Abusi edilizi, ante 42 e ante 67: nuovo intervento del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato chiarisce la legittimità degli immobili ante 42 e ante 67 alla luce del loro inserimento fuori o dentro la perimetrazione del centro abitato

di Gianluca Oreto - 29/04/2024

Uno dei più grandi equivoci che ha reso impossibile (o quanto meno parecchio difficile) la gestione del patrimonio immobiliare italiano, è rappresentato dall’idea che tutte le opere realizzate in data antecedente l’1 settembre 1967 potessero essere considerate legittime.

L’equivoco dell’Ante 67

Un equivoco figlio di tante errate letture normative che intrecciano tra loro la prima legge urbanistica (la Legge n. 1150/1942), la “famosa” Legge Ponte (la Legge n. 765/1967), la Legge “Bucalossi” (la Legge n. 10/1977) e la Legge sul primo condono edilizio (la Legge n. 47/1985), oltre che regolamenti edilizi e piani regolatori comunali.

L’argomento è stato oggetto di numerosi interventi della giustizia amministrativa che negli anni è riuscita a definire i contorni di un quadro normativo complesso e sul quale risulta indispensabile un intervento del legislatore che possa far cambiare rotta all’attività di trasformazione edilizia, vittima di piccole e grandi difformità.

Con la sentenza 12 aprile 2024, n. 3347 il Consiglio di Stato è nuovamente intervenuto sul tema “ante ‘67” chiarendo alcuni aspetti relativi allo stato legittimo degli immobili e all’onere di prova della data di realizzazione dell’opera.

Il ricorso

Nel caso di specie, il ricorrente il ricorrente chiede la riforma di una decisione di primo grado che aveva confermato un’ordinanza di demolizione di opere abusivi. Il ricorso era basato essenzialmente su 2 motivazioni:

  1. il mancato coinvolgimento dell’interessato che non avrebbe presenziato il sopralluogo effettuato dall’Amministrazione Comunale in sede di accertamento di abusi edilizi, non avrebbe mai avuto contezza del procedimento nei suoi confronti e che non sarebbe l’autore materiale di alcuna opera sull’immobile di cui è causa;
  2. l’immobile sarebbe ante ’42 (prima della Legge urbanistica) e per questo non soggetto a concessione edilizia.

La natura dell’ordine di demolizione

In riferimento al primo motivo di appello, il Consiglio di Stato ha confermato il principio consolidato per cui l’ordine di demolizione di un abuso edilizio costituisce espressione di un potere vincolato e doveroso in presenza dei requisiti richiesti dalla legge, rispetto al quale non è richiesto alcun apporto partecipativo del privato.

Numerose sentenze hanno confermato che:

  1. l'attività di repressione degli abusi edilizi, mediante l'ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, ai sensi dell'art. 7 l. n. 241/1990, considerando che la partecipazione del privato al procedimento comunque non potrebbe determinare alcun esito diverso”;
  2. al sussistere di opere abusive la pubblica amministrazione ha il dovere di adottare l'ordine di demolizione; per questo motivo, avendo tale provvedimento natura vincolata, non è neanche necessario che venga preceduto da comunicazione di avvio del procedimento.

Sostanzialmente, essendo l’ordine di demolizione un provvedimento “vincolato” trova applicazione l’art 21-octies, comma 2, della Legge n. 241/90 per la quale:

Non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. Il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. La disposizione di cui al secondo periodo non si applica al provvedimento adottato in violazione dell’articolo 10-bis”.

Nel caso dell’ordine di demolizione, il provvedimento della pubblica amministrazione non avrebbe potuto avere un contenuto diverso da quello in concreto adottato, considerato che lo stesso è emesso sulla base di riscontrati e documentati abusi edilizi.

Sulla mancata comunicazione del preavviso di rigetto, con la quale si assume il mancato rispetto delle garanzie procedimentali, non avendo il Comune comunicato il preavviso di rigetto di cui all’art. 10 bis della Legge n. 241 del 1990, secondo costante giurisprudenza, l'esercizio del potere repressivo degli abusi edilizi costituisce manifestazione di attività amministrativa doverosa, con la conseguenza che i relativi provvedimenti, quali l'ordinanza di demolizione, costituiscono atti vincolati per la cui adozione non è necessario l'invio del preavviso di rigetto, non essendovi spazio per momenti partecipativi del destinatario dell'atto.

Oltretutto, il preavviso di rigetto è previsto solo per i procedimenti attivati ad istanza di parte e tra questi non rientra quello che ha dato origine al provvedimento impugnato (l’ordine di demolizione).

Ante 42 e ante 67

Relativamente al secondo motivo di appello per il quale l’immobile in questione sarebbe stato edificato prima del 1942 e, quindi, prima della Legge urbanistica che impone il rilascio del titolo edilizio nei centri abitati, prima di addentrarci nei contenuti della sentenza occorre una doverosa premessa:

  1. la Legge n.1150/1942 ha previsto l’obbligo di licenza edilizia nelle aree già urbanizzate;
  2. la Legge n. 765/1967 ha esteso questo obbligo su tutto il territorio nazionale;
  3. prima del 1942 e del 1967 esistevano già regolamenti edilizi che prescrivevano già l’obbligo di licenza edilizia;
  4. occorre fare la dovuta attenzione tra i centri abitati e non.

Ciò premesso, nel caso di specie il Consiglio di Stato ha confermato che l'obbligo del rilascio della licenza edilizia per le costruzioni realizzate anche al di fuori del perimetro del centro urbano è stato introdotto dall'art. 10 della legge 6 agosto 1967, n. 765, che ha modificato l'art. 31 della legge 17 agosto 1942, n. 1150. Prima del 1967 non era necessario munirsi di un previo titolo abilitativo, se non all’interno del centro abitato.

La giurisprudenza amministrativa è costante nel ritenere che l'onere di dimostrare che le opere realizzate rientrino "fra quelle per cui non era richiesto un titolo ratione temporis, perché realizzate legittimamente senza titolo, incombe sul privato a ciò interessato, unico soggetto ad essere nella disponibilità di documenti e di elementi di prova, in grado di dimostrare con ragionevole certezza l'epoca di realizzazione del manufatto".

Tale prova può essere data anche per presunzioni che devono essere precise gravi e concordanti.

Nel caso di specie, dagli indizi prodotti della parte privata, valutati complessivamente, non vi sono elementi che militano nel senso indicato dall’appellante. Innanzitutto, dall’esame degli atti prodotti risulta che l’immobile non si trova al di fuori dalla perimetrazione del centro abitato. Ciò in quanto dalla foto aerea dell’Istituto Geografico Militare (datata 1964), dal testamento del 1973 e dai rilievi catastali (datati 1982), come correttamente rilevato dal primo giudice, emerge che il manufatto oggetto di giudizio era già all’epoca della sua costruzione qualificabile come un agglomerato urbano/residenziale, in ragione degli elementi fattuali desumibili dagli atti di causa.

Da ciò deriva che non assume alcun rilievo la circostanza della collocazione temporale ante 1967 delle opere abusive in questione, non avendo in ogni caso fornito l’appellante la dimostrazione che le stesse sarebbero state realizzate prima del 1942.

L’appello è stato, dunque, respinto e la demolizione confermata.

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