Abusi edilizi, alienazione dell'immobile e responsabilità: nuovi chiarimenti dal Consiglio di Stato

Il responsabile dell’abuso edilizio è sempre tenuto a risponderne e a nulla vale la circostanza dell’avvenuta alienazione dell’immobile in cui il suddetto ab...

01/07/2019

Il responsabile dell’abuso edilizio è sempre tenuto a risponderne e a nulla vale la circostanza dell’avvenuta alienazione dell’immobile in cui il suddetto abuso è stato realizzato ai fini della configurazione di questo tipo di responsabilità.

Lo ha chiarito la Sezione Sesta del Consiglio di Stato con la sentenza 20 giugno 2019, n. 4251 con la quale ha rigettato il ricorso presentato contro una precedente decisione di primo grado che a sua volta aveva rigettato il ricorso presentato per l'annullamento dell'ordinanza di esecuzione delle opere necessarie per conformare l'intervento eseguito su un'immobile di proprietà di un terzo ma i cui abusi erano stati realizzati dalla ricorrente che ai tempi dell'abuso era anche proprietaria.

I fatti

Il giudice di prime cure ricostruiva la vicenda, notando come la questione fosse sorta dal momento in cui il Comune aveva ingiunto alla originaria ricorrente e alla controinteressata nel giudizio, nella qualità di avente causa dalla prima, di realizzare opere idonee a conformare urbanisticamente un immobile attualmente di proprietà della seconda. L’intervento edilizio dal quale nasce la controversia consisteva nella ristrutturazione di un negozio/magazzino con cambio d’uso (da destinazione commerciale a residenziale). L’intervento, eseguito dalla ricorrente (circostanza pacifica) su un immobile di sua proprietà in seguito trasferito alla controinteressata, era stato oggetto di una denuncia di inizio attività presentata dalla stessa originaria ricorrente il 22 gennaio 2009; nel corso di tale anno l’intervento era stato ultimato, come comunicato al Comune, precisamente nel mese di settembre, e solo successivamente, il 27 novembre 2009, era stato alienato alla controinteressata.

Dopo un sopralluogo effettuato dall’Ufficio tecnico e dalla Polizia municipale nel maggio del 2011, il Comune avviava innanzitutto un procedimento volto a verificare le condizioni igienico-sanitarie dell’immobile, che si concludeva - dietro parere dell’ASL competente che ne affermava l’antigienicità e il pregiudizio per l’abitabilità - con l’ordine di sgombero dello stesso in quanto inabitabile. Un altro procedimento, di natura sanzionatoria, si concludeva con l’emanazione del provvedimento impugnato, che imponeva il ripristino e ordinava la realizzazione di diversi interventi, e ciò sia a carico della precedente proprietaria, sia a carico dell’attuale, la prima delle quali insorgeva davanti al TAR.

La decisione del Consiglio di Stato

I giudici di Palazzo Spada hanno innanzitutto rimarcato la perplessità che pone l’introduzione di un elemento di discrimine tra l’attività conformativa e quella ripristinatoria dell’amministrazione, entrambe in tema di demolizione dei manufatti edilizi abusivi, trattandosi invece di due entità che, quand’anche ritenute concettualmente diverse, vengono invece in rilievo giuridicamente in un unico provvedimento, ossia l’ordine di demolizione, e senza alcuna diversità disciplinare.

Inoltre, sebbene in giurisprudenza possano rinvenirsi affermazioni, più o meno incidentali, sulla natura sanzionatoria dell’ordine di demolizione, è del pari vero che l'ordine di demolizione - avendo natura ripristinatoria - prescinde dalla valutazione dei requisiti soggettivi del trasgressore, applicandosi anche a carico di chi non abbia commesso la violazione.

Pertanto, il responsabile dell’abuso edilizio è sempre tenuto a risponderne, a nulla valendo la circostanza dell’avvenuta alienazione dell’immobile in cui il suddetto abuso è stato realizzato ai fini della configurazione di questo tipo di responsabilità. Infatti, nel caso di specie, non è la passata titolarità del diritto di proprietà sul bene a venire in rilievo, ma la circostanza che l’appellante sia l’esecutrice e la committente delle opere abusive. Il Consiglio di Stato ha, quindi, ribadito la legittimità dell’operato del Comune che, all’interno dell’ordinanza impugnata e di cui si controverte, ha indicato la precedente proprietaria e ricorrente quale soggetto responsabile dell’abuso e, per questo motivo, obbligato a rimuoverlo.

A cura di Redazione LavoriPubblici.it

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