Abusi edilizi, ordine di demolizione e sanatoria: interviene il Consiglio di Stato

La natura dell’ordine di demolizione, l’indicazione dell’area da acquisire e i presupposti per la sanatoria edilizia di un abuso ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. n. 380/2001

di Redazione tecnica - 29/01/2024

Nel caso di interventi eseguiti in assenza di permesso di costruire, in totale difformità o con variazioni essenziali, l’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) prevede come unica possibilità la loro demolizione con ripristino dello stato legittimo.

Abusi edilizi tra demolizione e sanatoria

L’unica possibilità offerta dall’attuale normativa edilizia si chiama “accertamento di conformità” che, come previsto al successivo art. 36, vincola la sanatoria edilizia alla “doppia conformità”. Per ottenere il permesso di costruire in sanatoria, considerato che al momento non esistono possibilità di condono (alias sanatoria straordinaria), è necessario che l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda (c.d. abuso formale).

In caso di assenza della doppia conformità e, quindi, di impossibilità alla sanatoria dell’abuso, alla regola della demolizione non c’è altra alternativa.

Abusi edilizi, ordine di demolizione e sanatoria: la sentenza del Consiglio di Stato

Questo concetto è stato affrontato dalla giustizia amministrativa che negli anni è riuscita a definire alcuni orientamenti fondamentali, ribaditi nella sentenza del Consiglio di Stato 26 gennaio 2024, n. 825 resa in riferimento ad un ricorso presentato per l’annullamento di una decisione di primo grado che aveva respinto:

  • il ricorso principale avverso un’ordinanza di demolizione emessa ai sensi dell’art. 31 del d.P.R. n. 380/2001;
  • il ricorso per motivi aggiunti avverso il diniego dell’istanza di accertamento di conformità presentata ai sensi del successivo art. 36 del Testo Unico Edilizia.

In particolare, in secondo grado il ricorrente ha lamentato:

  • che il TAR avrebbe erroneamente ritenuto superflua la preventiva comunicazione di avvio del procedimento;
  • che sarebbe errata la sentenza nella parte in cui il giudice di I grado ha respinto il motivo di ricorso con il quale è stato evidenziato il difetto di motivazione in ordine all’interesse pubblico alla demolizione ed alla mancata valutazione della conformità urbanistica degli abusi sanzionati;
  • la mancata valutazione della conformità urbanistica degli abusi sanzionati prima di ordinarne la demolizione;
  • la mancata indicazione nell’ordinanza dell’area da acquisire;
  • l’illegittimità del provvedimento di diniego di sanatoria che rinvia genericamente alla relazione del Tecnico Istruttore senza effettuare alcuna compiuta valutazione in ordine alla sanabilità del manufatto in questione;
  • l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento prima del provvedimento di rigetto dell’istanza di accertamento di conformità.

Tutti argomenti molto interessanti che meritano di essere affrontati puntualmente.

Demolizione e avvio del procedimento

Relativamente alla presunta illegittimità dell’ordine di demolizione per assenza della comunicazione di avvio del procedimento ai sensi dell’art. 7 della Legge n. 241/90, il Consiglio di Stato ha ribadito un concetto ormai granitico.

L’ordinanza di demolizione costituisce espressione di un potere vincolato e doveroso in presenza dei requisiti richiesti dalla legge, rispetto al quale non è richiesto alcun apporto partecipativo del privato. Come affermato in numerose altre sentenze del Consiglio di Stato:

  1. L'attività di repressione degli abusi edilizi, mediante l'ordinanza di demolizione, avendo natura vincolata, non necessita della previa comunicazione di avvio del procedimento ai soggetti interessati, ai sensi dell'art. 7 l. n. 241/1990, considerando che la partecipazione del privato al procedimento comunque non potrebbe determinare alcun esito diverso”;
  2. “Al sussistere di opere abusive la pubblica amministrazione ha il dovere di adottare l'ordine di demolizione; per questo motivo, avendo tale provvedimento natura vincolata, non è neanche necessario che venga preceduto da comunicazione di avvio del procedimento”.

Ad ogni modo, ricordano i giudici di Palazzo Spada, si sarebbe applicato il comma 2 dell’art. 21-octies della Legge n. 241/1990 secondo il quale:

  1. non è annullabile il provvedimento adottato in violazione di norme sul procedimento o sulla forma degli atti qualora, per la natura vincolata del provvedimento, sia palese che il suo contenuto dispositivo non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato;
  2. il provvedimento amministrativo non è comunque annullabile per mancata comunicazione dell'avvio del procedimento qualora l'amministrazione dimostri in giudizio che il contenuto del provvedimento non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato.

L’interesse pubblico

Infondato è pure il secondo motivo secondo il quale viene evidenziato il difetto di motivazione in ordine all’interesse pubblico alla demolizione ed alla mancata valutazione della conformità urbanistica degli abusi sanzionati.

Anche in questo caso esiste una costante giurisprudenza del Consiglio di Stato secondo la quale l'ordinanza di demolizione di un immobile abusivo ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, con la conseguenza che essa è dotata di un'adeguata e sufficiente motivazione se contiene la descrizione delle opere abusive e le ragioni della loro abusività.

Ne consegue che non è necessario che l’amministrazione individui un interesse pubblico – diverso dalle mere esigenze di rispristino della legalità violata – idonee a giustificare l’ordine di demolizione.

Un principio, questo, valido anche quando l’ordine di demolizione venga adottato a notevole distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, atteso che, a fronte della realizzazione di un immobile abusivo, non è configurabile alcun affidamento del privato meritevole di tutela.

Sul tema, l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (sentenza 17/10/2017, n.9) ha chiarito che “Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo e giammai assistito da alcun titolo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell'abuso neanche nell'ipotesi in cui l'ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell'abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell'abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell'onere di ripristino”.

Demolizione: serve prima la valutazione di conformità urbanistica?

Secondo i giudici di secondo grado, è infondato anche il terzo motivo di ricorso secondo il quale l’amministrazione avrebbe dovuto compiere una valutazione della conformità urbanistica degli abusi sanzionati prima di ordinarne la demolizione.

In questo caso il Consiglio di Stato fa notare che la realizzazione delle opere edilizie descritte nell’ordine di demolizione in assenza del prescritto titolo edilizio, costituisce elemento sufficiente a giustificare l’adozione del provvedimento demolitorio. Tale circostanza impone al Comune di ordinare il ripristino dello stato dei luoghi a prescindere dall’eventuale compatibilità delle opere con gli strumenti urbanistici.

Anche in questo caso esiste una costante giurisprudenza secondo cui la conformità urbanistica delle opere deve essere oggetto di valutazione da parte dell’amministrazione comunale solo nell’ipotesi in cui il privato abbia presentato un’istanza di accertamento di conformità. In presenza di abusi edilizi, la vigente normativa urbanistica non pone alcun obbligo in capo all'autorità comunale, prima di emanare l'ordinanza di demolizione, di verificarne la sanabilità ai sensi dell'art. 36, d.P.R. n. 380 del 2001 e tanto si evince chiaramente dai precedenti artt. 27 e 31, che obbligano il responsabile del competente ufficio comunale a reprimere l'abuso, senza alcuna valutazione di sanabilità. Le possibilità sananti possono essere valutate solo a seguito di istanza ai sensi dell’art. 36 che rimette all'esclusiva iniziativa della parte interessata l'attivazione del procedimento di accertamento di conformità urbanistica ivi disciplinato.

Indicazione dell’area di sedime

Relativamente alla mancata indicazione all’interno dell’ordinanza di demolizione dell’area di sedime da acquisire, il Consiglio di Stato ricorda i contenuti dell’art. 31, comma 3 del Testo Unico Edilizia, per il quale:

Se il responsabile dell'abuso non provvede alla demolizione e al ripristino dello stato dei luoghi nel termine di novanta giorni dall'ingiunzione, il bene e l'area di sedime, nonché quella necessaria, secondo le vigenti previsioni urbanistiche, alla realizzazione di opere analoghe a quelle abusive sono acquisiti di diritto gratuitamente al patrimonio del Comune. L'area acquisita non può comunque essere superiore a dieci volte la complessiva superficie utile abusivamente costruita”.

Anche in questo caso viene ribadito un principio consolidato per cui l'omessa o imprecisa indicazione nell'ordinanza di demolizione dell'area che verrà acquisita di diritto e gratuitamente al patrimonio del Comune per il caso di inottemperanza all'ordine di demolizione non costituisce ragione di illegittimità dell'ordinanza stessa. L'indicazione dell'area è requisito necessario ai fini dell'acquisizione, che costituisce distinta misura sanzionatoria.

L'effetto acquisitivo costituisce una conseguenza fissata direttamente dalla legge, senza necessità dell'esercizio di alcun potere valutativo da parte dell'Autorità eccetto quello del mero accertamento dell'inottemperanza all'ordine di demolizione e di ripristino dello stato dei luoghi; per quanto invece riguarda l'indicazione dell'area da acquisire, il provvedimento con cui si ingiunge al responsabile della costruzione abusiva di provvedere alla sua distruzione nel termine fissato, non deve necessariamente contenere l'esatta indicazione dell'area di sedime che verrà acquisita gratuitamente al patrimonio del Comune in caso di inerzia, atteso che il provvedimento di ingiunzione di demolizione (i cui requisiti essenziali sono l'accertata esecuzione di opere abusive ed il conseguente ordine di demolizione) è distinto dal successivo ed eventuale provvedimento di acquisizione, nel quale, invece, è necessario che sia puntualmente specificata la portata delle sanzioni irrogate.

L'accertamento dell'inottemperanza all'ingiunzione di demolizione costituisce un evento normativamente configurato alla stregua di un atto ad efficacia meramente dichiarativa, che si limita a formalizzare l'effetto (acquisizione gratuita del bene al patrimonio comunale) già verificatosi alla scadenza del termine assegnato con l'ingiunzione stessa; la mancata indicazione dell'area nel provvedimento di demolizione può comunque essere colmata con l'indicazione della stessa nel successivo procedimento di acquisizione.

Il rigetto dell’istanza di accertamento di conformità

Relativamente alla presunta illegittimità del provvedimento di diniego di sanatoria che rinvia genericamente alla relazione del Tecnico Istruttore senza effettuare alcuna compiuta valutazione in ordine alla sanabilità del manufatto in questione, anche in questo caso il Consiglio di Stato è molto chiaro.

Nel caso di specie il diniego di sanatoria ordinaria risulta essere “plurimotivato” dalla mancanza di conformità dell’opera alle prescrizioni urbanistiche vigenti, le quali sono puntualmente individuabili nell’ambito del Piano Regolatore Generale che classifica l’area come “agricola normale” nella quale è pertanto incompatibile la destinazione ad uso abitativo degli immobili.

L’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento prima del rigetto della sanatoria

Respinto anche l’ultimo motivo di appello secondo il quale l’appellante censura la sentenza di primo grado che non avrebbe ritenuto viziato, per omessa comunicazione dell’avvio del procedimento, il provvedimento di rigetto dell’istanza di accertamento di conformità.

Anche in questo caso, il Consiglio di Stato conferma che non era necessario l’avviso dell’avvio del procedimento. La partecipazione del privato era garantita con la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento della domanda (ex art. 10 bis), eseguita dal Comune.

In definitiva l’appello è stato respinto e l’operato dell’amministrazione confermato.

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