Annullamento DIA e SCIA edilizia: silenzio-assenso e potere di autotutela

Consiglio di Stato: "ove sussistono i requisiti di formazione del silenzio-assenso, il titolo abilitativo può perfezionarsi anche con riguardo ad una domanda non conforme a legge"

di Redazione tecnica - 23/03/2023

Il silenzio assenso di una P.A. si forma anche su domande non conformi alle previsioni urbanistiche e per rimediarvi l’Amministrazione non può formulare un provvedimento di diniego, ma deve necessariamente procedere con un annullamento in autotutela, ai sensi dell’art. 21-nonies della Legge n. 241/1990.

Questo perché ammettere la possibilità di un provvedimento di diniego tardivo contrasterebbe con il principio di collaborazione e buona fedee, quindi, di tutela del legittimo affidamento cui sono informate le relazioni tra i cittadini e l’Amministrazione.

Silenzio-assenso e potere di autotutela: no al diniego tardivo sulla SCIA

Sulla base di questi principi, il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 2661/2023, ha totalmente ribaltato una sentenza di primo grado, che aveva ritenuto di una dia in variante, per interventi eseguiti su un immobile che, secondo il Comune, erano in contrasto con le norme urbanistiche vigenti, che consentivano solo interventi di manutenzione ordinaria, straordinaria, restauro e risanamento conservativo.

Nel ricorso al TAR era stato specificato che, in violazione di quanto previsto dall’art. 23 del D.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), il Comune aveva atteso quasi 10 mesi dall’ultimo adempimento documentale prima di comunicare il provvedimento di diniego.

Per questo motivo, l’eventuale contrarietà dell’intervento agli strumenti urbanistici, stante il lungo decorso del tempo, non si sarebbe potuta manifestare con una comunicazione di diniego ma, al limite, attraverso un provvedimento di annullamento in autotutela, munito di peculiare motivazione in ordine all’interesse pubblico alla base della decisione.

DIA/SCIA in alternativa al p.d.c.: cosa prevede il Testo Unico Edilizia

Rircordiamo che ai sensi dell’art. 23 del Testo Unico Edilizia, in alternativa al permesso di costruire, possono essere realizzati mediante segnalazione certificata di inizio di attività:

  • a) gli interventi di ristrutturazione di cui all'articolo 10, comma 1, lettera c);
  • b) gli interventi di nuova costruzione o di ristrutturazione urbanistica qualora siano disciplinati da piani attuativi comunque denominati,
  • c) gli interventi di nuova costruzione qualora siano in diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali recanti precise disposizioni plano-volumetriche.

Inoltre, come stabilito dal comma 6-bis dell’art. 19 della legge n. 241/1990, nei casi di Scia in materia edilizia, il termine di sessanta giorni per l’adozione di provvedimenti di divieto di prosecuzione dell'attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa è ridotto a trenta giorni.

Tornando al caso in esame Il TAR aveva respinto il ricorso specificando che:

  • erano state realizzate opere di demolizione e ricostruzione senza un valido titolo a supporto, con la successiva presentazione di una d.i.a. “in variante” ex art. 22, comma 2, d.P.R. n. 380/2001 all’originario permesso di costruire, attinente, in realtà, ad opere già eseguite e senza alcuna istanza di sanatoria per le stesse;
  • l’omessa comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza non rendeva illegittimo l’operato dell’Amministrazione che aveva, comunque, rappresentato più volte i profili di criticità dell’intervento;
  • l’interlocuzione procedimentale non avrebbe comunque determinato un diverso esito della decisione risultando legittime le ragioni a fondamento del diniego;
  • non poteva condividersi il motivo relativo alla tipologia di provvedimento adottato atteso che l’istanza, erroneamente qualificata come una d.i.a. in variante al permesso di costruire e riguardante opere già eseguite (denunciate come da realizzare ex novo), non aveva dato vita ad un permesso edilizio produttivo di effetti.

Le differenze procedurali

Di diverso avviso invece il Consiglio di Stato. Il diniego dei lavori, intervenuto oltre due anni dopo la presentazione della denuncia di inizio attività e a quasi 10 mesi di distanza dall’ultima integrazione documentale, avrebbe potuto attuarsi soltanto attraverso l’attivazione dei poteri di autotutela, con le connesse garanzie partecipative dei privati, tra cui la comunicazione di avvio del procedimento e quella dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza.

In primo luogo, l’Amministrazione comunale non ha evidenziato che fosse necessario ricorrere a un titolo diverso da una d.i.a. ex art. 22, comma 2, del D.P.R. n. 380/2001, nel testo vigente ratione temporis. In seconda battuta, il Giudice di primo grado ha legittimato un’azione amministrativa non tempestiva e non conforme ai canoni legali di riferimento.

Considerata la tardività del diniego, l’Amministrazione avrebbe dovuto agire con le modalità e le garanzie previste dall’art. 21-nonies della L. n. 241/1990 (Annullamento d’ufficio), al fine di rimuovere gli effetti di una d.i.a. medio tempore consolidatisi proprio per l’inerzia del Comune. Come spiega Palazzo Spada, non si tratta di una circostanza meramente formale ma, al contrario, implica l’operatività delle regole di garanzia e l’obbligo per l’Amministrazione di calibrare la motivazione sulle ragioni di interesse pubblico alla rimozione del titolo.

Costituisce infatti  principio consolidato quello per cui “affinché il potere di intervento “tardivo” sulla d.i.a. possa dirsi legittimamente esercitato, è indispensabile che, ai sensi dell'art. 21 nonies l. n. 241 del 1990, l'autorità amministrativa invii all'interessato la comunicazione di avvio del procedimento, che l'atto di autotutela intervenga tempestivamente e che in esso si dia conto delle prevalenti ragioni di interesse pubblico concrete e attuali, diverse da quelle al mero ripristino della legalità violata, che depongono per la sua adozione, tenendo in considerazione gli interessi dei destinatari e dei controinteressati”.

Pratiche edilizie: il valore del silenzio-assenso

Secondo la giurisprudenza della Sezione, il dispositivo tecnico denominato “silenzio-assenso” risponde ad una valutazione legale tipica in forza della quale l’inerzia “equivale” a provvedimento di accoglimento. Tale equivalenza non significa altro che gli effetti promananti dalla fattispecie sono sottoposti al medesimo regime dell’atto amministrativo. Ne discende che ove sussistono i requisiti di formazione del silenzio-assenso, il titolo abilitativo può perfezionarsi anche con riguardo ad una domanda non conforme a legge. Reputare, invece, che si producano effetti solo se le domande sono corrispondenti alla disciplina sostanziale, significherebbe sottrarre i titoli così formatisi alla disciplina della annullabilità. 

L’obiettivo di semplificazione perseguito dal legislatore si realizza stabilendo che il potere di provvedere viene meno con il decorso del termine procedimentale, residuando successivamente la sola possibilità di intervenire in autotutela sull’assetto di interessi formatosi “silenziosamente”.

In conclusione, il Consiglio di Stato ha dato ragione agli appellanti: l’ammissibilità di un provvedimento di diniego tardivo si pone in contrasto con il principio di «collaborazione e buona fede» e, quindi, di tutela del legittimo affidamento cui sono informate le relazioni tra i cittadini e l’Amministrazione.

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