Abusi edilizi e compatibilità paesaggistica: inutile senza conformità edilizia

Consiglio di Stato: la presunta compatibilità paesaggistica di un intervento non può in nessun caso superare la mancanza di conformità edilizia e urbanistica dello stesso

di Redazione tecnica - 10/05/2023

La conferma di compatibilità paesaggistica di un manufatto è assolutamente superflua, qualora sia accertata l’abusività e l’insanabiltà di un edificio.

Abusi edilizi: inutile l'autorizzazione paesaggistica senza conformità

Lo conferma il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4580/2023, con la quale ha respinto il ricorso presentato contro l’ordine di demolizione e la dichiarazione di irricevibilità ed inefficacia della SCIA in sanatoria presentata per la realizzazione di alcune strutture abusive in zona vincolata

Secondo il Comune, i manufatti, consistenti in una struttura in legno, una pavimentazione in maioliche e in una tettoia, rappresentavano nuove costruzioni realizzate titolo, per le quali il ricorrente ha presentato una SCIA in sanatoria, ex art. 37 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), con contestuale istanza di compatibilità paesaggistica, ai sensi degli artt. 167 e 181, comma 1 quater, del D.Lgs. n. 42/2002 (Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio).

L’amministrazione ha però comunicato l’irricevibilità ed inefficacia della SCIA in sanatoria e ha disposto la riviviscenza dell’ordinanza di demolizione sospesa dal TAR, facendo (ri)decorrere il termine previsto ex lege per l’esecuzione spontanea della demolizione.

Già il TAR aveva respinto il ricorso specificando che le opere:

  • erano state correttamente inquadrate dal Comune come interventi di nuova costruzione o come “interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente e che comportino modifiche della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti, … nonché … che comportino modificazioni della sagoma di immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni”, per i quali è, comunque, richiesto, ai sensi dell’art. 10, comma 1, del d.P.R. n. 380/2001, il permesso di costruire e non già la SCIA edilizia;
  • rappresentavano la creazione di un nuovo organismo edilizio e non erano perciò riconducibili all’“attività edilizia libera”, prevista all’art. 6 del DPR n. 380/2001, o agli interventi pertinenziali “minimi” privi di rilevanza volumetrica, di cui alla lett. e.6) del citato comma 1 dell’art. 3 dello stesso DPR;
  • insistevano in area sottoposta a vincolo paesaggistico, con conseguente necessità anche di autorizzazione paesaggistica ai sensi dell’art. 146 del d.lgs n. 42/2014.

Infine, ha spiegato il giudice amministrativo, la presentazione della SCIA non determina la definitiva perdita di efficacia del preesistente ordine di demolizione ma la sospende soltanto, osservando come in ogni caso il Comune, nel caso di specie, ha comunque nuovamente intimato la demolizione, prevedendo un nuovo decorso del relativo termine di novanta giorni.

La sentenza del Consiglio di Stato

Il Consiglio ha confermato la sentenza di primo grado, già partendo dal presupposto che fosse impossibile accertare la conformità edilizia: sebbene l’appellante sostenesse che le opere fossero risalenti ad epoca anteriore alla legge urbanistica del 1942 nonché al decreto ministeriale del 1954 di apposizione del vincolo, non è stata presentata alcuna prova di tale affermazione. Di conseguenza, non essendovi prova del fatto che tali volumi risalissero ad epoca antecedente al 1942, la realizzazione degli stessi risulta pacificamente abusiva.

Né può essere messa in dubbio la qualificazione di tali manufatti come nuova costruzione mediante realizzazione di volumi, per di più con modifica della situazione esterna dei luoghi in zona vincolata, in assenza di autorizzazione paesaggistica.

Ne discende che, anche ammettendo che le più recenti modifiche, ovvero la pavimentazione e la tettoia, siano consistite in opere di “manutenzione o, comunque, al genus degli interventi pertinenziali di cui all’art. 3 – comma 1 – lett. e.6) del D.P.R. n. 380/2001”, le stesse ritrarrebbero la loro abusività dall’abusività dei volumi originariamente realizzati sul terrazzo.

Accertamento di conformità: il no alla sanatoria 

Per tale ragione gli abusi in questione non sono suscettibili di accertamento di conformità ai sensi dell’art. 37 d.P.R. n. 380/2001. Ostano a tale possibilità:

  • la natura delle opere, consistenti nella creazione di nuovi volumi non riconducibili all’attività edilizia libera, prevista all’art. 6 del Testo Unico Edilizia, o agli interventi pertinenziali “minimi” privi di rilevanza volumetrica, di cui alla lett. e.6) del citato comma 1, dell’art. 3, del d.P.R. n. 380/2001;
  • la non conformità delle stesse alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell'intervento (come già visto non databile ad epoca antecedente l’entrata in vigore della legge urbanistica), sia al momento della presentazione della domanda.

Autorizzazione paesaggistica: senza conformità edilizia non serve

A ciò deve, infine, aggiungersi la mancanza dell’autorizzazione paesaggistica. Spiega Palazzo Spada che non è sostenibile la pretesa formazione del titolo per silentium, possibile in presenza di una SCIA regolare, corredata da tutte le allegazioni necessarie. In questo caso, la tesi della risalenza dei manufatti ad epoca antecedente il 1942 è stata solo genericamente esposta, senza nessuna allegazione probatoria a supporto.

Il Comune non era quindi tenuto ad attivare il subprocedimento per il rilascio del provvedimento della soprintendenza: una volta constatata la non sanabilità dei manufatti sotto il profilo edilizio ed urbanistico, il parere della soprintendenza, quand’anche favorevole, sarebbe stato irrilevante e comunque insufficiente, atteso che la disciplina edilizia/urbanistica e quella paesaggistica presidiano interessi diversi, fra loro convergenti ma non alternativi.

Infatti, i poteri volti all'accertamento della compatibilità urbanistica e paesaggistica di un’opera, ancorché incidenti sul medesimo ambito territoriale, appartengono ad autorità diverse e soprattutto sono funzionali alla cura di interessi diversi (il primo all'ordinato governo del territorio, il secondo alla tutela della identità estetico-culturale dei siti).

L’eventuale e non dimostrata compatibilità paesaggistica dell’intervento non potrebbe in nessun caso superare la mancanza di conformità edilizia e urbanistica dello stesso.

A fronte della natura pacificamente abusiva dei manufatti, il Comune non era tenuto né a comunicare l’avvio del procedimento, né ad instaurare alcun contraddittorio, né a motivare sull’interesse pubblico alla demolizione: questo perché l’art. 27 del d.P.R. n. 380/2001 sanziona con la demolizione la realizzazione senza titolo di nuove opere in zone vincolate. Dunque l'ordine di demolizione costituisce atto dovuto, mentre la possibilità di non procedere alla rimozione degli abusi costituisce solo un'eventualità della fase esecutiva, subordinata alla circostanza dell'impossibilità del ripristino dello stato dei luoghi.

Efficacia ordine di demolizione: annullamento o sospensione?

Infine, secondo giurisprudenza consolidata, la presentazione dell’istanza di sanatoria o di accertamento di conformità non pone nel nulla l’ingiunzione di demolizione ma ne sospende l’efficacia, il cui termine riprende a decorrere dopo l’adozione del provvedimento negativo sulla suddetta istanza, sia perché, come correttamente rilevato dal TAR, il Comune nel caso di specie ha comunque concesso ulteriori novanta giorni dalla notifica del provvedimento di inefficacia della SCIA.

Costituisce jus receptum che la domanda di accertamento di conformità determina un arresto dell'efficacia dell'ordine di demolizione, ma tale inefficacia opera in termini di mera sospensione; in caso di rigetto dell'istanza di sanatoria, l'ordine di demolizione riacquista la sua efficacia.

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