Cosa cambia con le modifiche alla definizione di ristrutturazione edilizia?

L'esperto risponde: cosa cambia dopo le modifiche apportate dal D.L. n. 17/2022 (Decreto Bollette) al d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia)?

di Marco Campagna - 28/04/2022

Che il legislatore italiano navighi “a vista” sulle norme urbanistiche, e che ciò avvenga da qualche anno ormai, lo si capisce da tante piccole cose: una di queste è il fatto che le scelte politiche sulla evoluzione delle leggi urbanistiche vengono ormai sempre infilate, quasi di soppiatto, in norme più o meno urgenti che si occupano di altro.

Le modifiche al Testo Unico Edilizia

Ultimo esempio? La legge di conversione del D.L. 1 marzo 2022 n. 17 (Decreto Energia in corso di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale), nel cui testo è confluita una modifica alla definizione di ristrutturazione edilizia. Chi scrive senz’altro concorda sul fatto che le norme urbanistiche necessitino di una evoluzione, ma certamente non vi può essere sostegno per queste modalità.

Il DL 17/22 già era entrato più o meno direttamente nel tema edilizio, in quanto con il suo art. 9, comma 1, modificato nella legge di conversione ma rimasto immutato nella sostanza, ha “forzatamente” definito l’installazione di impianti fotovoltaici e termici su edifici esistenti come manutenzione ordinaria, ovvero opere non soggette a titolo.

Quel che si vuole commentare in questo post, però, è la rinnovata definizione di ristrutturazione edilizia, novità della legge di conversione, in quanto assente nel testo del decreto legge. L’art. 28, comma 5 bis modifica leggermente la definizione di ristrutturazione edilizia contenuta nell’art. 3, comma 1, lettera d) del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), facendo sì che le demolizioni e ricostruzioni siano consentite in forma più incisiva anche in alcune porzioni delle aree vincolate italiane.

La rigenerazione del patrimonio edilizio esistente

Facciamo un breve passo indietro. Il legislatore da qualche tempo a questa parte si è reso conto che il futuro dell’edilizia e dell’urbanistica è nella rigenerazione dell’esistente: da un lato, il consumo di nuovo suolo è diventato insostenibile e, dall’altro, l’edificato esistente è composto da edifici ormai obsoleti (da tutti i punti di vista, ma prevalentemente da quello di contenimento dei consumi energetici e di sicurezza sismica) che necessitano di sostituzione.

La via per l’urbanistica del domani è quindi il rinnovamento integrale dell'edilizia, conosciuta anche con il roboante nome di demolizione e ricostruzione. Questo tipo di attività edilizia è stata di recente oggetto di modifiche a livello di definizioni, tanto che ad oggi è diventata in molti casi rientrante nella definizione di ristrutturazione edilizia: fino ad un decennio fa, la sostituzione edilizia era quasi sempre rientrante nell’alveo della nuova costruzione, ovvero l’intervento di massima invasività previsto dalla norma italiana.

Lo spostare le opere dalla definizione di nuova costruzione a quella di ristrutturazione, serve a far ricadere le opere nell’alveo di competenza della SCIA (ai sensi dell’art. 23, DPR 380/01) e, quindi, a rendere le opere eseguibili senza l’iter burocratico connesso al rilascio del permesso di costruire: come è noto, difatti, la SCIA è un titolo abilitativo che esprime subito la sua efficacia (con totale responsabilità del tecnico e del committente, i quali congiuntamente dichiarano che l’opera è effettivamente realizzabile con tale modalità semplificata), mentre al contrario le opere soggette a permesso devono attendere l’istruttoria da parte dell’ufficio comunale, il quale a valle del suo operato rilascia l’atto amministrativo autorizzatorio (con responsabilità sempre in capo a progettista e committente ma anche al comune procedente).

Per farla breve, fino a prima della nuova legge di cui si discute, la demolizione e ricostruzione già godeva di un discreto livello di semplificazione tranne, però, nelle zone vincolate e nelle zone territoriali di tipo A (centri storici). La formulazione precedente della norma su questo punto è quantomeno contraddittoria, perché scava un solco effettivamente molto profondo tra zone vincolate e zone libere, in quanto nelle prime, l'opera di demolizione e ricostruzione beneficia ancora della definizione di ristrutturazione edilizia solo finché l'edificio ricostruito rispetta in tutto e per tutto quello originario (dunque, il nuovo edificio dovrà avere stesse dimensioni, sagoma, volume, altezze, prospetti di quello originario), mentre in assenza di vincoli la nuova forma è quasi del tutto liberalizzata, anche laddove preveda ampliamenti volumetrici eventualmente previsti dalle norme di settore. Una bella differenza.

La demolizione e ricostruzione

Il legislatore ha probabilmente ascoltato il grido di dolore di tutti quelli che si trovavano a dover progettare interventi di demolizione e ricostruzione in zone vincolate, ed ha quindi pensato a mettere mano alla faccenda. Lo fa, con la legge di conversione del D.L. n. 17/22, in modo, però, molto cauto e circostanziato, in quanto affronta il tema molto alla lontana, partendo dai vincoli più blandi – se mi passate la definizione – ovvero quelli della ex legge Galasso, oggi confluiti nell'art. 142 del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (d.lgs. 42/2004).

Questi sono i vincoli cosiddetti ope legis, cioè che operano non in virtù di uno specifico decreto di vincolo, ma si attivano in presenza di una specifica condizione ambientale, come ad esempio la presenza di un fiume, un lago, della costa marina, di un vulcano. Il Codice dei Beni Culturali è sempre stato molto chiaro nel dire che i beni vincolati non hanno differenze tra loro: tutti sono meritevoli di tutela allo stesso modo e l'unica differenza che può esserci è nelle modalità di trasformazione eventualmente concesse: la modifica normativa di cui parliamo da un lato rispetta questa impostazione ma, dall'altra, è come se si iniziasse a scardinare questa certezza, introducendo una sorta di inedita classificazione di importanza dei beni culturali e paesaggistici. Ma questo è un altro discorso.

È ora di vedere le modifiche normative apportate: qui appresso, il testo dell'art. 3 comma 1 lettera d) del DPR 380/01 (l'art. 3 del testo unico dell'edilizia è quello che contiene le definizioni degli interventi edilizi) così come modificato dalla legge di conversione, in cui in grassetto ho evidenziato le parti aggiunte:

«d) “interventi di ristrutturazione edilizia", gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l'eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti. Nell'ambito degli interventi di ristrutturazione edilizia sono ricompresi altresì gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici esistenti con diversi sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche, con le innovazioni necessarie per l'adeguamento alla normativa antisismica, per l'applicazione della normativa sull'accessibilità, per l'istallazione di impianti tecnologici e per l'efficientamento energetico. L'intervento può prevedere altresì, nei soli casi espressamente previsti dalla legislazione vigente o dagli strumenti urbanistici comunali, incrementi di volumetria anche per promuovere interventi di rigenerazione urbana. Costituiscono inoltre ristrutturazione edilizia gli interventi volti al ripristino di edifici, o parti di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza. Rimane fermo che, con riferimento agli immobili sottoposti a tutela ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio, di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 ad eccezione degli edifici situati in aree tutelate ai sensi dell’articolo 142 del medesimo codice, nonché, fatte salve le previsioni legislative e degli strumenti urbanistici, a quelli ubicati nelle zone omogenee A di cui al decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, o in zone a queste assimilabili in base alla normativa regionale e ai piani urbanistici comunali, nei centri e nuclei storici consolidati e negli ulteriori ambiti di particolare pregio storico e architettonico, gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati o demoliti costituiscono interventi di ristrutturazione edilizia soltanto ove siano mantenuti sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell'edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria».

Come si vede, è stata inserita una specifica dicitura che esclude i vincoli dell'art. 142 del Codice dalle restrittive clausole della ristrutturazione edilizia, sicché ad oggi è in effetti possibile prevedere una demolizione-ricostruzione con variazione della forma anche in queste specifiche zone. Per rafforzare il concetto e non rischiare che si possa interpretare che le opere, pur ricadendo in ristrutturazione edilizia vengano comunque ritenute soggette a permesso di costruire, è modificato anche l'art. 10 comma 1 lettera c) sempre del DPR 380/01:

«gli interventi di ristrutturazione edilizia che portino ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente, nei casi in cui comportino anche modifiche della volumetria complessiva degli edifici ovvero che, limitatamente agli immobili compresi nelle zone omogenee A, comportino mutamenti della destinazione d'uso, nonché gli interventi che comportino modificazioni della sagoma o della volumetria complessiva degli edifici o dei prospetti di immobili sottoposti a tutela ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42.) e, inoltre, gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino la demolizione e ricostruzione di edifici situati in aree tutelate ai sensi dell’articolo 142 del medesimo codice di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, o il ripristino di edifici, crollati o demoliti, situati nelle medesime aree, in entrambi i casi ove siano previste modifiche della sagoma o dei prospetti o del sedime o delle caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente oppure siano previsti incrementi di volumetria».

Demolizione e ricostruzione in zone con vincolo

In questa integrazione normativa si può leggere la difficoltà del legislatore nell'operare in modo casuale e puntuale sul testo unico: quella che leggiamo sopra è una definizione molto verbosa, scritta appositamente per fare quadrato attorno all’interpretazione ed evitare letture differenti. Al di là di questa considerazione, più politica che tecnica, è evidente che ad oggi le demolizioni e ricostruzioni in zone con vincolo di cui all'art. 142 sono considerate uguali a quelle da porre in essere in zone non vincolate, rimanendo però ferma la necessità di acquisire la preventiva autorizzazione paesaggistica, poiché la legge non dice nulla riguardo a tale incombenza la quale si deve ritenere perfettamente operante. Qui ci si scontra anche con la normativa regionale la quale nel disciplinare gli interventi autorizzabili nei vari vincoli paesaggistici, potrebbe disporre comunque delle limitazioni operative: dunque si presti sempre la massima attenzione al fatto che una modifica alla definizione dell'intervento edilizio nulla influisce sulle norme a tutela del paesaggio.

Gli incentivi fiscali

Sicuramente, la modifica normativa aiuta per quanto riguarda gli incentivi fiscali, i quali sono effettivamente esclusi nel caso in cui l'intervento non ricada nella ristrutturazione: con questa modifica normativa, dunque, il legislatore ha voluto implicitamente mettere in chiaro che una demoricostruzione effettuata anche in zona con vincolo ex art. 142 ed anche se effettuata in modo infedele rispetto alle originarie forme, può beneficiare comunque degli incentivi fiscali compreso il super-ecobonus, cosa che, invece, non poteva essere fino a prima di questa modifica normativa.

Conclusioni

Dunque in estrema sintesi, la modifica normativa sopra vista ha forse più impatto sui benefici fiscali che non sulle procedure urbanistiche: riguardo queste ultime, sicuramente molti più interventi potranno andare in SCIA invece che richiedere il Permesso di Costruire, ma essendo comunque soggetti all’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica, i tempi di ottenimento delle autorizzazioni non sono comunque ridotti a zero (peraltro, quando si richiede il permesso di costruire, l’autorizzazione paesaggistica è un atto endoprocedimentale, cioè è il comune stesso che provvede alla richiesta, mentre in caso di SCIA la richiesta la fa direttamente l’interessato agli interventi). Peraltro, a mente del DPR 31/17, un intervento di demolizione e ricostruzione con volume e sagoma differenti dal preesistente non risulta nemmeno essere un intervento riconducibile ad autorizzazione semplificata, richiedendo quindi, implicitamente, la procedura autorizzativa ordinaria.

Giusto perché siamo in tema, due ultimissime parole sempre con riguardo ai vincoli di cui all’art. 142: questo articolo prevede una clausola di disinnesco automatico del vincolo, quando, in particolare, l’immobile ricade in aree che, alla data del 1985, gli strumenti urbanistici all’epoca vigenti individuavano come zone territoriali omogenee di tipo A o B: dunque se si ricade in questa casistica, il vincolo semplicemente non si applica ed è come se non esistesse, dunque in questi ambiti non cambia davvero nulla rispetto a prima.

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