Condono edilizio e dissesto idrogeologico: facciamo chiarezza

Il condono è una norma straordinaria che ha consentito la presentazione di domande per sanare abusi realizzati in precedenza. Ma non sempre è possibile e con precisi effetti

di Marco Campagna - 02/12/2022

Il tema del condono edilizio viene sempre fuori quando succedono eventi catastrofici – tipicamente previsti nella statistica ma imprevedibili nell’immediato – ma, come da italica abitudine, quando evocato, viene trattato in modo incompleto o (volutamente?) errato. Chi scrive, va premesso, non è favorevole ai condoni o, meglio, non è favorevole al modo in cui sono stati fatti e nemmeno a come vengono gestiti dalle amministrazioni, ma non bisogna nemmeno usare il condono edilizio come capro espiatorio di tutta una serie di problemi di cui l’attore della discordia è solo uno dei molteplici tasselli.

Le zone vincolate e i rischi

In Italia abbiamo un territorio molto particolare – è anche la sua bellezza – che ha diversi livelli di attenzione: vi sono zone che hanno un elevata probabilità che possa verificarsi un evento sismico di grande intensità, così come zone che, per i loro caratteri di non comune bellezza, devono essere conservati o quantomeno dove si ritiene che le trasformazioni del territorio devono essere sottoposte ad una specifica valutazione preventiva per evitare “scempi”.

Ci sono, poi, diverse zone soggette a rischio idrogeologico, e questo tipo di rischio sta iniziando purtroppo ad essere toccato con mano da molti cittadini: ricordiamo non solo il recentissimo e tragico evento di Ischia di cui sono ancora piene le cronache di questi giorni, ma anche, senza andare troppo indietro nel tempo, l’alluvione verificatasi nelle Marche a settembre del 2022.

Il rischio idrogeologico, così come altre tipologie di vincolo presenti nella legislazione italiana, rappresenta una limitazione diretta all’attività edificatoria dei privati (ed anche delle pubbliche amministrazioni, naturalmente) che può arrivare anche alla inedificabilità assoluta: nel caso del rischio idrogeologico, tale limitazione è dovuta a motivazioni legate alla pubblica incolumità (evitare che la gente possa trovarsi in situazioni di pericolo), mentre altre tipologie di vincolo perseguono differenti interessi pubblici (i vincoli dei Beni Paesaggistici tutelano la possibilità per i cittadini e per le future generazioni di poter godere della bellezza della natura o del paesaggio).

Edificare in presenza di vincoli

Dunque costruire una nuova casa o apportare trasformazioni su un edificio esistente, in presenza di un vincolo, significa dover affrontare un livello preventivo di progettazione che deve essere approvato da uno specifico ente che vigila affinché l’edilizia si svolga secondo determinate regole. E qui può scattare, in modo del tutto legittimo, la domanda sul perché ci siano queste limitazioni ed il loro senso profondo: senza scomodare la storia dell'urbanistica, per rispondere a questa domanda basta porsi nella prospettiva dell'essere il membro di una comunità (gli italiani) piuttosto che il semplice proprietario di un pezzo di terra: il territorio può essere privato ma fa parte di quel sistema economico che consente a tutto il Paese di progredire.

La limitazione e regolamentazione dell'attività edilizia dei privati rientra nel grande disegno dell'equilibrio di una società: se tutti potessero edificare ovunque, vincerebbe il più forte e non si riuscirebbero a creare infrastrutture pubbliche efficienti; un territorio che, invece, viene sviluppato “ordinatamente” prevede l’edificazione privata ma anche la realizzazione di idonei servizi pubblici, così che l’area sarà perfettamente vivibile secondo gli standard.

Tornando al punto delle norme a salvaguardia della pubblica incolumità, anche a fronte di una normativa “storica” (le norme a tutela del naturale scorrimento delle acque di superficie risalgono ai primi anni del novecento, così come le prime norme relative alla sicurezza delle costruzioni nelle aree colpite da gravi terremoti), l’attività edilizia italiana è stata eseguita talvolta ignorandole, o ignorando del tutto qualunque forma di normativa, ma molto più spesso nel pieno rispetto della stessa.

L'evoluzione dei vincoli

Può però accadere, anche non di rado, che una costruzione realizzata legittimamente in un epoca in cui l’area non era soggetta a nessun vincolo, con il tempo diventi interessata da qualche norma di tutela: ciò avviene per diversi motivi, non ultimo il fatto che i vincoli si adeguano alla conoscenza tecnologica e geologica (per i vincoli idrogeologici e di classificazione sismica) oppure alle valutazioni di ordine culturale (i vincoli dei Beni Culturali e Paesaggistici) o biologico-ambientali (le aree naturali protette), tutte materie che sono e devono essere oggetto di continui studi e ricerche.

Può pertanto essere del tutto normale trovare edifici perfettamente legittimi sotto il profilo urbanistico ma che si trovino in zone in cui, se la licenza edilizia venisse chiesta oggi, non verrebbe rilasciata del tutto o che consentirebbe l’edificazione di un edificio con caratteristiche del tutto differenti da quello esistente.

Questo accade spesso con il vincolo idrogeologico, se si pensa che i Piani per l’Assetto Idrogeologico sono soggetti a continua evoluzione. Questo non significa che l’immobile è diventato improvvisamente abusivo, ma che ci si è resi conto che si trova in un ambito pericoloso, e ciò comporta una serie di attenzioni, non ultimo il fatto che dal momento in cui risulterà vincolato, alcune trasformazioni saranno precluse (ampliamenti, cambi d’uso che contemplano aumento di carico urbanistico) mentre altre soggette a preventiva valutazione (obbligatoria, pena l’inefficacia del titolo abilitativo).

Esiste poi, naturalmente, il caso dell’edificio costruito in modo completamente o parzialmente abusivo. È il caso delle nuove costruzioni realizzate in completa assenza di titolo, oppure di quelle che, partendo con un progetto edilizio che prevedeva determinate caratteristiche, abbia poi comportato la realizzazione di un qualcosa di differente.

Il condono edilizio: cos'è?

Il condono edilizio ha consentito, in diversi casi, di mantenere in esistenza edifici la cui sorte sarebbe stata quella della demolizione (la demolizione dell’abuso edilizio è il naturale e vincolato esito, secondo la legislazione italiana, dell’azione di verifica dell’abusivismo da parte dei comuni), ottenendo un titolo abilitativo a posteriori, pagando una oblazione per aver edificato in assenza del prescritto titolo.

Questo fatto, scritto così, può sembrare uno smacco nei confronti di quanto scritto nei capoversi precedenti: dove sta la tutela della sicurezza pubblica, la tutela del paesaggio, la vigilanza delle aree naturali protette, se tanto è possibile farla franca? Ebbene, in verità è assai complicato farla franca quando si è costruiti in modo abusivo su area vincolata, anche laddove sia stato possibile presentare la domanda di condono.

Il condono è una norma straordinaria, che ha consentito, finora in tre soli casi (nel 1985, nel 1995 e nel 2003) di presentare delle domande per sanare abusi realizzati in precedenza; ne consegue che ad oggi (salvo casi molto, molto particolari) non è possibile presentare nuove domande di condono.

Da questo punto in poi è necessario scendere nel tecnicismo della norma, sperando di non tediare troppo.

Il primo condono edilizio e le zone sottoposte a vincolo

Il primo condono edilizio è stato promulgato con la L. 47/1985, una norma scritta da chi sapeva cosa scrivere, e che contiene diversi interessanti strumenti normativi, estranei al condono vero e proprio, che la legislazione vigente ancora porta con sé (ad esempio, la sanatoria “ordinaria” ovvero l’accertamento di conformità).

L’art. 32 di questa norma disciplina i casi in cui è possibile ottenere l’autorizzazione postuma in caso di opere realizzate abusivamente in zone sottoposte a vincolo. In questo articolo, viene anzitutto prescritto che il condono, in caso di vincolo, è subordinato all’acquisizione della specifica autorizzazione dell’ente preposto alla tutela del vincolo, dunque va subito detto che vi è in ogni caso un controllo da parte dell’amministrazione, e non è affatto scontato che l’immobile passi indenne a tale valutazione. In caso di vincolo idrogeologico, ad esempio, laddove l’ente rilevi che l’immobile si trova in una posizione troppo pericolosa e/o non abbia le caratteristiche tecniche per sostenere un eventuale alluvione o frana, otterrà un diniego dell’autorizzazione che porterà al rigetto della domanda di condono, con conseguente conferma dell’abusività della costruzione e avvio delle procedure di demolizione.

In generale, la norma stabilirebbe che non sono suscettibili di sanatoria gli immobili realizzati abusivamente dopo l’apposizione del vincolo, ma nella prassi vengono valutate anche tali posizioni, a seconda poi del grado di gravità.

Il meccanismo del condono edilizio, dunque, da un lato certamente consente di ottenere un grosso beneficio da parte dello Stato, cioè legittimare una attività abusiva a posteriori, mentre dall’altro viene comunque attivata una verifica al fine di valutare se l’edificio sia compatibile con gli eventuali vincoli presenti sul suolo e, in caso di esito negativo, l'edificio deve essere demolito.

Ad ogni modo, è necessario non fare di tutta l’erba un fascio, quando si parla di condoni e di vincoli: il condono edilizio non interessa solo le costruzioni completamente abusive, cioè case costruite partendo da zero su terreni inedificati, ma, forse molto più spesso, consente di gestire difformità compiute dal costruttore durante l’edificazione di un edificio che, di base, nasce con un titolo abilitativo il cui progetto, però, non viene del tutto rispettato; oppure nel caso in cui i singoli proprietari di appartamenti ad esempio in un condominio realizzino delle opere abusive sul proprio appartamento, come ad esempio la leggendaria veranda a chiusura del balcone, o piccoli o meno piccoli ampliamenti di costruzioni che nascono legittime.

Se è certamente un rischio per la pubblica incolumità consentire a delle persone di abitare su una casetta ad un piano costruita esattamente sulla traiettoria di una probabile frana, probabilmente non è altrettanto rischioso consentire la sanatoria di piccoli ampliamenti volumetrici in edifici legittimi e, nel complesso, coerenti con le norme di tutela. Ovviamente, in tutti i casi il condono deve essere valutato dall’ente tutore del vincolo perché anche in casi apparentemente ininfluenti possono esserci aspetti di grande criticità.

Spero che dopo aver letto fin qui emerga comunque la totale illogicità del costruire senza permessi: non solo si vanno a commettere dei reati, ma si va a mettere a rischio la propria stessa vita ed anche quella degli altri.

Va però di pari passo detto che il condono è purtroppo talvolta l’unico strumento per poter gestire le difformità edilizie realizzate dal costruttore durante la realizzazione del fabbricato e senza che nessuno lo rilevasse o chiedesse una variante al progetto: le procedure di “sanatoria” ordinaria, ovvero l’accertamento di conformità, riguardo a questo aspetto presenta delle criticità talmente elevate che spesso non è possibile con gli strumenti ordinari gestire queste difformità “latenti” che possono rappresentare vere e proprie bombe inaspettate in caso di compravendita immobiliare; il condono, invece, portando con sé una importante dote di deroghe regolamentari, consente una gestione più flessibile delle situazioni, anche se non manca la possibilità di giungere a pericolosi paradossi.

Il condono ad ogni modo è una procedura straordinaria, nel senso che deve essere attivato da una legge, nella quale è prevista una precisa finestra temporale all’interno della quale è possibile presentare le domande, le quali possono essere accolte, oltre per gli aspetti vincolistici di cui si è trattato finora, anche in base allo specifico presupposto dell’epoca di realizzazione dell’abuso: per essere ammesso a concessione in sanatoria, l’abuso deve essere stato realizzato perentoriamente prima di una determinata data.

La differenza tra il condono edilizio e l'accertamento di conformità

Dunque la grande, immensa differenza tra condono edilizio ed accertamento di conformità è che il primo è una forma di sanatoria straordinaria che viene attivata solo in determinati momenti (finora, il condono è stato attivato tre volte: la prima nel 1985, la seconda nel 1995 e l’ultima nel 2003) ed è quindi logicamente più permissiva; l’accertamento di conformità, o sanatoria ordinaria, è invece possibile in qualunque tempo, ma deve soggiacere a regole molto più strette tra cui il concetto della doppia conformità, interessantissimo e ampio tema relativamente al quale, però, non si può svolgere qui un approfondimento. Basti comunque dire che l’accertamento di conformità può essere ottenuto solo per opere che sono del tutto conformi alla norma (anche vincolistica) e per le quali si è “soltanto” omesso di chiedere preventivamente il permesso di costruire; attenzione però nel caso ai regimi vincolistici perché alcuni, come quello paesaggistico, non ammettono sanatorie ordinarie per realizzazione di volumi nuovi realizzati dopo l’apposizione del vincolo e, dunque, in questo caso l’opera è condannata alla demolizione, anche se potrebbe essere ricostruita identica chiedendo preventivamente tutti i permessi.

Condono edilizio e tempi di istruttoria

Il condono dunque è uno strumento amministrativo che contiene degli ambiti non del tutto negativi (soprattutto pensando alla sua capacità di sanare le difformità costruttive che, mi ripeto ancora una volta, sono un aspetto assai poco attenzionato dal legislatore ma foriero di grandissimi problemi in sede non solo di compravendita, ma anche di realizzazione di nuove opere su edifici esistenti), anche se possiede, però, un meccanismo implicito che può essere considerato incoerente, ed è quello dei tempi di istruttoria: nei fatti, dal momento in cui si presenta la domanda di condono a quando si ottiene la concessione (o a quando l’iter si conclude negativamente e si va quindi a grandi passi verso l’ordine di demolizione e l’acquisizione del manufatto e del terreno al patrimonio pubblico) possono passare anni, se non decenni, ed in questo tempo la legge non vieta di continuare ad abitare o utilizzare l’immobile.

No condono, via alla demolizione

Ciò avviene per tanti fattori che probabilmente sono sotto gli occhi di tutti. Diciamo che il fattore forse principale è sempre l'endemica insufficienza di risorse nei Comuni, che sono gli enti che non solo devono gestire le istanze di condono, ma devono anche provvedere alla demolizione dei manufatti che non hanno proprio il condono o la cui domanda si è conclusa con il rigetto.

Una amministrazione di uno Stato utopistico dovrebbe istruire l'istanza di condono in pochi mesi, emettere quindi la concessione in sanatoria o il diniego, e provvedere subito alle demolizioni forzose delle costruzioni che non sono regolarizzabili. Nel mondo in cui viviamo, che è abbastanza lontano dall’essere una società utopica, esistono domande di condono presentate nel 1985 e che ad oggi devono ancora essere istruite: dunque chi ha costruito abusivamente ad esempio sessanta anni fa, ed ha presentato la domanda di condono nel 1985, potrebbe ad oggi avere ancora la domanda in giacenza, cioè passati quasi quarant’anni senza che qualcuno abbia potuto analizzare il contenuto della domanda e valutare magari il fatto che l'immobile si trova in un area a rischio, ma senza aver impedito in tutti questi anni di utilizzare regolarmente l’immobile.

Ma più in generale, il ruolo delle amministrazioni è anche quello di vigilare sul territorio, al fine di individuare l'abuso idealmente nel momento in cui viene commesso o immediatamente dopo, in modo da bloccare l'attività edilizia subito e garantire così l'ordinato sviluppo del territorio. Per contro va detto che il fenomeno dell'abusivismo nasce anche per il fatto che la normativa urbanistica italiana è assai complessa e stratificata ma più spesso anche poco chiara, per cui non solo è spesso difficile capire cosa effettivamente può essere costruito e come, ma per acquisire le autorizzazioni necessarie per poter iniziare i lavori a volte passano molti mesi se non anni, creando situazioni snervanti in cui le persone davvero iniziano a pensare, sbagliando, che facendo le cose abusive si fa prima e meglio: questo a parere di chi scrive è il controsenso più grave di tutta la vicenda.

Le cose da cambiare sarebbero però, troppe, almeno relativamente al breve periodo: occorrerebbe una normativa snella o comunque di facile comprensione e immediatamente applicabile (non sarebbe sbagliato che i piani regolatori contenessero norme più di dettaglio sulle singole aree, senza rimanere troppo sul teorico); delle norme tecniche severe ma chiare nelle loro sfaccettature; una serie di semplificazioni alle regole che consentano di limitare il contenzioso (che può allungare ulteriormente i tempi per giungere all’ordine di demolizione) dove veramente ha senso; uffici veloci nel rilascio delle concessioni o autorizzazioni in presenza di vincoli; uffici altrettanto veloci ed immediati nel demolire i manufatti abusivi. Forse sarebbe anche opportuno che i condoni non vengano gestiti dai comuni: questa è l’amministrazione più prossima ai cittadini, dunque per varie motivazioni tra cui quelle di rapporti personali, politici e sociali, ci potrebbero essere tentennamenti nell’azione repressiva che invece dovrebbe essere pronta, immediata ed efficace. Probabilmente aiuterebbe anche iniziare a ragionare, noi tutti ciascuno nel proprio piccolo, non tanto come piccoli proprietari che hanno dei diritti edificatori da sfruttare fino all’ultimo centimetro, ma piuttosto come collettività che deve condividere un territorio che è tanto bello quanto delicato e pericoloso, dove è opportuno valutare con attenzione dove poter costruire e come.

Conclusioni

Di seguito, dei punti di sintesi del discorso:

  • in Italia esistono molti ambiti vincolati ed esistono anche diverse tipologie di vincolo. I vincoli perseguono sempre uno specifico interesse pubblico: i vincoli paesaggistici e culturali tutelano la cultura, la bellezza e la possibilità che tali bellezze possano essere fruite sia dai cittadini che dalle future generazioni. Altri tipi di vincolo, come quello idrogeologico ed idraulico, nascono per esigenze di tutela della pubblica incolumità: se un area è ritenuta a forte rischio alluvione o frana, è giusto impedire di costruirvi abitazioni, perché potrebbero facilmente diventare trappole mortali in caso di evento catastrofico.
  • I vincoli sono strumenti in continua evoluzione, e può capitare che delle costruzioni realizzate in modo legittimo, si trovino successivamente interessate da zone in cui lo stesso edificio, se realizzato ad oggi, non sarebbe realizzabile. Ovviamente, ciò non fa diventare illegittimo qualcosa che nasce legittimo, ma può generare delle limitazioni all’attività di successiva trasformazione dell’edificio esistente, fino anche alla delocalizzazione della cubatura (in casi estremi, è prevista anche nelle zone a rischio idrogeologico molto elevato).
  • Se un proprietario di un terreno vuole edificare una nuova costruzione su edificio vincolato, deve prima ottenere le varie autorizzazioni previste dalla normativa, le quali potrebbero anche essere negate o rilasciate con prescrizioni. Se edifica abusivamente, difficilmente le norme ordinarie consentiranno di sanare la situazione e l’edificio sarà oggetto di ordine di demolizione. Se è rientrato nei termini di uno dei tre condoni, potrebbe aver presentato domanda di sanatoria straordinaria, la quale potrà essere rilasciata favorevolmente solo se l’ente tutore del vincolo valuterà positivamente l’edificato in rapporto al rischio o alla tutela.
  • il condono edilizio è una domanda che prevede una risposta dell’amministrazione, la quale la rende dopo aver eseguito una serie di verifiche che, se ci si trova in area vincolata, sono particolarmente attente e specifiche. Solo dopo il vaglio della compatibilità del manufatto abusivo con le norme di tutela è possibile procedere al rilascio della concessione. Purtroppo, in diversi casi, il tempo che trascorre da quando la domanda viene presentata a quando viene lavorata è di diversi anni, probabilmente troppi.
  • Il rilascio della concessione in sanatoria in caso di condono non è affatto una cosa scontata né automatica: molti possono essere gli aspetti che portano i comuni a rigettare le istanze. Al di là dei vincoli, una delle casistiche più tipiche di rigetto delle istanze di condono sono le false dichiarazioni contenute nelle domande, spesso connesse all’epoca di realizzazione dell’abuso o al fatto se l’opera fosse in effetti completata al momento della presentazione della domanda o comunque alla data prevista dalla legge.
  • Se un condono viene rigettato, non solo l’immobile torna nel suo stato di abuso totale, ma con l’aggravante del fatto che il cittadino si sarebbe “auto-denunciato” presentando la domanda stessa: in caso di rigetto, dunque, il comune non solo invia il provvedimento di rigetto, ma deve anche iniziare le procedure per l’intimazione alla demolizione che, se disattesa, può portare anche all’acquisizione gratuita dell’area e del manufatto al patrimonio del comune. Nella legislatura italiana, con sostegno della giurisprudenza prevalente, si indica sempre che la demolizione è la naturale fine di un edificio abusivo: solo in casi particolari, specifici e documentati un immobile abusivo può evitare la demolizione.
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