Cambio destinazione d'uso e categorie non omogenee: ci vuole il permesso di costruire

La conferma dal Consiglio di Stato: una modifica simile incide sul carico urbanistico e quindi sul calcolo degli standard urbanistici che devono essere conseguentemente adeguati

di Redazione tecnica - 14/07/2023

I locali accessori e le unità ad uso residenziale appartengono a categorie edilizie non omogenee e in quanto tali sono autonome; di conseguenza, perché i primi possano essere utilizzati per finalità residenziali, è necessario il permesso di costruire.

Cambio destinazione d'uso e categorie non omogenee: no senza permesso di costruire

Sulla base di questi presupposti, il Consiglio di Stato ha respinto, con la sentenza n. 6572/2023, il ricorso contro il provvedimento di annullamento di una DIA presentata per il cambio di destinazione d’uso, con opere, di un locale adibito ad autorimessa e magazzino in residenziale, in zona di conservazione dei volumi e delle superficie lorde esistenti, in cui non era ammesso il mutamento tranne che nelle casistiche previste dalle NTA.

Secondo il ricorrente, la destinazione “prevalentemente residenziale” dell’edificio di cui facevano parte i locali in questione, avrebbe reso il mutamento con opere irrilevante dal punto di vista urbanistico, ai sensi dell’art. 23 ter, del d.P.R. n. 380/2001. In particolare il TAR avrebbe mancato di considerare che il locale, interamente fuori terra, sarebbe stato accessorio di una unità residenziale da cui avrebbe mutuato la destinazione.

Di diverso avviso Palazzo Spada, che ha confermato quanto stabilito dal TAR: i locali accessori e le unità ad uso residenziale appartengono a categorie edilizie non omogenee e come tali autonome, con la conseguente necessità del permesso di costruire affinché i primi possano essere utilizzati per finalità residenziale.

Consiglio di Stato: il cambio in categorie disomogenee incide sul carico ubanistico

Una modifica simile incide sul carico urbanistico e quindi sul calcolo degli standard urbanistici che devono essere conseguentemente adeguati alla maggiore pressione antropica che si determina in conseguenza della maggiore superficie residenziale e dell’incremento dei volumi utilizzabili a fini abitativi.

Non si può infatti dubitare che, nel caso di conversione di superficie accessoria in superficie ad uso abitativo, si determini un aumento di superficie utile, seppur in assenza di aumento di superficie calpestabile, con conseguente incremento della capacità insediativa.

Gli spazi accessori, anche se rappresentano volumi fuori terra, già computati nella volumetria complessivamente assentibile, nascono come volumi accessori e come tali non abitabili; non incidono sulla superficie residenziale e sul calcolo delle volumetrie rilevanti ai fini della determinazione del carico urbanistico, rispetto al quale sono quantificati gli standard e, di conseguenza, anche il contributo di costruzione.

Proprio perché non si tratta di volumi abitabili, anche se computabili nella volumetria complessiva, gli oneri di urbanizzazione primaria e secondaria, oltre che il costo di costruzione, sono di regola quantificati in misura inferiore proprio in ragione della accessorietà dei vani. Ma soprattutto, trattandosi di locali non abitabili, gli stessi non sono di norma computati a fini del dimensionamento degli standard urbanistici che, a distanza di anni dalla originaria urbanizzazione dell’area, comporterebbero la loro necessaria monetizzazione, lasciando di fatto sguarnita l’area di una effettiva dotazione integrativa, circostanza che ben giustifica la previsione preclusiva delle N.T.A. richiamata dall'Amministrazione per interdire il perfezionamento della D.I.A., a conferma della sostanziale disomogeneità di categoria edilizia intercorrente tra le due tipologie di unità immobiliari e comunque della inderogabile necessità di un controllo pubblico preventivo non surrogabile, allo stato, mediante gli strumenti di autoamministrazione.

Prevalenza residenziale e cambio di destinazione d'uso: le disposizioni del Testo Unico Edilizia

Non giova neppure la tesi della prevalenza residenziale della destinazione d’uso dell’immobile principale, in forza del disposto dell’art. 23 ter, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, nella versione all’epoca in vigore, dato che tale condizione rileva solamente in caso di destinazione mista o promiscua, ipotesi che non ricorre in presenza di distinti immobili con diverse destinazioni d’uso.

In questo caso troverebbe invece applicazione il comma 3 dell’art. 23 ter, del d.P.R. n. 380 del 2001 il quale dispone “Salva diversa previsione da parte delle leggi regionali e degli strumenti urbanistici comunali, il mutamento della destinazione d'uso all'interno della stessa categoria funzionale è sempre consentito: in questo caso, l’Amministrazione si è avvalsa della deroga e ha espressamente vietato il cambio di destinazione d’uso.

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