Abusi edilizi: gli effetti del silenzio sulla SCIA in sanatoria

Il Consiglio di Stato chiarisce le differenze tra un'istanza di sanatoria edilizia presentata ai sensi dell'art. 36 e ai sensi dell'art. 37 del d.P.R. n. 380/2001

di Gianluca Oreto - 13/03/2023

Tra le più gravi negligenze del legislatore italiano vi è senza dubbio la mancata presa di posizione sulla normativa edilizia. Il d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) è, infatti, una norma che ormai risulta essere palesemente "scollata" con la realtà che ci circonda, con la conseguenza che per dirimere alcune "matasse" è indispensabile l'ausilio della giurisprudenza (sempre più impegnata in "quisquilie" su cui si farebbe volentieri a meno).

I regimi sanzionatori del d.P.R. n. 380/2001

Della gestione delle difformità edilizie ne abbiamo parlato parecchio su queste pagine. Un principio dovrebbe essere abbastanza chiaro, il Testo Unico Edilizia prevede diversi regimi sanzionatori in caso di:

  • lottizzazione abusiva (art. 30);
  • interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali (art. 31, con il successivo art. 32 che definisce il concetto di variazioni essenziali);
  • interventi di ristrutturazione edilizia in assenza di permesso di costruire o in totale difformità (art. 33);
  • interventi eseguiti in parziale difformità dal permesso di costruire (art. 34);
  • interventi abusivi realizzati su suoli di proprietà dello Stato o di enti pubblici (art. 35);
  • accertamento di conformità (art. 36);
  • interventi eseguiti in assenza o in difformità dalla segnalazione certificata di inizio attività e accertamento di conformità (art. 37);
  • interventi eseguiti in base a permesso annullato (art. 38).

Abusi edilizi e SCIA in sanatoria: interviene il Consiglio di Stato

In questo approfondimento ci concentreremo sulle differenze tra gli articoli 36 e 37 del Testo Unico Edilizia (TUE), alla luce dell'interessante Sentenza Consiglio di Stato 20 febbraio 2023, n. 1708 che chiarisce meglio le diversità tra un permesso di costruire e una SCIA in sanatoria.

Alla luce della seguente trattazione, occorre premettere che:

  • l'accertamento di conformità ai sensi dell'art. 36 del TUE può essere richiesto nel caso di interventi realizzati:
    • in assenza di permesso di costruire, o in difformità da esso;
    • in assenza di segnalazione certificata di inizio attività alternativa al permesso di costruire (art. 23, comma 01), o in difformità da essa;
  • l'accertamento di conformità ai sensi dell'art. 37 del TUE è, invece, richiesto nel caso di interventi realizzati in assenza di segnalazione certificata di inizio attività (art. 22, commi 1 e 2), o in difformità da essa.

L'art. 37 può, quindi, essere richiesto per sanare:

  • interventi di manutenzione straordinaria di cui all'articolo 3, comma 1, lettera b), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio o i prospetti;
  • interventi di restauro e di risanamento conservativo di cui all'articolo 3, comma 1, lettera c), qualora riguardino le parti strutturali dell'edificio;
  • gli interventi di ristrutturazione edilizia di cui all'articolo 3, comma 1, lettera d), diversi da quelli indicati nell'articolo 10, comma 1, lettera c).
  • le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire.

Il caso analizzato dal Consiglio di Stato

Proverò adesso a riassumere brevemente i fatti analizzati dalla sentenza n. 2192/2023 del Consiglio di Stato:

  • il Comune emette un'ordinanza per la demolizione di opere abusive;
  • l'attuale ricorrente presenta successivamente istanza di sanatoria ai sensi dell'art. 37 del d.P.R. n. 380/2001 (SCIA in sanatoria);
  • la parte contro-interessata agisce dinanzi al TAR per l'accertamento dell'illegittimità del silenzio serbato dal Comune, con il quale la ricorrente aveva invitato e diffidato l'Amministrazione intimata ad adottare i provvedimenti amministrativi necessari al ripristino della legalità violata mediante la conclusione del procedimento repressivo degli abusi edilizi;
  • il TAR accertava l'illegittimità del silenzio serbato dal Comune sulla diffida a esso notificata per la mancata adozione dei provvedimenti amministrativi necessari all'accertamento degli abusi e alla repressione degli stessi, con l’obbligo di ripristino e messa in sicurezza dell'immobile a tutela della pubblica e privata incolumità;
  • il Comune, quindi, informa le parti dell'avvio del procedimento finalizzato all'accertamento, alla repressione e all’eliminazione degli abusi edilizi di cui alle ordinanze di demolizione già emesse e a quelli relativi ad ulteriori eventuali provvedimenti atti a eliminare i rischi per la stabilità dell'edificio in questione;
  • l’originaria ricorrente, ritenendo l'attività posta in essere dal Comune inidonea a dare effettiva esecuzione alla sentenza richiamata, presentava istanza di nomina di Commissario ad acta;
  • il TAR accoglie l'istanza e nomina il Commissario ad acta;
  • il Commissario ad acta adotta un provvedimento con cui dispone, tra l’altro, ai sensi dell'art. 31 del d.P.R. n. 380/2001, l'acquisizione al patrimonio comunale degli immobili abusivi, oggetto di ordinanza di demolizione;
  • l'attuale ricorrente presenta ricorso al TAR per violazione e falsa applicazione dell'art. 32 del Testo Unico Edilizia, delle NTC 2008 e 2018, anche alla luce della circ. 21/01/2019 par. C.8.4.1;
  • il TAR dichiara l’inammissibilità del reclamo in quanto quest’ultimo sarebbe stato rivolto nei confronti della relazione finale del Commissario ad acta (che non è un atto avente natura provvedimentale, né avente carattere lesivo) e non avverso il diverso ben distinto provvedimento di acquisizione gratuita dell’area adottato dallo stesso Commissario.

Da qui il ricorso al Consiglio di Stato.

I motivi del ricorso

Tralasciamo la declaratoria di inammissibilità dell’opposizione per la mancata corretta individuazione dell’atto gravato e passiamo direttamente alla parte interessante della sentenza.

L’appellante si duole che il giudice di primo grado non avrebbe considerato che l’ordinanza di demolizione del Comune, a cui il Commissario ad acta avrebbe dato esecuzione in via sostitutiva dell’Ente locale, non avrebbe disposto la riduzione in pristino delle opere né, in caso di inottemperanza, l’acquisizione al patrimonio comunale, trattandosi di interventi sottoposti a SCIA.

Inoltre, il Commissario ad acta, nell’adottare l’atto di acquisizione avrebbe indicato che nessuna richiesta di sanatoria da parte dei proprietari delle unità immobiliari sarebbe stata presentata agli uffici competenti.

Secondo i ricorrenti, il provvedimento commissariale di acquisizione al patrimonio comunale trova il suo fondamento nelle seguenti motivazioni:

  • nessuna richiesta di sanatoria da parte dei proprietari delle unità immobiliari interessate sarebbe stata inoltrata agli uffici competenti dopo la notifica dell’ordine di rimessione in pristino e demolizione;
  • dalla consulenza tecnica di parte sarebbe emerso che gli interventi abusivi, eseguiti in violazione delle NTA del 2018, avrebbero inciso sulle strutture portanti, compromettendone la capacità di resistere alle sollecitazioni sismiche;
  • il Commissario ad acta avrebbe ricavato che la realizzazione dei varchi di collegamento tra le unità immobiliare de quibus avvenuta senza la verifica locale dell'elemento interessato e il deposito dei relativi calcoli al Genio Civile, può provocare una diminuzione delle caratteristiche statiche e sismiche dell'immobile e tanto integrerebbe una variazione essenziale che ai sensi dell’art. 32 d.p.r. 380/2001 legittima l’acquisizione delle unità immobiliare in questione al patrimonio comunale.

Contrariamente a quanto presupposto dal Commissario ad acta, in relazione all’ordinanza di demolizione era stata presentata apposita SCIA in sanatoria. Oltretutto, il provvedimento del commissario avrebbe violato la ratio dell’art. 32 del TUE, che descrive l’elenco delle opere compiute in difformità a progetti approvati da considerare come variazioni essenziali al Permesso di Costruire.

In tali opere rientrano solo quelle difformi al permesso di costruire e non anche quelle soggette a SCIA/DIA, come quelle in esame. Non si configurerebbe, inoltre, come una violazione essenziale il mancato deposito del progetto esecutivo ai sensi della normativa antisismica, né tale omissione avrebbe potuto comportare l’acquisizione del manufatto, stante che gli interventi in esame non rientravano tra quelli per i quali era richiesto detto deposito e, in ogni caso, non vi è prova che detti interventi possano avere compromesso la vulnerabilità sismica del fabbricato.

Il silenzio sulla SCIA in sanatoria

Il Consiglio di Stato ha preliminarmente rilevato che la stessa ordinanza di demolizione del Comune indicava che le opere in questione erano sottoposte al regime della SCIA, contestando all’appellante l’assenza della stessa (non del permesso di costruire), unitamente al mancato rispetto della disciplina antisismica.

Corretta sarebbe stata la scelta dell’appellante di presentare una SCIA in sanatoria ai sensi dell'art. 37, comma 4, del TUE e non una istanza di accertamento di conformità ex art. 36 del medesimo TUE, per cui non si può sostenere che la SCIA presentata non poteva conseguire, nemmeno in ipotesi, alcun effetto sanante.

Stante il differente carattere e natura della SCIA, anche se presentata in sanatoria, alla fattispecie non era neanche applicabile il cosiddetto silenzio rifiuto previsto sull’istanza di accertamenti di conformità dal già citato art. 36, secondo cui "la mancata pronuncia dell'amministrazione sulla relativa domanda entro sessanta giorni dal suo ricevimento ha il valore di diniego tacito della sanatoria", con l’effetto che il procedimento di esecuzione dell’ordinanza di demolizione (momentaneamente sospesa) o quello di acquisizione gratuita dell’immobile possono riprendere il loro corso.

L’art. 37, comma 4, del TUE contempla la SCIA in sanatoria a intervento concluso, che prevede che il responsabile dell'abuso o il proprietario dell'immobile possano ottenere la sanatoria dell'intervento ove sussista la doppia conformità (l'intervento realizzato deve risultare conforme tanto alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della realizzazione dell'intervento, quanto a quella vigente alla presentazione della domanda), versando una somma il cui valore è stabilito dal responsabile del procedimento (non superiore a 5.164 euro e non inferiore a 516 euro).

Il silenzio sulla SCIA in sanatoria: i 3 orientamenti della giurisprudenza

A differenza di quanto previsto per l'accertamento di conformità di cui all'art. 36 del TUE per il quale, in caso inerzia a seguito della presentazione della domanda, è la stessa norma che qualifica espressamente l'eventuale silenzio dell'amministrazione come diniego, l'art. 37, D.P.R. n. 380 del 2001 nulla dispone sul punto.

In assenza di un chiaro dato normativo, la giurisprudenza ha adottato 3 orientamenti diversi:

  • secondo un primo filone giurisprudenziale il silenzio sull'istanza di sanatoria di cui agli artt. 36 e 37, comma 4, D.P.R. n. 380 del 2001 sarebbe da qualificarsi come silenzio rigetto;
  • un altro orientamento è nel senso di ritenere che il silenzio della PA debba qualificarsi come assenso;
  • un ultimo orientamento, condiviso dal Consiglio di Stato, ritiene che il procedimento può ritenersi favorevolmente concluso per il privato solo allorquando vi sia un provvedimento espresso dell'amministrazione procedente, pena la sussistenza di un'ipotesi di silenzio inadempimento.

L'art. 37 non prevede esplicitamente un'ipotesi di silenzio significativo, a differenza dell'art. 36 del medesimo D.P.R. n. 380 del 2001, ma al contrario stabilisce che il procedimento si chiuda con un provvedimento espresso, con applicazione e relativa quantificazione della sanzione pecuniaria a cura del responsabile del procedimento.

Dalla lettura della norma emerge che la definizione della procedura di sanatoria non può prescindere dall'intervento del responsabile del procedimento competente a determinare, in caso di esito favorevole, il quantum della somma dovuta sulla base della valutazione dell'aumento di valore dell'immobile compiuta dall'Agenzia del Territorio.

Al tempo stesso la soluzione appare più conforme alla ratio della sanatoria di opere abusive già realizzate, che necessita di una valutazione espressa dell’amministrazione sulla sussistenza della doppia conformità, rispetto al regime di opere ancora da realizzare alle quali si attaglia la disciplina ordinaria della SCIA, come metodo di semplificazione del regime abilitativo edilizio.

Ne deriva che il Comune deve pronunciarsi, con un provvedimento espresso, sulla SCIA in sanatoria, previa verifica dei relativi presupposti di natura urbanistico-edilizia di cui al citato art. 37.

Conclusioni

Nel caso in esame, quindi, una volta presentata la SCIA in sanatoria, l’appellante non era onerato di alcuna impugnativa e poteva attendere gli esiti e, in particolare, la valutazione dell’Amministrazione sull’esistenza dei presupposti per la sanatoria o, eventualmente, l’esercizio del potere inibitorio o repressivo, qualora la stessa avesse ritenuto di applicare la disciplina della SCIA ordinaria.

In difetto deve applicarsi il principio secondo cui in pendenza di un'istanza volta alla sanatoria di abusi edilizi determina la temporanea inefficacia ed ineseguibilità dell'ordinanza di demolizione, fino all'adozione di un provvedimento, espresso o tacito, sulla predetta istanza.

In pendenza della domanda di sanatoria non può, quindi, essere eseguito l’ordine di demolizione, che resta sospeso, né a maggior ragione può disporsi l’acquisizione dell’opera abusiva.

Quest’ultima potrà essere disposta solo nell’eventualità del rigetto dell’istanza, senza necessità dell’adozione di una nuova ordinanza di demolizione.

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