Crollo e ricostruzione tetto condominiale tra innovazione e modificazione

La Corte di Cassazione entra nel merito di un intervento di ricostruzione di un tetto condominiale crollato a seguito di un evento calamitoso

di Redazione tecnica - 27/05/2021

Innovazioni e modificazioni sono due termini che per il codice civile hanno una profonda differenza. Soprattutto quando si parla di condomini e di interventi di ricostruzione che riguardano anche le parti comuni. Differenza che è stata analizzata dalla Corte di Cassazione che con la sentenza n. 2126 del 29 gennaio 2021 ci permette di approfondire l'argomento.

Crollo e ricostruzione di un tetto in condominio: il caso

Nel caso oggetto del nuovo intervento della Cassazione, a proporre ricorso sono due condomini proprietari delle aree sottotetto poste al terzo piano del condominio, trasformate in mansarde con modifica dell'originaria sagoma del tetto condominiale, condannati dai precedenti Tribunali di primo e secondo grado a ricostruire per intero le falde del medesimo tetto, anche in corrispondenza dei tre terrazzi realizzati ed a sostituire le tegole utilizzate.

I giudici di primo e secondo grado hanno confermato la circostanza che il tetto dell'edificio fosse interamente a falde, evidenziando che a seguito dell'intervento ricostruttivo del tetto crollato, i due condomini avessero lasciato scoperte alcune zone dello stesso per annetterne l'utilizzo a vantaggio dei loro sottotetti, così modificando la conformazione della copertura e provocando una "innovazione del tetto".

Hanno anche confermato che, seppur i condomini non fossero obbligati a rifare il tetto a loro cura e spese, avrebbero, tuttavia, dovuto munirsi dell'autorizzazione assembleare per trasformare lo stesso nei tre terrazzini, atteso che, in difetto di tale autorizzazione, non soltanto non potevano conseguire il rimborso delle spese sostenute, ma dovevano pure "ricondurre la sagoma del tetto alla sua originaria conformazione".

I motivi del ricorso

I due ricorrenti proprietari del sottotetto hanno presentato ricorso in Cassazione, articolandolo in 5 motivazioni:

  1. il primo motivo denuncia la violazione dell'art. 1102 c.c., evidenziando come, prima ancora dell'esecuzione delle opere, il tetto dell'edificio condominiale fosse andato totalmente distrutto, il che indurrebbe a negare l'operatività riguardo ad esso dell'art. 1102 c.c. Avendo i condomini ricorrenti proceduto a loro cura e spese alla parziale ricostruzione del tetto precedentemente crollato, essi non potevano intendersi obbligati a ricostruirlo per l'intero;
  2. il secondo motivo deduce la violazione dell'art. 112 c.p.c. e dell'art. 1102 c.c., in quanto mentre il Condominio avesse domandato la condanna al "ripristino del preesistente stato dei luoghi", i giudici di appello, al pari del Tribunale, hanno pronunciato una condanna al "rifacimento del tetto anche in corrispondenza dei tre terrazzini", nonché alla "ricostruzione per intero delle falde del tetto";
  3. il terzo motivo del ricorso censura il contrasto tra dispositivo e motivazione, che porterebbe alla nullità della sentenza impugnata, sostenendosi nuovamente che la motivazione della decisione non poteva giustificare la condanna dei ricorrenti principali a completare le opere di ricostruzione;
  4. il quarto motivo del ricorso deduce ancora la nullità della sentenza della Corte di primo grado per motivazione apodittica, nella parte cui si è argomentato che la mancanza di autorizzazione assembleare avrebbe comportato l'obbligo di ricostruire per intero l'originario tetto già crollato;
  5. il quinto motivo del ricorso denuncia la nullità della sentenza impugnata per motivazione apodittica, avendo affermato che la parziale ricostruzione del tetto aveva consentito ai ricorrenti di appropriarsi di beni condominiali e che le opere realizzate avevano alterato la destinazione delle medesime parti comuni.

Procediamo con ordine e analizziamo la risposta della Corte di Cassazione premettendo la fine, ovvero la fondatezza del primo, del secondo ed del terzo motivo del ricorso, mentre risulta infondato il quinto motivo.

Il crollo del tetto condominiale, i doveri dell'assemblea e i poteri del condomino

Preliminarmente i giudici hanno confermato che in caso di crollo di parte di un edificio condominiale che non lo rappresenti nella sua interezza o in una parte che ne rappresenti i tre quarti del valore (come nel caso di specie il crollo del tetto), ciascun condomino può esigere che le parti comuni crollate siano ricostruite, rivolgendosi all'assemblea perché provveda a deliberare la ricostruzione della parte comune, dettando altresì le modalità di esecuzione tecniche, statiche ed estetiche dell'intervento. Deliberazione che vale con un numero di voti dell'assemblea che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio.

La mancanza di una delibera assembleare o l'esistenza di una eventuale delibera contraria non impedisce ai singoli condomini di ricostruire le loro unità immobiliari di proprietà esclusiva parzialmente perite e, conseguentemente, le parti comuni necessarie a ripristinare l'esistenza ed il godimento di esse.

In buona sostanza non si può negare a chi aveva il diritto di mantenere la sua costruzione sul suolo il potere di riedificarla, salvo:

  • il rispetto delle caratteristiche statico-tecniche preesistenti;
  • il diritto degli altri condomini ad usare le parti comuni secondo il proprio persistente diritto di condominio;
  • il divieto di attuare innovazioni, per le quali è indispensabile la delibera assembleare.

In tal senso se da una parte va riconosciuto il diritto agli appellanti di ricostruirsi le abitazioni e lo spazio comune, dall'altra parte va anche riconosciuto il diritto dei restanti condomini di opporsi a quelle opere edilizie che, ripristinando con difformità o varianti le precedenti strutture edilizie, portino concreto pregiudizio alloro diritti di proprietà esclusiva o condominiale, nonché il diritto degli stessi ulteriori condomini a conservare la proprietà condominiale sulle parti ricostruite dai condomini autori dell'intervento edilizio in conformità alla situazione preesistente al parziale perimento dell'edificio.

Fondata è la pretesa del condominio volta alla riduzione in pristino relativamente al bene comune illegittimamente occupato.

Innovazione e modificazione: quali differenza

La Corte di Cassazione è andata oltre precisando come l'intervento di parziale ricostruzione del tetto comune eseguito dai due condomini fosse riconducibile non alla nozione di innovazione (art. 1120 c.c.), ma a quello di modificazione (art. 1102 c.c).

Le innovazioni si distinguono dalle modificazioni, sia dal punto di vista oggettivo, che da quello soggettivo:

  • sotto il profilo oggettivo, le prime consistono in opere di trasformazione, che incidono sull'essenza della cosa comune, alterandone l'originaria funzione e destinazione, mentre le seconde si inquadrano nelle facoltà riconosciute al condomino, con i limiti indicati nello stesso art. 1102 c.c., per ottenere la migliore, più comoda e razionale utilizzazione della cosa;
  • sotto l'aspetto soggettivo, nelle innovazioni rileva l'interesse collettivo di una maggioranza qualificata, espresso con una deliberazione dell'assemblea, elemento che invece difetta nelle modificazioni, che non si confrontano con un interesse generale, bensì con quello del singolo condomino, al cui perseguimento sono rivolte.

La più recente interpretazione della Corte di Cassazione afferma che il condomino, proprietario del piano sottostante al tetto comune dell'edificio, può trasformarlo in terrazza di proprio uso esclusivo, sempre che un tale intervento dia luogo a modifiche non significative della consistenza del bene, in rapporto alla sua estensione, e sia attuato con tecniche costruttive tali da non affievolire la funzione di copertura e protezione delle sottostanti strutture svolta dal tetto preesistente, quali la coibentazione termica e la protezione del piano di calpestio di una terrazza mediante idonei materiali.

La Corte d'appello ha tuttavia accertato in fatto che l'intervento di ricostruzione del tetto crollato aveva lasciato "scoperte" tre piccole zone dello stesso per annetterne l'utilizzo a vantaggio della mansarda-sottotetto di proprietà individuale.

L'accertamento circa la significatività del taglio del tetto praticato per innestarvi terrazze di uso esclusivo e circa l'adeguatezza delle opere eseguite per salvaguardare la funzione di copertura e protezione dapprima svolta dal tetto è riservato al giudice di merito e, come tale, è censurabile in sede di legittimità non per violazione dell'art. 1102 c.c., ma soltanto nei limiti di cui all'art. 360, comma 1, n. 5, c.c.

Come ogni forma di uso particolare o più intenso del bene comune ai sensi dell'art. 1102 c.c., la legittimità della trasformazione di parte del tetto condominiale in terrazza postula altresì che non ne risulti arrecato pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell'edificio.

Nella specie, sempre per quanto accertato in fatto, si ha riguardo ad un intervento di trasformazione di parte del tetto comune, con realizzazione di "tre terrazzini a trincea", che hanno annesso le rispettive zone del tetto alla mansarda sottotetto.

L'illegittimità del mutamento dello stato dei luoghi è stata argomentata dai giudici di secondo grado con riguardo alla "modifica dell'originaria conformazione del bene, essendo la copertura non più interamente a falde ma in parte a falde e in parte piana, in corrispondenza dei tre terrazzini a tasca", il che avrebbe "alterato la funzione di copertura dell'edificio". Inoltre, la Corte d'appello ha ravvisato una lesione del decoro architettonico, avendo i due condomini utilizzato tegole "marsigliesi", difformi da quelle del tipo "piani e contropiani" già presenti nel fabbricato e peraltro prescritte dalla Sopraintendenza. L'acclarata inadeguatezza delle opere eseguite, al fine di salvaguardare la funzione di copertura e protezione dapprima svolta dal tetto, e il ravvisato pregiudizio arrecato al decoro architettonico dell'edificio condominiale convalidano la fondatezza della pretesa di natura reale del condominio, basata sull'art. 1102 c.c., avente, tuttavia, per fine il mero ripristino della cosa comune illegittimamente alterata dai ricorrenti principali, ed in ciò sta la fondatezza delle prime tre censure.

Ne deriva che la conseguente condanna giudiziale deve consistere unicamente nella eliminazione della situazione provocata dall'illecito utilizzo del bene condominiale e nella riproduzione della situazione dei luoghi modificata o alterata, ovvero anche nell'esecuzione di un quid novi, ma solo qualora il rifacimento pure e semplice sia inidoneo a conseguire il ripristino dello status quo ante, avuto riguardo alla utilità recata dalla res prima della contestata modificazione. Con queste motivazioni il ricorso è stato accolto.

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