Condono edilizio e onere della prova: un caso particolare

Il Consiglio di Stato ricorda che la prova documentale va presentata dal ricorrente, qualunque sia il suo interesse

di Redazione tecnica - 11/06/2022

Uno dei granitici principi della giurisprudenza amministrativa in ambito di condono edilizio, è l’onere della prova a carico del responsabile dell’abuso, tenuto a dimostrare che il manufatto da sanare sia stato costruito entro i termini previsti dalla legge speciale. Attenzione però: nel caso in cui un terzo abbia esattamente l’interesse opposto, ovvero che la struttura non venga condonata, spetta ad esso provare che l’abuso sia stato commesso successivamente ai termini stabiliti per la sanatoria.

Onere della prova per condono edilizio, la sentenza del Consiglio di Stato

Si tratta di un caso particolare trattato dal Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4411/2022, a seguito del ricorso per la riforma della sentenza di primo grado, con cui il TAR aveva annullato il permesso di costruire in sanatoria rilasciato da un’Amministrazione Comunale.

La questione nasce dopo la realizzazione, a confine con un’altra proprietà, di un manufatto abusivo a uso deposito, sul quale era stato chiesto il condono ai sensi dell’art. 39 della legge n. 724/1994 (cd. "Secondo Condono Edilizio") assentendo che la struttura risaliva al 1985. La vicina ha impugnato il titolo abilitativo e il TAR le ha dato ragione, specificando l’assenza di prova documentale della preesistenza del fabbricato al 31 dicembre 1993, data ultima per la realizzazione di immobili da sanare ai sensi della L. n. 724/1994 ,dando invece rilievo a una dichiarazione testimoniale, in base alla quale la realizzazione contestata risaliva verosimilmente al 1995.

La prova va presentata dal ricorrente

Il Consiglio di Stato ha preliminarmente inquadrato il caso da un punto di vista normativo, ricordando che secondo quanto previsto dalla legge n. 724/1994, la concessione della sanatoria è subordinata all’ultimazione delle opere alla data del 31 dicembre 1993.

Inoltre Palazzo Spada ha richiamato il principio, ripetutamente affermato in giurisprudenza per il quale “la parte ricorrente doveva comunque fornire in giudizio un principio di prova a sostegno delle proprie deduzioni, conformemente a quanto previsto per il processo civile dall'art. 2697 c.c. e dall'art. 115 c.p.c.

Ne deriva che, nel caso in esame, non era l’appellante ad essere gravato dell’onere di comprovare l’ultimazione dei lavori entro il termine del 31 dicembre 1993, ma era la vicina che aveva presentato ricorso, impugnando il permesso di costruire in sanatoria, a dovere dimostrare che il deposito fosse stato ultimato in epoca successiva.

Ciò significa che Il Tar aveva posto a fondamento della propria decisione il principio per il quale “l’amministrazione può legittimamente respingere la domanda di condono edilizio ove non riscontri elementi dai quali risulti univocamente l’ultimazione dell’edificio entro la data prescritta dalla legge” senza rendersi conto che nel giudizio non era contestato un diniego di sanatoria adottato sul presupposto della tardiva ultimazione dei lavori, bensì la contestazione da parte di un terzo, del rilascio del titolo abilitativo, sul presupposto del mancato accertamento da parte del Comune di detto ritardo.

Le circostanze quindi imponevano che l’onere della prova circa la tardiva realizzazione del manufatto, gravassero sulla vicina, che ha fornito soltanto l’incerta affermazione di un teste.

Di conseguenza, l’inefficacia probatoria delle allegazioni della ricorrente in primo grado a sostegno della propria impugnazione, hanno determinato l’accoglimento dell’appello, confermando la legittimità del permesso di costruire in sanatoria.

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