Ristrutturazioni edilizie abusive: demolizione o sanzione alternativa?

Il Consiglio di Stato si esprime sulla possibilità per i Comuni di ordinare la demolizione degli abusi edilizi e sanzionare il contravventore

di Giorgio Vaiana - 25/03/2021

Nel caso di interventi di ristrutturazione edilizia realizzati in assenza di permesso di costruire o in totale difformità "non sanabili", l'amministrazione comunale può ordinare la demolizione, il ripristino dei luoghi ed emettere allo stesso tempo una sanzione al contravventore?

Demolizione e sanzione alternativa: nuovo intervento del Consiglio di Stato

Ha risposto a questa domanda il Consiglio di Stato che, con la sentenza 4 marzo 2021, n. 1860, ha chiarito alcuni interessanti concetti relativi all'applicazione dell'art. 33 del DPR n. 380/2001 (c.d. Testo Unico Edilizia) relativamente alle opzioni previste per gli interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità.

Speciale Testo Unico Edilizia

Multa e ordinanza di demolizione

Nel caso oggetto del nuovo intervento del Consiglio di Stato, a proporre ricorso è un'amministrazione comunale nei confronti di una sentenza del TAR che aveva dato ragione al proprietario di un immobile che aveva realizzato alcune opere abusive. Il Comune aveva ordinato la demolizione, la rimessa in pristino dei luoghi e aveva anche "staccato" una multa. Per il TAR, però, visto che l'immobile non è un bene tutelato, ma si trova in una zona omogenea A, l'amministrazione comunale avrebbe dovuto scegliere quale sanzione applicare tra la demolizione e la multa. Per il Comune, però, non è così.

Sanzione "ripristinatoria", cosa dice il Testo Unico Edilizia

I giudici analizzano la normativa vigente. In particolare, il Testo Unico Edilizia e nello specifico l'art. 33 in cui è previsto che "l’esecuzione di interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire comporta, di regola, l’applicazione della sanzione ripristinatoria, occorrendo che tali interventi siano rimossi o demoliti e gli edifici siano resi conformi alle prescrizioni degli strumenti urbanistico-edilizi entro il termine stabilito dal dirigente o del responsabile del competente ufficio comunale con propria ordinanza, decorso il quale l'ordinanza stessa è eseguita a cura del comune e a spese dei responsabili dell'abuso".

Solo nel caso in cui il ripristino dei luoghi non sia possibile, allora "deve trovare applicazione la sanzione pecuniaria pari al doppio dell'aumento di valore dell'immobile, conseguente alla realizzazione delle opere". Ripristino dei luoghi e sanzione pecuniaria sono previsti, allo stesso tempo, soltanto per abusi su immobili vincolati. Mentre per immobili, anche non vincolati, compresi nelle zone omogenee A, l'amministrazione comunale "è tenuta a richiedere all'amministrazione competente alla tutela dei beni culturali ed ambientali apposito parere vincolante circa la restituzione in pristino o la irrogazione della sanzione pecuniaria con la precisazione che, qualora il parere non venga reso entro novanta giorni dalla richiesta, il dirigente o il responsabile provvede autonomamente".

Normativa regionale

Nel caso analizzato la normativa regionale prevede che a chi commette un abuso su immobili vincolati venga ordinata la demolizione degli abusi, la rimessa in pristino e una sanzione amministrativa. Mentre per gli altri casi sia l'organo comunale competente a decidere quale sanzione applicare (tra demolizione e multa). Una possibilità che, come abbiamo visto prima, è specificata dal Testo Unico Edilizia. Se non dovesse arrivare il parere (che è vincolante), sarà il dirigente a decidere cosa fare. Ma questo non vuol dire che il dirigente possa applicare, nel caso specifico, sia la demolizione che la sanzione amministrativa.

Valori ambientali

Nel caso di abusi su un bene tutelato, dicono i giudici, non è possibile svolgere "valutazioni di opportunità in ordine al mantenimento della res abusiva o alla sua demolizione", occorrendo "provvedere all’applicazione della sanzione ripristinatoria; la gravità dell’illecito edilizio, peraltro, lesivo dei valori culturali e paesaggistici espressi dall’immobile sine titulo ristrutturato, richiede, altresì, la punizione del responsabile dell’abuso, mediante l’irrogazione di una sanzione pecuniaria di natura afflittiva, da determinare tra un minimo e un massimo edittale all’uopo previsto dal legislatore".

Ma se il bene si trova in zone omogenee A, emerge, dicono i giudici, "la differente esigenza di evitare che, in zone che rivestono carattere storico, artistico e di particolare pregio ambientale, il ripristino dello status quo ante non arrechi un danno maggiore dell’abuso e che dunque non sia preferibile sostituire alla sanzione di ripristino la sanzione pecuniaria". Per questo, continua il consiglio di Stato, "occorre valutare in concreto il pregiudizio ai valori ambientali e culturali discendenti da un’eventuale demolizione". La decisione, dunque spetta al comune che qualora ritenga che la demolizione, anziché ripristinare l’ordine giuridico violato, "comporti un aggravamento del pregiudizio ai valori ambientali e culturali espressi dalle zone territoriali interessati dall’abuso", non ordinerà la demolizione e l'illecito edilizio "dovrà essere punito con l’irrogazione della sanzione pecuniaria". Nel caso in cui, invece, la demolizione non sia pregiudizievole per l’interesse culturale e ambientale, si provvederà "alla sanzione ripristinatoria dello stato dei luoghi all’intervenuta ristrutturazione edilizia in assenza del prescritto titolo abilitativo". Il ricorso è stato respinto. Tutti gli atti del comune sono stati annullati.

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