Codice dei contratti e Direttive europee: cosa fare?

Una sola domanda: il Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. n. 50/2016 ha rispettato le condizioni della legge delega?

di Paolo Oreto - 26/03/2021

Il dibattito sulle risorse del Next Generetion EU ha riacceso l'interesse della politica e di tutti gli operatori del settore sul Codice dei contratti.

Cosa fare del Codice dei contratti?

Lo ha riacceso con posizioni che, a parte avere in comune l'oggetto del discorso (appunto il Codice), risultano essere molto eterogenee andando dalla cancellazione, passando per la sua rivisitazione nell'ottica della semplificazione (che era già il faro che ha guidato la riforma del 2016) per attivare al completamento del quadro normativo (mai realmente attuato).

Tra le voci registrate negli ultimi giorni ha fatto molto scalpore la posizione dell'Antitrust che in una sua segnalazione al Governo ha proposto, tra le altre cose, la sospensione del Codice dei contratti limitatamente alle procedure interessate dai fondi europei e alle opere strategiche, e l'applicazione delle direttive Europee del 2014.

L'Authority ha parlato, quindi, dell'applicazione immediata delle tre direttive comunitarie:

  • la Direttiva 2014/23/UE del Parlamento Europeo e del consiglio del 26 febbraio 2014 sull’aggiudicazione dei contratti di concessione;
  • la Direttiva 2014/24/UE del Parlamento Europeo e del consiglio del 26 febbraio 2014 sugli appalti pubblici e che abroga la direttiva 2004/18/CE;
  • la Direttiva 2014/25/UE del Parlamento Europeo e del consiglio del 26 febbraio 2014 sulle procedure d’appalto degli enti erogatori nei settori dell’acqua, dell’energia, dei trasporti e dei servizi postali e che abroga la direttiva 2004/17/CE.

Quasi certamente, però, in Italia saranno davvero in pochi ad aver letto per intero anche solo una delle tre direttive che, ricordiamo, stanno alla base del molto chiacchierato Codice dei contratti pubblici di cui al Decreto Legislativo n. 50/2016.

La legge delega alla base del Codice dei contratti

Sottolineo, ancora una volta, che la riforma è nata da un Decreto Legislativo e non da una Legge del Parlamento. La norma fu predisposta dal Governo in carica nel 2016, che ne aveva avuto la delega dal Parlamento (la legge delega 28 gennaio 2016, n. 11) con la quale erano stati fissati i paletti per la predisposizione del Decreto Legislativo e, quindi, l’attuazione delle tre nuove direttive europee e il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture.

Tutti coloro che parlano oggi del Codice dei contratti dovrebbero rileggere bene la legge delega e, nel dettaglio le lettera dalla a) alla sss). Dopo averle lette dovrebbero chiedersi: “Il Codice dei contratti pubblici di cui al D.Lgs. n. 50/2016 ha rispettato le condizioni della legge delega?

Siamo certi che da una puntuale lettura dei vincoli imposti dalla legge delega, chi conosce bene il Codice dei contratti non potrebbe che rispondere: “NO”.

Basta questo per affermare, anche senza ricordare come le Commissioni parlamentari espressero il loro giudizio, che il Codice dei contratti di cui oggi tutti parlano è un provvedimento normativo nato male e che contiene nell’articolato luci ed ombre che potrebbero essere così riassunte:

  • prevalenza del criterio di aggiudicazione dell’offerta economicamente più vantaggiosa rispetto al criterio del prezzo più basso, riservato soltanto a determinati appalti ed entro determinate soglie (lettera ff) dell’articolo 1, comma 1 della legge delega);
  • valutazione delle offerte anomale sulla base di parametri non predeterminati (lettera ff) dell’articolo 1, comma 1 della legge delega);
  • divieto di affidamento di contratti attraverso procedure derogatorie rispetto a quelle ordinarie, fatta eccezione per particolari esigenze (lettera l) dell’articolo 1, comma 1 della legge delega);
  • notevole rafforzamento del ruolo e delle competenze dell’ANAC, che vanno da una funzione più propriamente anticorruttiva (lettera q.2) e q.6) dell’articolo 1, comma 1 della legge delega), ad una funzione regolatoria e/o di soft law da attuarsi attraverso l’adozione di atti di indirizzo quali linee guida, bandi tipo, contratti-tipo ed altri strumenti di regolazione flessibile, anche dotati di efficacia vincolante ed impugnabili innanzi ai competenti organi di giustizia amministrativa (lettera t) dell’articolo 1, comma 1 della legge delega), fino a molteplici funzioni accertative, di controllo e vigilanza in materia di qualificazione delle stazioni appaltanti, delle commissioni giudicatrici, degli operatori economici, degli enti aggiudicatori degli affidamenti in house, di validità delle attestazioni SOA (lettere bb), hh), uu), vv), eee) dell’articolo 1, comma 1 della legge delega);
  • limitazione del ricorso all’appalto integrato mediante la previsione che, di norma, deve essere messo in gara il progetto esecutivo (lettera oo) dell’articolo 1, comma 1 della legge delega);
  • valorizzazione della fase progettuale mediante la promozione delle qualità architettonica e tecnico-funzionale, limitando il ricorso al criterio di aggiudicazione del prezzo più basso per l’affidamento dei servizi di ingegneria ed architettura, con esclusione dell’incentivo per i progettisti della pubblica amministrazione (lettere oo) e rr) dell’articolo 1, comma 1 della legge delega);
  • adozione degli strumenti di flessibilità previsti dalle tre direttive, quali ad esempio la negoziazione con gli operatori economici (lettera f) dell’articolo 1, comma 1 della legge delega);
  • maggior accesso alle gare da parte delle micro, piccole e medie imprese, e dei giovani professionisti, ottenibile attraverso la definizione di requisiti di partecipazione proporzionati all’oggetto dell’appalto, la rotazione delle imprese invitate, il ricorso ad affidamenti di tipo telematico, il divieto di aggregazione artificiosa degli appalti, l’obbligo di motivazione della mancata suddivisione in lotti nonché l’introduzione di misure premialità per gli appaltatori e concessionari che coinvolgano i predetti soggetti nelle procedure di gara e nell’esecuzione dei contratti (lettere r), cc) e ccc) dell’articolo 1, comma 1 della legge delega);
  • riduzione degli oneri documentali ed economici a carico degli soggetti partecipanti, mediante il ricorso al soccorso istruttorio non oneroso, fatta eccezione per gli elementi facenti parte dell’offerta, e semplificazione delle procedure di verifica da parte delle stazioni appaltanti attraverso l’unica banca dati centralizzata gestita dal Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti (oggi MInistero delle infrastrutture e dalla mobilità sostenibile) e la possibilità di utilizzazione del DGUE, documento di gara unico europeo (lettere z) e aa) dell’articolo 1, comma 1 della legge delega);
  • progressiva aggregazione e centralizzazione delle committenze e riduzione del numero delle stazioni appaltanti (lettere cc) e dd) dell’articolo 1, comma 1 della legge delega);
  • limitazione del ricorso alle varianti progettuali in corso d’opera con la previsione di un regime sanzionatorio in caso di mancata tardiva comunicazione all’ANAC delle varianti medesime per appalti di importo pari o superiore alla soglia comunitaria (lettera ee) dell’articolo 1, comma 1 della legge delega);
  • razionalizzazione ed estensione delle forme di partenariato pubblico privato, con specifico riguardo alla finanza di progetto ed alla locazione di finanziaria di opere pubbliche, con contestuale riduzione dei tempi delle procedure di aggiudicazione (lettera tt) dell’articolo 1, comma 1 della legge delega);
  • dettagliata disciplina dell’istituto del subappalto, volta da un lato a recepire l’indirizzo giurisdizionale che ha prescritto l’indicazione del nominativo dei subappaltatori già in sede di gara e dall’altro ad ampliare i casi di pagamento diretto da parte delle stazioni appaltanti delle prestazioni eseguite dai subappaltatori (lettera rrr) dell’articolo 1, comma 1 della legge delega).

Il divieto di gold plating

La domanda che dovrebbe essere opportuno porsi è se il Codice del contratti pubblici ha rispettato il primo vincolo imposto dalla legge delega che è rilevabile alla lettera a) dell’articolo 1 in cui è espressamente affermato il divieto di introduzione o di mantenimento di livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive (divieto di gold plating), come definiti dall'articolo 14, commi 24-ter e 24-quater, della legge 28 novembre 2005, n. 246.

Dalla lettura del citato comma 24-ter che così recita “Costituiscono livelli di regolazione superiori a quelli minimi richiesti dalle direttive comunitarie: a) l'introduzione o il mantenimento di requisiti, standard, obblighi e oneri non strettamente necessari per l'attuazione delle direttive; b) l'estensione dell'ambito soggettivo o oggettivo di applicazione delle regole rispetto a quanto previsto dalle direttive, ove comporti maggiori oneri amministrativi per i destinatari; c) l'introduzione o il mantenimento di sanzioni, procedure o meccanismi operativi più gravosi o complessi di quelli strettamente necessari per l'attuazione delle direttive” non mi sembra che lo stesso sia tato rispettato. E non mi sembra, per altro, che sia stato rispettato neanche il comma 24-quater in cui è scritto che “L'amministrazione dà conto delle circostanze eccezionali, valutate nell'analisi d'impatto della regolamentazione, in relazione alle quali si rende necessario il superamento del livello minimo di regolazione comunitaria. Per gli atti normativi non sottoposti ad AIR, le Amministrazioni utilizzano comunque i metodi di analisi definiti dalle direttive di cui al comma 6 del presente articolo”.

Non mi sembra che nella stesura del Codice dei contratti pubblici di cui al D.lgs. n. 50/2016 sia stato rispettato quanto disposto alla più volte citata lettera a) (divieto di gold-plating) e non mi sembra, per altro che siano stati rispettati parte dei vincoli imposti dalla lettera b) alla lettera sss) del comma 1 dell’articolo 1 della legge delega.

Di cosa stiamo parlando, dunque?

Di una decreto legislativo che non ha ottemperato a quanto dettato dalla legge delega e che è stato emanato in barba alle disposizioni che il Parlamento aveva puntualmente dettato nella legge delega 28 gennaio 2016, n. 11.

Chi oggi parla della possibilità di cancellare o meno il codice dei contratti conosce questa storia o pur conoscendola fa finta di non conoscerla?

Le norme self-executing

E, chi oggi parla delle direttive europee conosce quando una direttiva europea può definirsi o meno self-executing o meno; sa che per poter essere applicate, le direttive europee:

  • devono essere chiare e precise nella determinazione dei diritti in capo ai soggetti;
  • devono essere suscettibili di applicazione immediata. In altri termini, la rivendicazione dei diritti da parte dei soggetti non deve essere vincolata ad obblighi e condizioni;
  • il legislatore nazionale non deve avere margini di manovra al riguardo;
  • deve essere scaduto il termine di recepimento della direttiva.

E’ chiaro, dunque, che le tre direttive UE in parte sono self-executing ed in parte non lo sono. Per esempio sono self-executing:

  • le disposizioni, concernenti le definizioni, quelle dirette ad individuare sia le caratteristiche delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori, nonché degli operatori economici;
  • la soglia ed il valore dei contratti:
  • le fattispecie escluse dall’applicazione delle direttive;
  • le garanzie procedurali;
  • le modalità di selezione e valutazione qualitativa dei concorrenti;
  • i criteri di aggiudicazione;
  • talune norme concernenti la fase di esecuzione degli appalti o delle concessioni.

Non sono, invece, self-executing le disposizioni precedute dal verbo “possono” e, di più, quelle che richiedono la previa adozione di disposizioni legislative nazionali.

A parte, dunque, le discussioni su Direttive SI o Direttive NO, è chiaro che occorrerebbe capire che con poco lavoro potrebbero essere rivisitate le direttive europee al fine di lasciare inalterate quelle parti che sono già self-executing, riscrivendo, invece, quelle parti (in numero abbastanza limitato) in cui è necessario intervenire per trasformare il verbo possono in un verbo impositivo.

Ecco perché in un altro nostro articolo abbiamo parlato di utilizzazione delle direttive europee per i lavori sopra soglia comunitaria ed abbiamo parlato di nuove norme semplificate rispetto alle direttive europee per i lavori sottosoglia e di un regolamento unico per entrambe le tipologie di lavori.

Con questo non vogliamo dire di gettare il bambino con l'acqua sporca ma di utilizzare quelle parti del Codice che possono essere utilizzate per arrivare a soluzioni che evitino il ricorso ad innumerevoli deroghe e che rendano la legislazione sui lavori pubblici più semplice e senza inutili complicazioni.

Un esempio per tutti: il subappalto che nelle direttive è puntualmente normato e deve essere ritenuto assolutamente self-executing. Perché modificarlo per incorrere negli strali europei? Se si vuole fare qualche sensata modifica la si faccia sulle norme relative al sottosoglia.

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