Manufatti precari-temporanei: sempre realizzabili con CILA?

La Corte di Cassazione chiarisce che non è possibile realizzare manufatti precari e temporanei realizzabili con semplice CILA in presenza di vincoli

di Redazione tecnica - 03/03/2021

La normativa edilizia prevede 3 tipologie di titolo abilitativo in funzione dell'intervento che si vuole realizzare: il permesso di costruire (PdC), la segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) e la comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA). Tutti gli altri interventi rientrano tra quelli per i quali non serve alcun titolo (edilizia libera).

Gli interventi in CILA

Per quanto concerne la CILA, l'art. 6-bis del DPR n. 380/2001 (c.d. Testo Unico Edilizio) prevede che gli interventi non riconducibili tra quelli di edilizia libera o a regime di permesso di costruire o SCIA, possono essere realizzati previa comunicazione dell'inizio dei lavori da parte dell'interessato all'amministrazione competente. Ma una parte che molti dimenticano è che bisogna sempre fare attenzione alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, dei regolamenti edilizi e della disciplina urbanistico-edilizia vigente, e comunque nel rispetto delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell'attività edilizia e, in particolare, delle norme antisismiche, di sicurezza, antincendio, igienico-sanitarie, di quelle relative all'efficienza energetica, di tutela dal rischio idrogeologico, nonché delle disposizioni contenute nel codice dei beni culturali e del paesaggio.

CILA e vincoli: interviene la Corte di Cassazione

Proprio su questi ultimi argomenti è intervenuta la Corte di Cassazione che con sentenza n. 29104 del 18 dicembre 2020 ha confermato quanto stabilito dal Consiglio di Stato che aveva dato ragione ad una amministrazione pubblica in merito al rigetto di una CILA deducendo che mancavano i titoli abilitativi ed edilizi delle strutture esistenti, e che queste ultime violavano i divieti di edificabilità assoluta ivi esistenti.

Rigetto che era stato contestato prima dal privato dinanzi al TAR che gli ha dato ragione e poi dal Comune al Consiglio di Stato che, ribaltando la decisione di primo grado, ha ritenuto che buona parte delle strutture oggetto della CILA non rispettassero la distanza dagli argini prescritta dall'art. 96 del r.d. n. 523 del 1904, avente carattere assoluto ed inderogabile, come affermato da un orientamento giurisprudenziale consolidato.

Niente edificazioni in presenza di vincoli

Confermando la tesi del Consiglio di Stato, anche i giudici di Cassazione hanno affermato che al di là della questione relativa al carattere abusivo di talune opere, c'è da considerare che gli interventi erano stati realizzati in zona in cui trova applicazione l'art. 96 del Regio Decreto n. 523/1904, per il quale vige il divieto assoluto di edificazione delle costruzioni. Nel caso di specie, il divieto ha lo scopo di salvaguardare non solo la possibilità di sfruttamento delle acque demaniali, ma anche - e soprattutto - il libero deflusso delle acque scorrenti nei fiumi, torrenti, canali e scolatoi pubblici.

Obiettivo che può essere messo a rischio anche da strutture temporanee, amovibili, di dimensioni modeste e prive di rilevanza urbanistica, come quelle oggetto della CILA presentata.

Per questo motivo, la Cassazione ha confermato la decisione del Consiglio di Stato di annullare la CILA.

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A cura di Redazione LavoriPubblici.it

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