Condono edilizio: il no della Cassazione al superamento dei limiti volumetrici

In un’interessante nuova sentenza, gli ermellini ricordano i limiti di cubatura previsti dalla normativa sul condono e l'impossibilità di ricorrere al frazionamento artificioso di un immobile

di Redazione tecnica - 15/11/2023

È legittimo l'ordine di demolizione impartito su una struttura su cui sia stato negato il condono per superamento dei limiti volumetrici concessi dalla normativa e su cui siano per giunta stati eseguiti ulteriori abusi dopo la presentazione della domanda.

Condono edilizio, ampliamenti volumetrici e frazionamento immobile: il no della Cassazione

Sulla base di questi presupposti, la Corte di Cassazione, con la sentenza del 7 novembre 2023, n. 44650, ha respinto il ricorso contro il rigetto di revoca di un ordine di demolizione di un immobile, oggetto di una vicenda giudiziaria abbastanza complessa.

Precedentemente infatti la Corte di appello, in parziale accoglimento dell'istanza presentata dal ricorrente, aveva revocato l’ordine di demolizione limitatamente al piano terra e al primo piano del manufatto abusivo realizzato. Questa revoca era stata annullata dalla Cassazione, in quanto emessa in violazione di legge: "la Corte territoriale non ha verificato se l'immobile costituisca un unico edificio e se, pertanto, la presentazione delle tre istanze di condono sia illecita, secondo la giurisprudenza prima riportata. La verifica del superamento dei limiti di cubatura, a cui la Corte di appello non fa riferimento, deve essere effettuata in relazione all'edificio quale complesso unitario, con la conseguenza che la legittimazione alla proposizione della domanda di condono sarebbe spettata ad un solo soggetto; la verifica che si tratti di un edificio unitario impone che unica sia la concessione in sanatoria, altrimenti si eluderebbe il limite di 750 mc. attraverso la considerazione di ciascuna parte in luogo dell'intero complesso”.

Per altro, la Corte di appello non aveva valutato:

  • la divergenza tra i metri quadrati dell'edificio e quelli indicati nelle istanze di condono edilizio, che incide infatti sia sulla legittimità delle istanze di condono che sulla determinazione della reale cubatura dell'edificio.;
  • l'incidenza della prosecuzione della costruzione dell'immobile, se unitario, con un ampliamento successivo all'accertamento eseguito nel 1993 e quindi al di fuori della data di ultimazione lavori prevista dalla legge n. 729/1994.

Istanza di condono e accertamento stato dei luoghi: no a nuovi abusi

Spiegano i giudici di piazza Cavour che se non vi è coincidenza tra lo stato dei luoghi descritto nell'istanza di condono e quello accertato successivamente, per la realizzazione di nuove volumetrie, i lavori edili non possono ritenersi essere stati completati entro il 31 dicembre 1993 per come disposto dalla legge del 1994 che consentiva, nell'ipotesi in cui entro il 31 dicembre 1993 fosse stato eseguito il rustico e completata la copertura del fabbricato abusivo, la prosecuzione dei lavori di integrale completamento dello stabile senza l'osservanza dell'articolo 35, comma 14, della legge 28 febbraio 1985 n. 47, ma non l'ulteriore ampliamento dell'immobile, con la conseguenza dell'applicabilità della sanzione amministrativa della demolizione.

Secondo gli ermellini, il giudice di rinvio è correttamente giunto alla conclusione della illegittimità del provvedimento di condono, muovendo dal principio di fondo secondo cui, se si proseguono i lavori edilizi su un immobile abusivo dopo la scadenza del termine per il condono, senza che il permesso in sanatoria sia stato rilasciato, si producono due effetti giuridici:

  • la commissione di un ulteriore reato trattandosi di lavori edilizi su un immobile abusivo;
  • la non concedibilità del condono richiesto.

Si è ravvisato in tale principio il criterio guida da seguire ogni qualvolta si siano succeduti nel tempo interventi edilizi che abbiano modificato in modo consistente l'originaria opera abusiva, realizzata prima del 31.12.1993. "La prosecuzione di lavori edili su manufatti abusivamente realizzati concretizza, infatti, una nuova condotta illecita, a prescindere dall'entità dei lavori eseguiti, e ciò anche quando per le condotte relative alla iniziale edificazione sia maturato il termine oi prescrizione, in quanto i nuovi interventi ripetono le stesse caratteristiche di abusività de/l'opera principale alla quale strutturalmente ineriscono”.

Va richiamata, nel caso di specie, anche la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui l'ordine di demolizione del manufatto abusivo, previsto dall'art. 31, comma 9, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, riguarda l'edificio nel suo complesso, comprensivo di eventuali aggiunte o modifiche successive all'esercizio dell'azione penale e/o alla condanna, atteso che l'obbligo di demolizione si configura come un dovere di restitutio in integrum dello stato dei luoghi, e come tale non può non avere ad oggetto sia il manufatto abusivo originariamente contestato, sia le opere accessorie e complementari, nonché le superfetazioni successive, sulle quali si riversa il carattere abusivo dell'originaria costruzione.

In altri termini, a seguito dell'irrevocabilità della sentenza di condanna, è consentita l'estensione dell'ordine di demolizione ad altri manufatti, a condizione che gli stessi non siano stati realizzati successivamente all'opera abusiva originaria e, per la loro accessorietà a quest'ultima, rendano ineseguibile l'ordine medesimo.

No al frazionamento artificioso

Spiega la Cassazione che sono corrette le valutazioni della Corte di appello secondo cui  l'ampliamento successivo dell'immobile (oltre che l'illegittima parcellizzazione della preesistenza dello stesso), rendono invalido qualsivoglia titolo di sanatoria.

In punto di diritto, ai sensi dell'art. 39, comma 1, prima parte, della legge n. 724 del 1994, in particolare, le disposizioni di cui ai capi IV e V della legge 28 2 febbraio 1985, n. 47, e successive modificazioni e integrazioni, come ulteriormente modificate dal tale articolo, si applicano alle opere abusive che:

  • risultino ultimate entro il 31 dicembre 1993;
  • non abbiano comportato un ampliamento del manufatto superiore al 30 per cento della volumetria della costruzione originaria;
  • ovvero, indipendentemente dalla volumetria iniziale, un ampliamento superiore a 750 metri cubi.

Le suddette disposizioni trovano applicazione anche alle opere abusive realizzate nel termine di cui sopra relative a nuove costruzioni non superiori ai 750 metri cubi per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria.

Secondo la consolidata giurisprudenza di legittimità, non è ammissibile il condono edilizio di una costruzione quando la richiesta di sanatoria sia presentata frazionando l'unità immobiliare in plurimi interventi edilizi, in quanto è illecito l'espediente di denunciare fittiziamente la realizzazione di plurime opere non collegate tra loro, quando, invece, le stesse risultano finalizzate alla realizzazione di un unico manufatto e sono a esso funzionali, sì da costituire una costruzione unica.

Qualora, invece, per effetto della suddivisione della costruzione o della limitazione quantitativa del titolo abilitante la presentazione della domanda di sanatoria, vi siano più soggetti legittimati, è possibile proporre istanze separate relative ad un medesimo immobile. Ai fini della individuazione dei limiti stabiliti per la concedibilità della sanatoria, ogni edificio va inteso quale complesso unitario che faccia capo ad unico soggetto legittimato alla proposizione della domanda di condono, con la conseguenza che le eventuali singole istanze presentate in relazione alle separate unità che compongono tale edificio devono riferirsi ad una unica concessione in sanatoria, onde evitare la elusione del limite di 750 mc. attraverso la considerazione di ciascuna parte in luogo dell'intero complesso.

Come affermato costantemente anche dal Consiglio di Stato, il limite di 750 mc. previsto dalla legge per le nuove costruzioni non può essere eluso attraverso la ripartizione delle stesse in tante autonome unità. Afferma il Consiglio di Stato che l'art. 39 della legge n. 724 del 1994, laddove ha previsto che il limite di 750 mc. di volumetria condonabile debba essere computato per le nuove costruzioni «per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria», deve essere interpretato nel senso che nei casi in cui «all'interno di un unico compendio immobiliare sia possibile individuare abusi ontologicamente diversi è possibile per essi presentare distinte richieste di condono (ciascuna delle quali soggiace al ridetto limite volumetrico), mentre in tutti gli altri casi resta fermo che dovranno essere le plurime istanze, sommate assieme, a non eccedere la volumetria di 750 mc.»

Concludono gli ermellini che non può essere messa in discussione la ratio della legge volta a impedire la sanatoria di nuove costruzioni oltre un certo limite di volumetria; volumetria, quindi, che non può che essere calcolata sull'intero immobile a meno che le ripartizioni di esso non presentino caratteristiche particolari tali da giustificare una valutazione autonoma in sede di condono.

Anche la Corte costituzionale ha chiarito che per «le nuove costruzioni è prevista la possibilità (derogatoria e, come tale, di stretta interpretazione) di calcolare la volumetria per singola richiesta di concessione edilizia in sanatoria per effetto della suddivisione della costruzione o limitazione quantitativa del titolo che abilita la presentazione della domanda di sanatoria».

Il limite massimo di volume «per le nuove costruzioni costituisce un limite unico ed assoluto, con un derogatorio temperamento (di stretta interpretazione) riferibile esclusivamente alle ipotesi eccezionali in cui è ammessa la scissione delle domande di sanatoria per effetto di suddivisione in autonome costruzioni o di limitazioni quantitative del titolo in base al quale si chiede il condono-sanatoria».

 

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