Chiusura veranda e accertamento di compatibilità paesaggistico: quanto conta la visibilità?

Possono essere sanati abusi che, non avendo comportato un aumento di volume o di superficie utili, realizzano un più contenuto impatto paesaggistico?

di Redazione tecnica - 13/01/2021

È legittimo il diniego sull’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica per la chiusura mediante tamponatura di una veranda esistente di modeste dimensioni e non visibile da strada pubblica?

Chiusura veranda e accertamento di compatibilità paesaggistico: la sentenza del TAR

Oggetto dell'analisi è la sentenza 5 gennaio 2021, n. 123 emessa da Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio in riferimento al ricordo presentato per l’annullamento del provvedimento di rigetto dell’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica ai sensi dell’art 167 commi 4 e 5 del D.Lgs. n. 42/2004 (c.d. Codice dei beni culturali e del paesaggio).

Nel caso oggetto del ricorso, è stato impugnato il provvedimento di diniego adottato ai sensi dell’art. 167, commi 4 e 5, del D.Lgs. n. 42/2004 sull’istanza di accertamento di compatibilità paesaggistica relativamente ad un ampliamento planovolumetrico residenziale realizzato con la chiusura mediante tamponatura di una veranda esistente.

Il ricorso

Entrando nel dettaglio, il ricorrente ha denunciato l’illegittimità del diniego sotto un duplice profilo:

  • violazione del principio di ragionevolezza e di buon andamento della P.A. nonché per “inosservanza di circolari” e in particolare della nota n. 16721 del 13/09/2010 del MIBAC, in quanto “la tamponatura effettuata sull’unità immobiliare oggetto di condono era ed è completamente a filo della muratura del fabbricato e non visibile dall’esterno”, inoltre essa sarebbe stata “realizzata all’interno di un ampio giardino privato”, con la conseguenza che non potrebbe essere ipotizzato alcun illecito paesaggistico, trattandosi di un intervento edilizio “oggettivamente non percepibile”;
  • eccesso di potere poiché “dalla documentazione prodotta” emergerebbe “ictu oculi” che l’intervento non comprometterebbe in alcun modo gli equilibri ambientali, risultando al contrario perfettamente integrato con il paesaggio circostante e con il contesto (densamente antropizzato) in cui è inserito.

Entrambi i motivi di ricorso muovono dal medesimo presupposto per cui il diniego impugnato sarebbe frutto di un’errata applicazione dell’art. 167, commi 4 e 5 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, tenuto conto della oggettiva “non percepibilità” all’esterno dell’intervento realizzato, consistente nella chiusura di una veranda del fabbricato di proprietà dei ricorrenti della superficie di 8 mq.

Cosa dice il Codice dei beni culturali

Il TAR ha, però, confermato che il procedimento disciplinato dall’art. 167, commi 4 e 5 del Codice dei beni culturali concede in via del tutto eccezionale la possibilità di un accertamento (successivo) della compatibilità paesaggistica per gli abusi minori cui consegue l’obbligo del pagamento di una somma equivalente al maggior importo tra il danno arrecato e il profitto conseguito mediante la trasgressione e ciò in deroga all’obbligo di “rimessione in pristino a proprie spese” previsto dall’art. 167, comma 1, per il “caso di violazione degli obblighi e degli ordini previsti dal Titolo I della Parte terza”, del Codice medesimo.

I casi per l'autorizzazione paesaggistica postuma

Ma l'art. 146, comma 4 del Codice dei beni culturali precisa anche che l’autorizzazione paesaggistica non può essere rilasciata in sanatoria, successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi, fatta eccezione per i casi previsti dall’art. 167, co. 4 e 5.

I casi in cui l’autorità amministrativa competente può accertare la compatibilità paesaggistica "postuma"sono:

  • per i lavori, realizzati in assenza o difformità dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati;
  • per l’impiego di materiali in difformità dall’autorizzazione paesaggistica;
  • per i lavori comunque configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi dell’articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380”.

Dunque, possono essere sanati abusi che, non avendo comportato un aumento di volume o di superficie utili, realizzano un più contenuto impatto paesaggistico, rispetto al quale il legislatore ha ritenuto accettabile ammettere una valutazione di compatibilità paesaggistica postuma mediante una “monetizzazione” del danno dagli stessi determinato. La portata della deroga in esame, proprio per la sua natura, non è tuttavia suscettibile di alcuna interpretazione estensiva né analogica.

Nel caso in esame, la chiusura di veranda ha realizzato un nuovo ambiente chiuso con corrispondente aumento volumetrico di tipo residenziale. Tale tipologia di intervento non integra, invero, alcuna delle tre ipotesi tassativamente previste dal legislatore.

Infine, la compatibilità paesaggistica non può essere desunta dalla (asserita) completa edificazione ed antropizzazione del “contesto” in cui l’abuso si inserisce, trattandosi di circostanze di fatto irrilevanti, posto che in tema di vincoli paesaggistici la compromissione del paesaggio ad opera di preesistenti realizzazioni anziché rendere maggiormente compatibile l’abuso richiede semmai un innalzamento della tutela, affinché i nuovi interventi non deturpino ulteriormente l’ambito protetto.

Con queste motivazioni il ricorso è stato rigettato e il provvedimento di diniego confermato.

A cura di Redazione LavoriPubblici.it

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