quali in sede di votazione si sono create contrapposizioni sono stati pochi rispetto al complesso delle norme: alcuni coefficienti di sicurezza per il legno, alcune specifiche sui giunti verticali delle nuove murature, alcune note sui problemi di geotecnica, ma le diversità maggiori si sono avute sul capitolo 8. relativo agli edifici esistenti.

Per questo capitolo il Consiglio ha votato su due testi contrapposti redatti dalla commissione istruttoria, senza poter trovare una convergenza su un testo unico che tenesse pienamente conto anche del dibattito in aula.

In realtà l'argomento è di grande attualità sia perché la maggior parte degli investimenti nell'edilizia è concentrata negli interventi sull'esistente (recupero, riuso, consolidamento sismico ecc.), sia perché sulle procedure per l'analisi della sicurezza degli edifici esistenti è in atto un cambiamento culturale notevole, direi una rivoluzione, che non è sempre facile da comprendere e da accettare, per le differenze operative che ha introdotto tra le metodologie per la progettazione dei nuovi edifici e lo studio dei manufatti esistenti.

I concetti di sicurezza, come puro rapporto tra una resistenza e un'azione esterna, e di responsabilità progettuale, come certificazione di tale rapporto, che nel tempo sono andati definendosi per la progettazione delle nuove strutture, sono infatti entrati in crisi nelle valutazioni della sicurezza degli edifici esistenti per l'incertezza dei dati di partenza, per l'inefficacia delle procedure di analisi numerica e per la necessità di raggiungere una conoscenza adeguata a individuare la presenza di deficienze costruttive e fenomeni di dissesto e degrado per lo più non quantificabili.

Un cambiamento che, a mio avviso, l'attuale massimo consesso tecnico italiano per le costruzioni ha dimostrato di non aver assimilato (o voluto assimilare). Diversa era l'impostazione delle norme precedenti e delle Linee Guida per gli edifici tutelati (edifici comunque caratterizzati da comportamenti strutturali non dissimili da quelli non tutelati).
Storicamente, a partire dall'inizio del secolo scorso, le Norme Tecniche sono nate per regolamentare le nuove tecnologie costruttive. Il capitolo sugli edifici esistenti è stato introdotto solo in tempi relativamente recenti e ha sempre risentito della preparazione scientifico culturale dei tecnici esperti delle nuove costruzioni in acciaio e in conglomerato cementizio armato e dell'impostazione data alle norme per la progettazione delle nuove opere, finalizzate, ovviamente, agli aspetti di quantificazione virtuale di qualcosa che non esiste ancora, da realizzare con materiali certificati. D'altronde il consolidamento è disciplina d'insegnamento abbastanza recente, soprattutto nelle facoltà d'ingegneria.

Le priorità progettuali per i vecchi edifici sono ben diverse da quelle degli edifici nuovi: gli edifici esitenti costituiscono una realtà fisica concreta per la quale il problema principale è quello della conoscenza, ovvero dell'individuazione di eventuali criticità, fenomeni di degrado e vizi nascosti, anche non quantificabili; sono queste, infatti, le problematiche che spesso costituiscono il pericolo maggiore per la stabilità dei vecchi edifici, soprattutto nel caso di edifici in muratura totalmente artigianali sottoposti a eventi sismici.

Nessun aiuto può venire su questo argomento dagli Eurocodici o dalla normativa di altri paesi: su questo tema l'Italia, paese di edifici storici e di terremoti, è certamente all'avanguardia e dispiace che decenni di esperienze e di studi scientifici, nati in Italia a partire dagli eventi sismici che si sono sviluppati negli anni '60-'70 del secolo scorso, non siano stati adeguatamente considerati nel redigere il testo appena approvato. Ha prevalso un vecchio tecnicismo che non ha riscontro nella più recente attività scientifica e operatività che ha rivalutato l'importanza delle verifiche empiriche di rispondenza delle costruzioni tradizionali in muratura con le regole del costruire correttamente.

L'esperienza degli eventi sismici degli ultimi decenni ha infatti dimostrato come i crolli degli edifici in muratura siano avvenuti principalmente per criticità locali, per lo più dovute a cattiva realizzazione o a fenomeni di degrado.

Le note seguenti fanno riferimento soprattutto agli edifici in muratura e ai numerosissimi edifici misti, ma possono essere applicate anche a molti casi di edifici in conglomerato cementizio armato.

In sintesi, l'obiezione fondamentale è riferita alla frase che è stata introdotta all'inizio del punto 8.3. Valutazione della sicurezza, che costituisce, a nostro avviso, una specie di peccato originale, una fiducia incondizionata nel calcolo, che condiziona, purtroppo, anche le modifiche introdotte nei punti successivi della norma.

Si legge, infatti, al punto 8.3. "... la verifica sismica degli edifici esistenti è un procedimento quantitativo..."

La frase, per l'assolutezza di come è scritta, non ha rispondenza con la realtà operativa, crea difficoltà computazionali per essere rispettata e deresponsabilizza i progettisti rispetto alla ricerca delle criticità locali non quantificabili, che sono spesso quelle che creano per prime danni agli edifici. Un cornicione non si calcola, quindi il problema della sua stabilità non rientra nella verifica sismica.

Se osserviamo bene le Norme Tecniche nel loro insieme, l'obbligo di quantificare interamente gli interventi non esiste nemmeno per gli edifici nuovi, per i quali sarebbe molto più facile, non trovandosi di fronte a situazioni di degrado e di dissesto le più varie: per gli edifici nuovi (in acciaio, in conglomerato cementizio armato, in legno o in muratura) esistono nelle Norme Tecniche pagine e pagine di indicazioni tecniche cogenti finalizzate alla corretta esecuzione, per lo più definite sperimentalmente, per evitare inutili e incerti calcoli.

Queste indicazioni tecnico-costruttive non possono esistere, per evidenti ragioni, per gli edifici esistenti, in quanto la casistica non potrebbe mai essere esaustiva, ma l'alternativa di calcolare tutto, invece di rimandare alla verifica della corretta esecuzione e del rispetto delle regole dell'arte di costruire, appare del tutto priva di operatività pratica.

Sarebbe bastato scrivere nel punto 8.3. che "la verifica sismica degli edifici esistenti è un procedimento che in parte è quantitativo" e che "il giudizio sulla sicurezza deve tenere conto anche delle criticità non quantificabili".

L'inserimento di una simile specifica sarebbe stato sufficiente per rendere accettabile il contenuto restante della norma, in quanto avrebbe esplicitato i limiti di validità delle quantificazioni richieste e richiamato alle doverose responsabilità dei progettisti rispetto ai pericoli complessivamente presenti in un edificio in caso di sisma.

Se la verifica sismica è (solamente) un procedimento quantitativo, questo vuol dire che tutto si può e, soprattutto, da domani, si dovrà quantificare: dal comportamento globale di un edificio, agli effetti di un'iniezione in una muratura, al beneficio ottenuto chiodando una carpenteria di copertura o di un solaio, all'entità dell'attrito tra due elementi strutturali, alla stabilità di un cornicione o di un comignolo, al rischio di sfilamento di una trave da un muro.

È evidente che tutto ciò è assurdo e se fosse applicato seriamente comporterebbe una enormità di calcoli teorici per lo più del tutto avulsi dal comportamento reale. Verrà disatteso e dispiace per la perdita di autorevolezza del Consiglio che ha approvato la norma.
L'oggettività di tali calcoli è in realtà una chimera, se non un imbroglio sottaciuto.

La necessità, ripetuta dalle norme, di effettuare verifiche dei meccanismi locali, in quanto spesso più significativi del comportamento reale delle strutture murarie, ne è la dimostrazione: i meccanismi locali vengono definiti in modo del tutto empirico in base all'esperienza e alla sensibilità statica del progettista, spesso con il solo ausilio di abachi molto schematici di tali meccanismi (si vedano le linee guida per gli edifici tutelati) definiti in base all'esperienza e del tutto simili ai meccanismi descritti nei manuali settecenteschi.
Negli edifici in muratura con solai lignei, caratteristici dei nostri centri storici e delle nostre campagne, il comportamento globale di un edificio, semplicemente, non esiste, non essendo presenti elementi resistenti a trazione indispensabili per una qualche ripartizione delle azioni. Anche la suddivisioni degli edifici in aree di influenza è per lo più un'operazione empirica e grossolana.

Recenti studi sulle verifiche sismiche effettuate su un numero significativo di edifici in Emilia Romagna dalle tre università della Regione hanno dimostrato che le analisi globali, sottostimano gravemente la sicurezza, con errori dell'ordine del 100% rispetto ai meccanismi locali definiti empiricamente.

I modelli di calcolo realizzabili con i programmi commerciali prendono in considerazione solamente alcune criticità (collassi nel piano e (talvolta) collassi fuori dal piano delle murature, come citato anche nella norma), ma trascurano completamente altre criticità fondamentali, come, ad esempio, il disgregarsi di una carpenteria lignea di copertura. Quanti sono i programmi che considerano l'effettiva deformabilità dei solai e delle coperture, o la possibilità di sfilarsi delle travi o la pericolosità dei cornicioni e dei comignoli o la possibilità di un cantonale di un tetto di scivolare facendo ribaltare un muro o gli effetti di un assestamento fondale o di un fuoripiombo o la presenza di una canna fumaria? Negli edifici in muratura sono questi i principali pericoli in caso di terremoto. Da oggi dovremo quantificarli tutti? Prima e dopo gli interventi di consolidamento? Con quale affidabilità scientifica?

Anche la quantificazione delle caratteristiche meccaniche delle vecchie murature, base necessaria per le quantificazioni, è una chimera mutuata dalle modellazioni virtuali necessarie per i nuovi edifici: come è possibile quantificare con un minimo di affidabilità caratteristiche meccaniche di materiali artigianali, disomogenei, degradati, di muri a sacco o ricostruiti in parte? Come è possibile, con un numero di saggi così limitato e con prove così incerte come quelli possibili nelle vecchie murature, effettuare valutazioni di tipo statistico e ottenere valori che abbiano un minimo di decenza scientifica?

Con tali premesse, se la parola scientificità ha un senso, i risultati delle quantificazioni non possono essere adottati come il solo riferimento oggettivo per la determinazione della sicurezza.

Nella maggior parte dei casi degli edifici esistenti in muratura il livello di sicurezza non è quantificabile, ma è il risultato di una serie di analisi delle quali le quantificazioni sono solo uno degli strumenti e non è sintetizzabile in un solo numero. La sicurezza può solo essere l'oggetto di una relazione che considera la qualità complessiva di un manufatto della quale il progettista deve assumersi inevitabilmente la responsabilità della completezza e correttezza. L'utilizzo corretto degli edifici rientra invece nelle responsabilità del proprietario-gestore.

Se consideriamo che il livello di sicurezza medio degli edifici esistenti, ottenuto con quantificazioni, è intorno al 35-40% del livello di sicurezza richiesto agli edifici nuovi, si comprende come la responsabilità del tecnico non possa essere che limitata alla certificazione dello stato di fatto, con indicazione delle principali criticità.

Si comprendono le preoccupazioni dei professionisti: se la responsabilità di tale situazione dovesse ricadere sui tecnici, certamente questi dovrebbero, giustamente, chiedere l'immediata chiusura di tutti i nostri centri storici.

Ulteriori perplessità sorgono leggendo il punto 8.4.1. Riparazione o intervento locale.
Si legge infatti nel capitolo 8.4.1. "Nel caso di interventi di rafforzamento locale, volti a migliorare le caratteristiche meccaniche di elementi strutturali o a limitare la possibilità di meccanismi di collasso locale, è necessario quantificare il miglioramento locale del livello di sicurezza".

Questa imposizione è chiaramente una ulteriore conseguenza del peccato originale presente nel punto 8.3.: ancora una volta prevalgono la fiducia nelle capacità computazionali di ogni dettagli e l'obbligo della quantificazione.

Dovremo quantificare il livello di sicurezza prima e dopo interventi tipo la stuccatura dei giunti, la ripresa di parti murarie, l'esecuzione di iniezioni e di interventi di cuci-scuci anche se locali, l'aumento dell'appoggio di una trave, il consolidamento di un comignolo, la chiodatura tra due elementi lignei ecc. .

Quale follia burocratica ha colpito i normatori-quantificatori?
Il punto 8.5. ha avuto un titolo modificato, che denuncia ancora una volta l'ossessione del calcolo globale: Definizione del modello di riferimento per le analisi.
Molto meglio era il testo precedente che recitava con maggiore genericità: Procedure per la valutazione della sicurezza e la redazione dei progetti.
Perché si parla di un modello quando, quanto meno, bisognerebbe parlare di vari modelli, considerando le molteplici criticità locali? È evidente il tentativo di indirizzare verso il modello (commerciale) di calcolo globale che deresponsabilizza rispetto alla scelta personale delle migliori procedure per la valutazione.
Infine, si legge al punto 8.5.4. Livelli di conoscenza e fattori di confidenza: "il livello LC3 si intende raggiunto quando si disponga di: … documenti progettuali".
Per i vecchi edifici in muratura non esistono i documenti progettuali, per cui la norma è stata scritta pensando solo agli edifici in c.a. e in acciaio post 1971 dei quali si spera siano depositati e reperibili i progetti.
Impossibile raggiungere il livello LC3 per i vecchi edifici in muratura; l'estensione delle indagini in loco (vero strumento fondamentale per determinare la sicurezza degli edifici esistenti) non conta; quindi meglio non perderci tempo e soldi. Questa frase sembra una ulteriore disattenzione nella redazione della norma che denuncia come, nonostante il tanto tempo passato in discussioni, il testo sia stato poi licenziato senza una ponderata revisione.

In conclusione, nonostante alcune positive modifiche del testo 2008, miranti a rendere più facile l'eventuale adeguamento, la nuova norma per gli edifici esistenti, riducendo tutto il procedimento di verifica della sicurezza a quantificazioni non mette in evidenza le più frequenti cause di dissesti sismici, non impone un adeguato percorso di conoscenza e soprattutto crea maggiori vincoli operativi rispetto alla norma precedente introducendo rigidità e oneri computazionali incerti e inutili che, in realtà, solo apparentemente creano una riduzione delle responsabilità dei progettisti.

A cura di Prof. Carlo Blasi - Membro del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici
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