Abusi edilizi, ordine di demolizione, CILA tardiva e SCIA in sanatoria: interviene il Consiglio di Stato

La presentazione di un'istanza di sanatoria edilizia provoca il temporaneo effetto di rendere non eseguibile l’ordine di demolizione per la durata del procedimento di verifica

di Gianluca Oreto - 11/04/2023

Benché il d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) sia (parecchio) suscettibile di interpretazione (soprattutto relativamente agli interventi "minori"), esistono alcuni principi ormai consolidati dalla giurisprudenza di ogni ordine e grado. Tra questi, la presentazione di un'istanza di sanatoria edilizia, successiva ad un ordine di demolizione, non incide sulla legittimità del provvedimento demolitorio ma provoca (soltanto) il temporaneo effetto (non incidente sul terreno processuale) di rendere non eseguibile l’ordine di demolizione per la durata del procedimento di verifica sulla accoglibilità della richiesta ovvero sulla intervenuta sanatoria dell’opera abusiva.

Abusi edilizi: nuova sentenza del Consiglio di Stato

Se ne parla nella Sentenza del Consiglio di Stato 28 marzo 2023, n. 3138 che ci consente di approfondire l'argomento relativamente (nientemeno) alle seguenti asserite realizzazioni abusive:

  • 3 gazebo in legno, posti su pedane di legno, non stabilmente infissi al suolo;
  • un pergolato con pali in legno e copertura con canne di bambù e rami secchi, chiusa su due lati sempre con canne di bambù per ricovero auto;
  • una cuccia per cani (posta sotto il pergolato);
  • 2 casette in legno da giardino appoggiate al suolo;
  • una piscina in difformità rispetto al PDC per dimensioni (maggiori) e per traslazione e rotazione;
  • una tettoia parapioggia e paravento realizzata con struttura in ferro e materiale plastico trasparente ancorata sulla muratura del fabbricato;
  • una tettoia parapioggia e paravento realizzata con struttura in ferro e materiale plastico trasparente realizzata su di un balcone al piano primo;
  • una pensilina (tettoia) sul vano della porta d’ingresso al fabbricato, costituita anch’essa da struttura in ferro e materiale plastico trasparente;
  • la sostituzione della copertura con ampliamento di un corpo esistente in muratura posto a confine della proprietà con la strada comunale;
  • un piccolo manufatto in muratura di altezza circa ml. 1.5 e copertura in lamiera zincata per deposito legna;
  • una pavimentazione dell’area cortilizia in parte con mattoni in cotto (circa mq. 250) ed in parte con asfalto bituminoso (circa mq. 500).

Abusi sui quali era stato emesso un ordine di demolizione riformato dal TAR che ne ha annullato il provvedimento demolitorio limitatamente alla realizzazione della pavimentazione dell’area cortilizia in parte con mattoni in cotto ed in parte con asfalto bituminoso, ma che ha anche confermato la legittimità del provvedimento repressivo sanzionatorio con riferimento a tutte le altre opere edilizie.

Il ricorso

Ricorrendo al Consiglio di Stato, il ricorrente evidenzia di aver provveduto a regolarizzare le opere sanzionate con l'ordinanza di demolizione mediante:

  • attività di ripristino parziale delle opere in muratura;
  • presentazione di CILA in sanatoria (rabbrividisco ogni volta che sento utilizzare queste parole anziché quelle più corrette "CILA tardiva) per le seguenti opere: cuccia dei cani, tettoia, ricovero attrezzi e pergolato utilizzato come ricovero auto;
  • presentazione di SCIA in sanatoria per le tettoie ed i gazebo.

Secondo l'appellante, dunque, il TAR avrebbe errato nell’avere considerato l’insieme degli interventi edilizi come se fossero tra loro connessi funzionalmente e quindi rilevabili nella loro complessità, senza invece apprezzare, come sarebbe stato logico fare (ad avviso dell’appellante), ciascuna delle opere realizzate per la singola rilevanza, tenuto anche conto che ogni intervento edilizio contestato come abusivo presenta una distinta declinazione giuridica e dunque un proprio protocollo amministrativo di realizzazione nonché una diversa tipologia di sanzione alla quale può essere sottoposto.

Secondo il ricorso con la presentazione della CILA/SCIA in sanatoria, si sarebbe provveduto a regolarizzare gli interventi sanzionati.

Gli effetti dell'istanza di sanatoria

Il Consiglio di Stato ha, però, rilevato che la presentazione di CILA/SCIA in sanatoria non può essere presa in considerazione ai fini processuali per i seguenti due ordini di motivi:

  • in primo luogo, pur essendo stata segnalata tale novità dalla parte appellante successivamente rispetto alla pubblicazione della sentenza di primo grado e fin dall’atto introduttivo del giudizio di secondo grado, in nessun caso il Comune appellato ha dato conferma di avere verificato la legittimità dei titoli abilitativi presentati dall’appellante ma, al contrario, ha controdedotto puntualmente con riferimento ai singoli motivi di appello, ribadendo la abusività delle opere e la legittimità dell’irrogata sanzione demolitoria;
  • sotto altro versante, come è noto, per interpretazione giurisprudenziale ormai prevalente e che può dirsi consolidata, la mera presentazione di una domanda di sanatoria non pone nel nulla il provvedimento demolitorio avente ad oggetto le opere edilizie che si vorrebbero, con detta domanda, sanare, ma provoca (soltanto) il temporaneo effetto (non incidente sul terreno processuale) di rendere non eseguibile l’ordine di demolizione per la durata del procedimento di verifica sulla accoglibilità della richiesta ovvero sulla intervenuta sanatoria dell’opera abusiva.

Su quest'ultimo punto il Consiglio di Stato ha ricordato che la presentazione di una istanza di sanatoria non comporta l'inefficacia del provvedimento sanzionatorio pregresso, non essendoci pertanto un'automatica necessità per l'amministrazione di adottare, se del caso, un nuovo provvedimento di demolizione.

Nel caso in cui venga presentata una domanda di accertamento di conformità in relazione alle medesime opere, l'efficacia dell'ordine di demolizione subisce un arresto, ma tale inefficacia opera in termini di mera sospensione. In caso di abusi edilizi, l'ordine di demolizione, come tutti i provvedimenti sanzionatori in materia edilizia, è atto vincolato, non potendo neppure ammettersi l'esistenza di un affidamento tutelabile alla conservazione di una situazione di fatto abusiva, che il tempo non può giammai legittimare.

Da questo principio ne deriva dunque l’assenza di prova circa la positiva definizione delle procedure di sanatoria messe in campo dalla parte appellante con riferimento ad alcune delle opere contestate come abusive, essendo perciò impedito al Collegio di dichiarare la cessazione della materia del contendere, come invece richiesto dalla parte appellante.

La valutazione dell'abuso edilizio

Relativamente alla asserita valutazione atomistica degli abusi realizzati, anche in questo caso esiste una copiosa giurisprudenza che il Consiglio di Stato evidentemente condivide.

In termini generali, la valutazione dell'abuso edilizio presuppone una visione complessiva e non atomistica delle opere realizzate. Non è dato scomporne una parte per negare l'assoggettabilità ad una determinata sanzione demolitoria, in quanto il pregiudizio arrecato al regolare assetto del territorio deriva non da ciascun intervento a sé stante bensì dall'insieme delle opere nel loro contestuale impatto edilizio e nelle reciproche interazioni.

L'opera edilizia abusiva va identificata con riferimento all'immobile o al complesso immobiliare, essendo irrilevante il frazionamento dei singoli interventi avulsi dalla loro incidenza sul contesto immobiliare unitariamente considerato.

Nel caso in esame, si è al cospetto di numerosi interventi abusivi privi per la maggior parte di titolo per la loro realizzazione, sicché la misura ripristinatoria impugnata riguarda un unico compendio immobiliare, oltre alla circostanza che, trattandosi di opere al “servizio” del medesimo immobile, esse sono funzionalmente collegate tra di loro realizzando quindi una complessiva compromissione del territorio amplificata dal numero degli intervento piuttosto che dal “peso specifico” attribuibile a ciascuno di essi nella violazione delle norme edilizie, sicché il quadro d’insieme restituisce una attività illecita di complessiva rilevanza che, proprio per questo, non impone all’amministrazione una diversificazione degli interventi repressivi da assumere.

Ne deriva che il complesso degli abusi realizzati, consistenti in ampliamenti volumetrici, cambi di sagoma, maggiore altezze, diversa sistemazione delle aree esterne - non è parcellizzabile e quindi stante l'unitarietà dell'abuso, l'ordine non poteva che coinvolgere tutti gli interventi edilizi, rispetto ai quali grava l’ordine di ripristino “collettivo”.

Sanzione alternativa

Quanto poi all'omessa applicazione della sanzione alternativa alla demolizione, i giudici di secondo grado hanno confermato che la stessa può costituire una deroga alla regola generale della demolizione negli illeciti edilizi (in tal senso, depone chiaramente la lettera dell'art. 34 d.P.R. 380/2001) ma tale possibilità deve essere valutata dall'amministrazione competente nella fase esecutiva del procedimento, successiva ed autonoma rispetto all'ordine di demolizione.

Coinvolgimento partecipativo al procedimento

Relativamente al mancato coinvolgimento partecipativo, il Consiglio di Stato ha confermato che, una volta accertata l'abusività dei manufatti, mancando un titolo edilizio necessario, il provvedimento repressivo costituisce attività vincolata, doveroso in presenza, come nella fattispecie oggetto di questo giudizio, dei presupposti di legge.

La natura vincolata delle determinazioni in materia di abusi edilizi esclude la possibilità di apporti partecipativi dei soggetti interessati e, conseguentemente, anche di un obbligo di previa comunicazione dei motivi ostativi all'accoglimento della relativa domanda. Ciò anche in applicazione dell'art. 21-octies, comma 2, primo periodo, l. 7 agosto 1990, n. 241, secondo cui il mancato preavviso di diniego non produce effetti vizianti ove l'amministrazione non avrebbe comunque potuto emanare provvedimenti diversi da quelli in concreto adottati.

Il provvedimento con cui viene ingiunta la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso neanche nell'ipotesi in cui:

  • l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso;
  • il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino.

A maggior ragione quindi l'amministrazione, in sede di irrogazione della sanzione demolitoria, non deve ritenersi onerata di valutare preventivamente la possibilità che l'abuso sia sanabile, anche perché la sanatoria richiede la domanda dell'interessato, la quale, se proposta (come nella specie), produce l'effetto di sospendere l'efficacia dell'ordine di demolizione fino a definizione della istanza di sanatoria.

In definitiva il ricorso è stato rigettato e l'ordinanza demolitoria confermata.

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