Condono edilizio e area demaniale: interviene il Consiglio di Stato

Consiglio di Stato: “l’onere della prova circa la sussistenza dei requisiti per accedere alla sanatoria (tra cui evidentemente la titolarità del bene) incombe sul privato e non sull’amministrazione”

di Giorgio Vaiana - 12/04/2021

Condono edilizio, area demaniale e titolarità del bene. Un caso (all'apparenza) semplice quello che ci propone il Consiglio di Stato con la sentenza n. 2786/2021 in cui si parla di sanatoria su terreno demaniale.

La richiesta del 1986

Un salto indietro nel tempo di ben 35 anni per leggere la prima richiesta di condono edilizio del proprietario di un bar-ristorante, servizi e stabilimento balneare che si trova su un terreno demaniale. Già all'epoca il Comune aveva respinto la richiesta visto che, si leggeva nel documento, "il richiedente non ha la titolarità dell’area su cui insistono i fabbricati oggetto di condono edilizio, ricadendo gli stessi su aree di proprietà Demanio pubblico dello Stato (arenile)". In primo grado, il Tar ha respinto il ricorso ritenendo che "la dichiarazione resa dal richiedente in ordine alla proprietà dell’area esimesse la pubblica amministrazione da ogni indagine in ordine alla titolarità della stessa e che la istanza di rilascio della concessione demaniale risalente al 1996 non fosse comunque idonea a superare il motivo del diniego, dato che la concessione avrebbe dovuto essere sussistente al momento della presentazione dell’istanza di condono". Ora sui tavoli del giudici del Consiglio di Stato arriva il ricorso.

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La dichiarazione di proprietà

Nella richiesta di condono, il proprietario aveva dichiarato che le opere eseguite abusivamente erano state fatte su un'area di proprietà "del demanio pubblico dello Stato". La prova della sussistenza dei requisiti per accedere alla sanatoria (tra cui anche la titolarità del bene), dicono i i giudici, "incombe sul privato e non sull'amministrazione". Nel caso analizzato, dunque, il Comune non doveva effettuare alcun approfondimento sulla proprietà dell'area in presenza della dichiarazione del proprietario dell'immobile e della richiesta della stessa di ottenerne la disponibilità.

Cosa dice la legge

Per chiarire i dubbi, il Consiglio di Stato prende in considerazione la legge n. 47/1985 (primo condono edilizio) in cui si legge che "per le opere eseguite da terzi su aree di proprietà dello Stato o di enti pubblici territoriali, in assenza di un titolo che abiliti al godimento del suolo, il rilascio della sanatoria edilizia è subordinato alla disponibilità dell’ente proprietario a concedere onerosamente, alle condizioni previste dal leggi statali o regionali vigenti, l’uso del suolo su cui insiste la costruzione". In questo caso, il comune di riferimento non ha mai concesso l'uso del suolo. E questa cosa non è stata contestata dal proprietario dell'immobile abusivo.

No al silenzio-assenso

Il proprietario dell'immobile abusivo afferma che sono trascorsi 180 giorni dalla richiesta di concessione della disponibilità del suolo senza che mai l'amministrazione rispondesse e per questo si è formato il silenzio-assenso. Ma non è così, dicono i giudici, visto che "tale istituto non opera nei confronti di richieste relative all'uso di beni pubblici per le quali è preminente l'esigenza di garantire all'autorità concedente la possibilità di verificare la conformità dell'uso privati rispetto all'interesse pubblicato correlato al bene demaniale". Il ricorso, dunque è stato respinto.

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