Abusi e Sanatoria edilizia: il Consiglio di Stato sulla doppia conformità

Il Consiglio di Stato si esprime sulla necessità di corredare la richiesta di sanatoria edilizia dalla dichiarazione del progettista circa la doppia conformità

di Giorgio Vaiana - 10/08/2021

Un fabbricato e una pertinenza devono essere demoliti secondo il Tar e per l'amministrazione comunale. Ma la donna, proprietaria dei due manufatti, si oppone. La storia di una nuova causa di abusivismo edilizio è raccontata dai giudici del consiglio di Stato che, con la sentenza n. 5266/2021, fanno ordine nella diatriba tra una donna e un Comune. Da un lato la donna ha realizzato un fabbricato con pertinenza; dall'altro il Comune ne chiede la demolizione per varie anomalie. Tra queste, il mancato rispetto del vincolo cimiteriale e il fatto che ci si trovi in una zona verde con divieto di edificare. Vediamo com'è andata.

Il diniego del Comune

Il Comune aveva comunicato alla donna l'avvio del procedimento di diniego, secondo la legge n. 241/1990. La nota, come rilevano i giudici, "ha rilevato che non è stata prodotta, nei termini assegnati, la documentazione richiesta con la precedente nota e che il progettista ha dichiarato di non poter certificare la conformità del progetto agli strumenti urbanistici approvati ed adottati, ai regolamenti edilizi vigenti e delle altre normative di settore aventi incidenza sulla disciplina dell’attività edilizia, soprattutto per l’esistenza di una fascia di rispetto cimiteriale". E, com'è ormai è noto, secondo il DPR n.380/2001 (c.d. Testo Unico Edilizia), la domanda di sanatoria va sempre accompagnata da una dichiarazione del progettista abilitato che asseveri la conformità del progetto agli strumenti urbanistici e alle normative di settore. Il comune aveva chiesto questa integrazione senza mai ottenere risposta. Dicono i giudici: "Il preavviso di rigetto (a prescindere dalla prospettata improcedibilità dell’istanza) consentiva certamente al richiedente di interloquire con l’amministrazione sui due punti, su cui poi si è basato il provvedimento conclusivo, vale a dire la conformità delle opere agli strumenti urbanistici edilizi e la legittimazione della stessa richiedente".

La titolarità dell'abuso

La donna contesta la decisione del Tar che ha qualificato come "non idonei" i documenti presentati per dimostrare la titolarità dei manufatti da demolire e considerato insussistenti i requisiti per accogliere l'istanza di sanatoria. Eppure, dice la donna, il comune ha indirizzato l'ordinanza di demolizione proprio alla donna e quindi, l'ha ritenuta legittimata a presentare l'istanza di sanatoria. Dicono i giudici: "Come ha correttamente rilevato il primo giudice la dichiarazione della ricorrente non ha neanche indicato il titolo sulla base del quale la proprietà (o altro diritto di godimento) dell’immobile, o almeno del terreno su cui è situato, sarebbe stata acquisita. Non è rilevante al riguardo che il Comune abbia indirizzato all’appellante l’ordinanza di demolizione, dato che in questo caso prevale l’interesse pubblico ad ottenere il ripristino della legalità violata dall’abuso edilizio (eventualmente anche ad opera di chi fosse nella disponibilità dell’immobile senza averne titolo), mentre con l’istanza di permesso di costruire in sanatoria si persegue un interesse privato e il provvedimento di concessione non può che riguardare il legittimo titolare del bene".

Il vincolo cimiteriale

La consistenza e la superficie occupata dagli immobili non consentono il rilascio del permesso di costruire in sanatoria sia per i limiti di inedificalità (siamo in zona F1 verde di rispetto), sia per il vincolo cimiteriale. E secondo i giudici, bene ha argomentato il comune nella sua ordinanza di demolizione: "L’unica attività consentita (in quest'area, ndr) è la coltivazione dei fondi. E’ vietata l’edificazione di nuove costruzioni anche di carattere provvisorio, con l’esclusione di impianti per la distribuzione del carburante".

Demolizione e motivazione

Per ultimo la donna ha contestato la mancanza di motivazione nell'ordinanza di demolizione da parte del comune. Scrivono i giudici: "Il provvedimento con cui viene ingiunta, sia pure tardivamente, la demolizione di un immobile abusivo, per la sua natura vincolata e rigidamente ancorata al ricorrere dei relativi presupposti in fatto e in diritto, non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso. Il principio in questione non ammette deroghe neppure nell’ipotesi in cui l’ingiunzione di demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso, il titolare attuale non sia responsabile dell’abuso e il trasferimento non denoti intenti elusivi dell’onere di ripristino". Questo caso non rientra tra i casi limite invocati. E per questo l'intero ricorso è stato respinto.

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