Equo compenso e bandi gratuiti: per il TAR non c'è nessuna incompatibilità

"Laddove il compenso in denaro sia stabilito, esso non può che essere equo". Questo è il principio stabilito dal Decreto Legge n. 135/2018 che ha vincolato l...

07/10/2019

"Laddove il compenso in denaro sia stabilito, esso non può che essere equo". Questo è il principio stabilito dal Decreto Legge n. 135/2018 che ha vincolato le amministrazioni pubbliche al rispetto dell'equo compenso per l'affidamento degli incarichi professionali ma che non impedisce al professionista, senza incorrere in alcuna violazione, neppure del Codice deontologico, di prestare la propria consulenza senza pretendere ed ottenere alcun corrispettivo in denaro.

Ed è proprio questo il vulnus di una questione nata qualche anno fa con il noto caso di Catanzaro, che ha sdoganato per la prima volta nel nostro Paese i bandi a titolo gratuito, e su cui ancora oggi si discute a colpi di sentenze della giustizia amministrativa, destinate più a confondere che altro.

L'ultima arriva dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio con la sentenza n. 11411/2019, entrata nel merito di un altro caso celebre: quello dell'avviso di manifestazione di interesse pubblicato dalla Direzione Generale “Sistema Bancario e Finanziario-Affari Legali” con il quale il Dipartimento del Tesoro del MEF informava di volersi avvalersi di professionisti altamente qualificati per una consulenza di due anni a titolo gratuito.

Avviso sul quale si erano già espresse la Rete delle Professioni Tecniche (RPT) e il Comitato Unitario delle Professioni (CUP) con un comunicato congiunto, il Consiglio Nazionale Forense, il Notariato e i Dottori Commercialisti e ed Esperti Contabili con una lettera al MEF, ai quali il Ministero dell'Economia e delle Finanze aveva risposto con la più classica della scuse ammettendo che "Il bando relativo ad incarichi gratuiti (...) non costituisce un’opportunità lavorativa. La parola “consulenza gratuita” – pure se richiamata nel bando – non è da intendersi come rapporto di lavoro o fornitura di un servizio professionale che come tale sarebbe regolato dalle procedure del Codice degli Appalti" che, però, ha evidentemente fatto breccia tra le disquisizioni del Tribunale di primo grado.

Benché sull'argomento io mi sia espresso personalmente con interventi e articoli dimostrando la netta differenza tra il bando di Catanzaro (ante D.Lgs. n. 56/2017 che ha modificato, tra le altre cose, l'art. 24 del D.Lgs. n. 50/2016) e quelli venuti dopo (post D.Lgs. n. 56/2017) in cui vigeva l'obbligo per le stazioni appaltanti di determinare l'importo da porre a base di gara per i servizi di architettura e ingegneria sulla base del Decreto Parametri, la nuova sentenza del TAR (di primo grado e quindi in attesa di conferma dei successivi gradi) interviene con argomentazioni che potrebbero creare delle crepe non indifferenti al concetto stesso di incarico professionale.

Secondo il TAR, infatti, il bando del MEF è una "mera manifestazione di interesse a prestare, senza che sia prefissata la frequenza e l’entità dell’eventuale prestazione nell’arco temporale di due anni, la propria consulenza nelle stesse suddette materie in vista anche dell’adozione e/o integrazione di normative primarie e secondarie ai fini, tra l’altro, dell'adeguamento dell'ordinamento interno alle direttive/regolamenti comunitari”. Genericità che renderebbero il bando legittimo in quanto, come spiegato anche nella risposta del MEF, all’esito della valutazione dei curricula inviati dai professionisti partecipanti alla manifestazione, non si instaurerebbe un rapporto di lavoro né è prevista la fornitura di un servizio professionale.

Secondo i giudici di primo grado, la caratteristica occasionale della consulenza, seppure nell’arco temporale ordinariamente di due anni, non può qualificarsi come contratto di lavoro autonomo. Lo dimostrerebbe anche la previsione nell'avviso della possibilità, per il professionista, di porre fine unilateralmente all’incarico in qualunque momento.

Non si tratterebbe neppure di servizio il cui affidamento è sottoposto alla disciplina del Codice dei Contratti pubblici in quanto l’assenza della previsione del numero ben definito di incarichi da conferire, dell’individuazione puntuale dell’oggetto e della consistenza di ciascun incarico, nonché di una selezione vera e propria, con una graduatoria finale, escluderebbe l'obbligo di applicare le norme di cui al D.Lgs n. 50/2016.

In riferimento alla disciplina dell'equo compenso, anche in questo caso il TAR è stato chiaro ammettendo che la stessa deve intendersi nel senso che, laddove il compenso in denaro sia stabilito, esso non possa che essere equo. Nulla impedisce al professionista, senza incorrere in alcuna violazione, neppure del Codice deontologico, di prestare la propria consulenza, in questo caso richiesta solo in modo del tutto eventuale nei due anni stabiliti, senza pretendere ed ottenere alcun corrispettivo in denaro.

Ma non solo, secondo i giudici del TAR i professionisti aderenti all'avviso avrebbero vantaggi di natura diversa da quella economica derivante dall'arricchimento professionale legato alla partecipazione ad eventuali tavoli, allo studio di particolari problematiche ed altro, nonché quale possibilità di far valere tutto ciò all’interno del proprio curriculum vitae. Sia per i professionisti con esperienza che per i giovani che, sebbene qualificati, troverebbero molti stimoli professionali e ravvisare un’opportunità per arricchire il proprio curriculum.

In definitiva, il TAR ha respinto il ricorso contro l'avviso del MEF e pur non ammettendo la possibilità di derogare agli obblighi previsti dall'art. 24 del Codice dei contratti, ha ravvisato la possibilità che un incarico di consulenza possa non determinare un rapporto professionale o la fornitura di un servizio, evadendo così da qualsiasi obbligo di determinare l'importo a base di gara o un compenso che possa chiamarsi equo (termine etereo di cui ancora nessuno è riuscito a definire una consistenza pratica).

A cura di Ing. Gianluca Oreto

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