Concessioni demaniali e interventi edilizi provvisori: il TAR sulla demolizione

Il TAR Lazio entra a gamba tesa sul provvedimento di demolizione di un manufatto temporaneo assentito poi da altri titoli edilizi definitivi

di Giorgio Vaiana - 20/03/2021

Ancora nel mirino del Tar le concessioni demaniali e gli abusi edilizi. Ci spostiamo "in area lacustre" per analizzare il ricorso proposto da due titolari di una società che hanno ereditato e quindi adesso gestiscono un'attività di ristorazione e noleggio lettini, sdraio, pedalò e canoe in un noto lago. Per farlo ci affidiamo alla sentenza del Tar Lazio n. 2500 dell'1 marzo 2021.

Ordine di demolizione e ricorso

A proporre ricorso i titolari di una società che hanno ereditato e gestiscono un'attività di ristorazione e noleggio lettini, sdraio, pedalò e canoe in un lago italiano. Il comune dove hanno l'atività ha ordinato la demolizione del "risto-bar" e di un'altra struttura, in quanto, secondo l'amministrazione comunale, sarebbe stato accertato che le opere realizzate su superficie demaniale non avrebbero il titolo edilizio previsto dal DPR n. 380/2001 (c.d. Testo Unico Edilizia). Ma per i titolari della società non è così. E hanno chiesto al Tar Lazio di intervenire.

La consulenza tecnica

Per dirimere i dubbi, è stata chiesta una consulenza tecnica sui manufatti ritenuti abusivi. Il CTU (consulente tecnico d'ufficio) ha accertato che le due opere, sebbene con caratteristiche provvisorie e stagionali, non sarebbero mai state smontate nel corso degli anni, ma, aggiungono i giudici, il Comune non ha mai contravvenzionato né la vecchia proprietaria, né quelli attuali, quindi verificando gli aspetti relativi alla localizzazione e alla posizione vincolistica dei due manufatti. La consulenza ha inoltre confermato che le due strutture si trovano in area demaniale.

Permesso di costruire e criticità

Nel corso degli anni, dicono i giudici, la situazione edilizia dei manufatti stessi è abbastanza complessa. Infatti, sono stati rilasciati una serie di titoli autorizzatori (edilizi, commerciali e sanitari). In particolare l'ultimo permesso di costruire presenta gravi criticità. Nello specifico, il permesso di costruire avente validità temporanea, ma seguito, a firma del Comune stesso, da un'autorizzazione all'allaccio dello scarico del manufatto alla fognatura pubblica, "prescrivendo l’obbligo di poggiare la tubazione su "massetto e rinfianco di calcestruzzo magro”, autorizzando quindi un intervento impattante e conclusivo per un’opera che invece è definita provvisoria e stagionale".

La SCIA in discussione

Per il consulente la SCIA (Segnalazione Certificata di Inizio Attività) presentata rappresenta esattamente lo stato attuale dei manufatti finiti in giudizio. Il Comune, inoltre, pur avendo la delega da parte del Demanio, non si pronunciava sulla richiesta di occupazione dell'area demaniale, né l'ente regionale rispondeva alla richiesta di autorizzazione paesaggistica presentata dalla società. Possibilità di autorizzare che, per accelerare lo sviluppo delle pratiche burocratiche, attraverso una legge regionale è stata anche demandata alle amministrazioni comunali.

Ordinanze di demolizione piene di errori

Per i giudici l'ordinanza di demolizione emessa dal comune presenta "macroscopici difetti di istruttoria", ponendosi "in insanabile contrasto logico con i molteplici provvedimenti di autorizzazione edilizia e commerciale (segnatamente: cinque autorizzazioni edilizie tra cui un permesso di costruire e sette autorizzazioni commerciali), rilasciati nel corso del tempo (diciotto anni) dall’Amministrazione resistente". Pertanto dicono i giudici, "tenuto conto delle caratteristiche dell’attività edilizia in concreto posta in essere, inidonea a sviluppare cubatura e assai risalente nel tempo e, soprattutto, del fatto che la stessa amministrazione ha reiteratamente posto in essere un’attività provvedimentale in cui ha espressamente considerato compatibile l’intervento con la normativa urbanistica ed edilizia ad essa applicabile, non può non considerarsi il legittimo convincimento della correttezza del suo agire, cosicché la pubblica amministrazione avrebbe dovuto allegare, a sostegno dell’ordine di demolizione, i nuovi presupposti di fatto e/o di diritto idonei a giustificare un siffatto radicale cambio di orientamento".

La mancanza di motivazioni

Invece, dicono i giudici, l'amministrazione comunale, per esercitare il suo potere sanzionatorio/ripristinatorio, non ha minimamente assolto all'onere motivazionale, "con conseguente illegittimità dell’ordinanza impugnata per macroscopico difetto di istruttoria e di motivazione. Tale carenza si riverbera necessariamente, in via derivata, anche sul provvedimento di diniego di SCIA". Il ricorso, dunque, è stato accolto e l'ordinanza di demolizione è stata annullata. Per il comune anche il pagamento degli oneri del consulente tecnico.

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