Demolizione abusi edilizi: serve adeguata istruttoria e puntuale motivazione?

Consiglio di Stato: "nell’adozione di un ordine di demolizione, l’Amministrazione è tenuta a giustificare la sussistenza dei presupposti del provvedere, descrivendo l’entità e la consistenza delle opere edili, nonché constatando la loro abusività, stante l’integrazione dell’illecito edilizio in contestazione"

di Redazione tecnica - 31/08/2022

L’attività di repressione degli abusi edilizi ha natura vincolata all'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato. Proprio per questo, l'ordine di demolizione è già dotato di un'adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività.

La repressione degli abusi edilizi

Questo è il principio consolidato della giurisprudenza di ogni ordine e grado che sulla legittimità di un ordine di demolizione registra un nuovo intervento del Consiglio di Stato. La sentenza n. 7027/2022 entra, infatti, nel merito di un provvedimento demolitorio sul quale il TAR ne aveva già confermato la legittimità, salvo poi arrivare la decisione dei giudici di Palazzo Spada

Il nuovo intervento del Consiglio di Stato ricorda che, come tutti gli atti sanzionatori in materia edilizia, l’ordine di demolizione non richiede una specifica valutazione delle ragioni di interesse pubblico, né una comparazione di quest'ultimo con gli interessi privati coinvolti e sacrificati, tantomeno una motivazione sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto ed attuale alla demolizione.

Proprio per questo motivo, non è possibile censurare l’illegittimità del provvedimento ripristinatorio per violazione del principio di proporzionalità, tenuto conto che l’Amministrazione, non risultando titolare di alcun potere discrezionale nella scelta della sanzione in concreto da irrogare, è chiamata ad assumere un atto dal contenuto dispositivo interamente predeterminato dal legislatore, discendendo la possibilità di applicare la sanzione ripristinatoria dalla tipologia di abuso in concreto riscontrato, in specie dalla sua riconducibilità a quelle fattispecie per le quali il legislatore prevede la demolizione delle opere eseguite e il ripristino dello stato anteriore all’illecito edilizio.

Il caso di specie

Il caso oggetto della sentenza n. 7027/2022 è interessante e merita di essere analizzato. In particolare, i fatti possono essere così riassunti:

l'oggetto del contendere è un manufatto in pannelli coibentati di 9 mq;

  • tale manufatto era stato condonato nel 2002;
  • nel 2019, tramite invio di comunicazione di inizio lavori asseverata (CILA), il manufatto veniva demolito e ricostruito in blocchetti in cemento su basamento in cemento;
  • nel 2020 una determina dirigenziale ordinava la demolizione dell'intervento considerato abusivo, qualificandolo come ristrutturazione edilizia.

A fondamento del ricorso di primo grado, il ricorrente aveva formulato alcune censure, incentrate sull’avvenuto ripristino dello status quo ante, sulla presentazione di CILA trattandosi di interventi di manutenzione straordinaria, sulla formazione del silenzio assenso, sul difetto di istruttoria e di motivazione, sulla violazione del principio di proporzionalità, sulla violazione della L. n. 15/2008, nonché sull’omesso riscontro alle osservazioni formulate dal ricorrente. Ricorso rigettato dal TAR e per il quale il Consiglio di Stato ha ribaltato il risultato.

Il difetto di istruttoria

Il Consiglio di Stato, pur ricordato il principio consolidato per il quale l’attività di repressione degli abusi edilizi costituisce attività vincolata, ha aggiunto alcuni interessanti particolari.

L'ordinanza di demolizione ha natura di atto dovuto e rigorosamente vincolato, dove la repressione dell'abuso corrisponde per definizione all'interesse pubblico al ripristino dello stato dei luoghi illecitamente alterato. Per l’effetto, il provvedimento ripristinatorio è già dotato di un'adeguata e sufficiente motivazione, consistente nella descrizione delle opere abusive e nella constatazione della loro abusività.

Ciò premesso, nell’adozione di un ordine di demolizione, l’Amministrazione, sebbene non sia obbligata a motivare in ordine alla sussistenza di specifiche ragioni di interesse pubblico alla base della decisione ripristinatoria o alla proporzionalità della sanzione in concreto irrogata, è tenuta, comunque, a giustificare, alla stregua dell’istruttoria svolta, la sussistenza dei presupposti del provvedere, descrivendo l’entità e la consistenza delle opere edili, nonché constatando la loro abusività, stante l’integrazione dell’illecito edilizio in contestazione.

La motivazione della demolizione

Nel caso di specie, l’Amministrazione ha motivato l’ordine di demolizione, richiamando l'art. 33 del d.P.R. n. 380/2001 e art. 16 della Legge Regionale n. 15/08 (siamo nel Lazio).

L’Amministrazione ha ritenuto che nella specie si facesse questione di un intervento di ristrutturazione edilizia, tradottosi nella demolizione del manufatto originario e nella sua ricostruzione “edificando un organismo edilizio difforme dal precedente”; in tale modo disattendendo le argomentazioni difensive svolte dal privato, incentrate sulla esecuzione, sulla base di apposita CILA, di un mero intervento di manutenzione straordinaria.

Come precisato dal Consiglio di Stato “il concetto di manutenzione straordinaria (nonché quello di risanamento conservativo), oggi come allora, presuppone la realizzazione di opere che lascino inalterata l'originaria fisionomia e consistenza fisica dell'immobile. Al contrario gli interventi che alterino, anche sotto il profilo della distribuzione interna, l'originaria consistenza fisica di un immobile e comportino l'inserimento di nuovi impianti, la modifica e la redistribuzione dei volumi, rientrano nell'ambito della ristrutturazione edilizia".

Pertanto, il carattere distintivo dell’intervento di ristrutturazione è costituito “dalla finalità, che è quello della "trasformazione" dell'organismo edilizio, in termini di diversità rispetto al precedente”.

Tra gli interventi di ristrutturazione edilizia rientrano, al ricorrere di determinate condizioni, anche quelli di demolizione e ricostruzione. In particolare - stante l’inapplicabilità ratione temporis delle recenti modifiche dell’art. 2 bis comma 1 ter, e dell'art. 3, comma 1, del D.P.R. n. 380 del 2001 - in presenza di opere di demolizione e ricostruzione, occorre distinguere:

  • l’ipotesi in cui il manufatto ricostruito abbia conservato le caratteristiche fondamentali dell'edificio preesistente, riproducendo le precedenti linee fondamentali quanto a sagoma, superfici e volumi, nel quale caso l’intervento integra gli estremi della ristrutturazione edilizia;
  • l’ipotesi in cui si sia registrata una variazione del volume, dell'altezza o della sagoma dell'edificio, suscettibile di dare luogo ad una nuova costruzione (situazione oggi cambiata).

Nel caso in esame, l’Amministrazione, contestando una fattispecie di ristrutturazione edilizia abusiva ex art. 33 DPR n. 380/01, ha evidentemente ritenuto che l’appellante avesse eseguito un intervento di demolizione e ricostruzione di un nuovo manufatto avente le caratteristiche fondamentali dell’organismo edilizio preesistente. Una tale valutazione, alla base del provvedimento ripristinatorio per cui è causa, non risulta supportata da un’adeguata istruttoria e da una puntuale motivazione.

Nell’adozione di un ordine di demolizione, l’Amministrazione, sebbene non sia obbligata a motivare in ordine alla sussistenza di specifiche ragioni di interesse pubblico alla base della decisione ripristinatoria o alla proporzionalità della sanzione in concreto irrogata, è tenuta, comunque, a giustificare, alla stregua dell’istruttoria svolta, la sussistenza dei presupposti del provvedere, descrivendo l’entità e la consistenza delle opere edili, nonché constatando la loro abusività, stante l’integrazione dell’illecito edilizio in contestazione.

Nel caso in esame, dal contenuto motivazionale del provvedimento impugnato in prime cure e dai documenti acquisiti al giudizio non emergono gli specifici elementi istruttori, raccolti in sede procedimentale, che consentano di ritenere dimostrata l’avvenuta previa demolizione del manufatto de quo con sua successiva ricostruzione in difformità.

In particolare, l’Amministrazione, attraverso il pertinente richiamo agli elementi istruttori, si è limitata a ritenere che l’originario manufatto fosse stato demolito, provvedendo alla descrizione dell’organismo edilizio, per come attualmente esistente e, dunque, per come riscontrato dagli organi accertatori.

Tuttavia, anche a fronte delle puntuali deduzioni difensive svolte in sede procedimentale dalla parte ricorrente incentrate sull’avvenuta esecuzione di un mero intervento manutentivo straordinario di un organismo edilizio mai demolito, era necessario che l’Amministrazione rappresentasse gli elementi fattuali incompatibili con la conservazione dell’originario manufatto, idonei a dimostrare l’avvenuta previa demolizione del relativo organismo.

Considerato che la demolizione costituiva un fatto esaurito al tempo dell’accertamento, occorreva illustrare le ragioni tecniche utilmente valorizzabili per ritenere che nella specie fosse avvenuta una demolizione integrale dell’originario organismo con sua successiva ricostruzione, anziché una manutenzione straordinaria, influente su un organismo edilizio comunque conservato.

Non risultava, in particolare, sufficiente una descrizione delle attuali difformità riscontrate in loco, occorrendo chiarire come tali difformità, tenuto conto pure della consistenza dell’originario manufatto, fossero compatibili soltanto con una previa demolizione dell’organismo edilizio e con la sua successiva ricostruzione.

Il che sarebbe stato necessario, anche in ragione dell’avvenuta produzione, in sede amministrativa, di puntuali elementi difensivi forniti dal privato in ordine all’esecuzione, anziché di una ristrutturazione, di un intervento manutentivo (straordinario) implicante la conservazione dell’originario manufatto: trattandosi di osservazioni pertinenti all’oggetto del procedimento, l’Amministrazione avrebbe dovuto provvedere alla loro valutazione ai fini dell’adozione delle determinazioni di competenza (ex art. 10, comma 2, lett. b), L. n. 241/90).

Si faceva, in particolare, questione di elementi suscettibili di influire sulla constatazione dell’abusività dell’intervento edilizio in concreto eseguito (componente l’apparato motivazionale dell’ordine di demolizione), riguardando la qualificazione delle opere de quibus in termini di ristrutturazione edilizia (implicante, secondo quanto contestato dal Comune, la previa demolizione dell’organismo edilizio originario) o di manutenzione straordinaria (presupponente, di contro, la conservazione del manufatto in contestazione): questione rilevante per valutare l’integrazione della fattispecie astratta alla base del provvedimento ripristinatorio ex artt. 33 DPR n. 380/01 e 16 L.R. n. 15/08.

Non potrebbe diversamente argomentarsi neppure valorizzando la comunicazione in cui si riporta che “nel corso del sopralluogo è stato altresì ammesso da parte dell’interessato che l’intervento è stato realizzato in difetto del prescritto titolo abilitativo”, tenuto conto che:

  • tale comunicazione non specifica l’identità dell’interessato che ha reso una tale dichiarazione, indicato nella stessa comunicazione soltanto nel prosieguo come responsabile della violazione;
  • tale dichiarazione non è riportata nell’accertamento tecnico richiamato nel provvedimento di demolizione;
  • nessun rilievo in ordine ad asserite ammissioni di responsabilità è recato nell’atto di comunicazione di avvio del procedimento;
  • la parte privata, nell’esercizio del proprio diritto di difesa procedimentale, ha escluso l’esistenza di una demolizione e, comunque, ha affermato la legittimazione dell’intervento conservativo in concreto eseguito attraverso apposita CILA;
  • nel riscontrare la memoria di parte, l’Amministrazione non ha dedotto che l’esistenza di una previa demolizione era stata ammessa dalla parte privata;
  • nell’assumere il provvedimento sanzionatorio, parimenti, l’Amministrazione non ha fondato la propria decisione sull’ammissione di responsabilità del destinatario dell’ordine demolitorio.

Non potrebbe, dunque, ascriversi all’odierna appellante una dichiarazione di ammissione di responsabilità, utilmente valorizzabile per dimostrare l’esistenza di una previa demolizione del manufatto per cui è causa, non trattandosi neppure di circostanza fattuale valorizzata nel provvedimento impugnato in prime cure o negli atti con cui è stato instaurato il contraddittorio procedimentale con la parte privata.

Alla luce delle considerazioni svolte, l’appello è stato accolto, non avendo l’Amministrazione svolto un’adeguata istruttoria, valorizzata nell’ambito del provvedimento per cui è causa, idonea a rappresentare gli elementi fattuali deponenti per la previa demolizione dell’organismo edilizio di proprietà dell’appellante, nonostante si fosse in presenza di un profilo fattuale da approfondire in sede procedimentale, in quanto influente sulla qualificazione giuridica delle opere eseguite e, dunque, sull’integrazione di un illecito edilizio sottoposto a sanzione demolitoria.

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