Canna fumaria: la conformità urbanistica va valutata dall'Amministrazione, non dai condomini

Il CGARS: l’amministrazione è tenuta a rilasciare il titolo edilizio considerando solo la compatibilità urbanistica dell’opera, lasciando ogni questione riguardante i diritti soggettivi all'unica sede competente, ovvero il giudizio civile

di Redazione tecnica - 28/06/2023

La valutazione di un’opera come abusiva, compresa l'installazione di una canna fumaria in condominio, non può essere in alcun senso condizionata dall’assenso o dal dissenso degli altri comproprietari, essendo pacifico, da un lato, che i loro diritti – inclusi quelli connessi all’eventuale travalicamento dei limiti imposti dall’art. 1102 cod. civ., nonché la lesione del c.d. decoro architettonico dell’edificio – non sono mai pregiudicati dal rilascio del titolo edilizio e che essi sono tutelabili esclusivamente mediante azioni civili innanzi al Giudice ordinario.

Ciò significa che un’amministrazione è tenuta a rilasciare il titolo abilitativo edilizio considerando esclusivamente la compatibilità urbanistica dell’opera, lasciando ogni questione afferente a diritti soggettivi alla sua unica sede competente, che è il giudizio civile.

Abusi edilizi in condominio e diritti dei comproprietari: le diverse competenze dei giudici

Sulla base di questi presupposti, il Consiglio di Giustizia Amministrativa della Regione Siciliana, con la sentenza n. 392/2023, ha accolto il ricorso contro l’ordine di demolizione di una canna fumaria di un'attività di ristorazione. Una vicenda complessa, iniziata in sede civile e che aveva portato alla rimozione dell’opera originaria (ordinata dal giudice ordinario), a cui era seguita una nuova installazione su un'altra facciata dell’edificio, autorizzata dal Comune e dall’ARPA.

La nuova canna fumaria è stata eliminata coattivamente dall’Ufficiale giudiziario, «come se si fosse trattato della vecchia e ciò in presunta esecuzione della sentenza della Corte di Appello che riguardava la vecchia canna fumaria già eliminata e non la nuova, collocata in diverso sito e con modalità costruttive diverse», hanno spiegato i ricorrenti; successivamente, hanno presentato una SCIA nel 2020, con cui si comunicava la ricollocazione della nuova canna fumaria, già assentita, nel 2014, dall’Amministrazione comunale e dall’ARPA, nel rispetto delle distanze e del decoro architettonico.

A questa ricollocazione è seguita un'ulteriore comunicazione del Comune, nella quale l’Amministrazione specificava che era necessario il consenso di tutti i condomini, ingiungeva la demolizione della canna fumaria già realizzata, con avvertimento che in mancanza si sarebbe dato corso ai provvedimenti conseguenti.

La sentenza della CGARS

Nel valutare la questione, i giudici d’appello hanno ricordato fatto presente che l’ordinanza di demolizione è stata adottata indicando come motivazione quella indicata nel verbale di sopralluogo, ovvero che la collocazione della canna fumaria avrebbe dovuto essere autorizzata anche dagli altri condomini, ragione per cui il provvedimento è illegittimo perché:

  • l’attività messa in atto non necessitava di permesso di costruire;
  • il problema del dissenso poteva e doveva essere risolto solo dal Giudice civile.

Spiega il Collegio che la P.A., ha fatto derivare l’illegittimità urbanistica dalla supposta violazione dell’art.1102 del c.c., il cui accertamento invece appartiene al Giudice ordinario, con conseguente emissione dell’ordinanza di demolizione e, a seguire, quella di acquisizione.

La legittimità dell’intervento edilizio che “ciascun partecipante” alla comunione chieda alla p.a. di essere autorizzato a eseguire in forza della norma che gli consente di “servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto” (come testualmente recita l’articolo 1102 del codice civile), deve essere valutata dall’amministrazione (competente ad autorizzarlo solo per i profili amministrativi) senza riguardo ai profili civilistici e ai connessi limiti posti dal cit. art. 1102, perché tali profili e limiti sono tutti azionabili soltanto davanti al giudice civile, le cui decisioni  operano su piani diversi e per nulla interferenti con le valutazioni amministrative di competenza comunale.

Potere amministrativo vs potere del giudice ordinario

Pertanto, è viziato in sé l’esercizio del potere amministrativo come mero “braccio esecutivo” delle sentenze del giudice civile, appunto come ha fatto il Comune, avendo apertamente dichiarato che proprio “in conseguenza del mancato assenso preventivo reso dagli altri soggetti comproprietari, viene meno la piena legittimità” dell’opera e “per effetto di ciò, la stessa deve essere considerata illecita e quindi soggetta all’adozione dei provvedimenti repressivi di legge”.

Gli interventi repressivi azionabili dal privato dopo la condanna del giudice ordinario alla inibizione o alla rimozione dell’opera sono altro rispetto agli interventi in autotutela dell’autorità amministrativa. Quest’ultima non ha bisogno di una sentenza civile per denegare, o revocare, un’autorizzazione illegittima; né è tenuta a denegare, o revocare, un’autorizzazione che sia altrimenti legittima solo perché ci sia stata, o sopravvenga, una sentenza del giudice civile.

Le motivazioni per il rilascio del titolo edilizio

L’amministrazione è invece tenuta a rilasciare il titolo abilitativo edilizio avendo esclusivo riguardo alla compatibilità urbanistica dell’opera richiesta – il che non implica affatto che essa non sia lesiva di diritti soggettivi altrui – lasciando ogni questione afferente a diritti soggettivi alla sua unica sede competente, che è il giudizio civile.

L’amministrazione comunale non può:

  • valutare, neanche incidentalmente, se l’opera integri un’alterazione della destinazione della cosa comune (di cui un singolo comunista voglia servirsi in modo esclusivo);
  • valutare se tale utilizzo sia compatibile con l’uso paritario altrui; né, infine, se l’opera sia o meno lesiva del decoro architettonico dell’edificio;
  • dosare, modificare, revocare o confermare i propri atti di assenso amministrativo secondo le sopravvenienti decisioni del giudice civile.

La fattibilità della collocazione di una nuova e diversa canna fumaria, rispetto a quella oggetto del contenzioso civile, avrebbe dovuto essere nuovamente esaminata dalla P.A. valutandone la conformità urbanistica a prescindere dalle questioni decise dal giudice civile.

Altrimenti, è dal mero dissenso di un comproprietario che il Comune, implicitamente e illegittimamente, avrebbe derivato la sussistenza della violazione del decoro architettonico, che è il valore che l’ordinamento civile tutela.

Installazione canna fumaria: edilizia libera o nuova costruzione?

Infine, il CGARS ha specificato che il TAR ha erroneamente ritenuto l’opera riconducibile nella categoria dei lavori di ristrutturazione edilizia (art. 3, comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380/2001, Testo Unico Edilizia), per i quali sarebbe stato necessario il permesso di costruire.

Al riguardo il Collegio richiama l’orientamento giurisprudenziale secondo cui «la canna fumaria deve ritenersi ordinariamente un volume tecnico e, come tale, un’opera priva di autonoma rilevanza urbanistico-funzionale, per la cui realizzazione non è necessario il permesso di costruire, senza essere conseguentemente soggetta alla sanzione della demolizione», non sussistendo, a contrario, elementi per ritenere che l’opera in parola incida sulla sagoma dell’immobile (occorrendo, ma solo in tal caso, il “permesso di costruire”). Conseguentemente gli interventi per i quali è richiesta semmai la SCIA o un titolo “minore”, come nel caso di specie, ai sensi dell’art. 22 del d.P.R. n. 380/2001 sarebbero eventualmente soggetti alla sola sanzione pecuniaria, ma non alla demolizione.

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