Demolizione difformità edilizie e Sanatoria: nuova sentenza del Consiglio di Stato

Consiglio di Stato: "la presentazione di una istanza di sanatoria non determina l’improcedibilità del ricorso che abbia ad oggetto l’ordinanza di demolizione"

di Gianluca Oreto - 20/06/2022

La non conformità di un immobile rispetto al titolo edilizio rilasciato (magari decine di anni fa) è un caso molto più frequente di quel che si può immaginare. Ci sono anni in cui a seguito di concessione edilizia si procedeva con varianti senza alcuna comunicazione e con effetti ai giorni nostri che si riverberano nelle aule dei tribunali.

Difformità edilizie: nuova sentenza del Consiglio di Stato

Il tema legato agli abusi edilizi è certamente quello più presente nella giurisprudenza come dimostrano le tante sentenze tra cui la n. 5005/2022 del Consiglio di Stato intervenuto sul ricorso presentato per la riforma di una sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale, concernente demolizione opere abusive.

Nel caso di specie, a dicembre 2011, a seguito di accesso in loco, il Comune accertava su un immobile la presenza di opere eseguite in difformità rispetto alla licenza edilizia rilasciata nel 1965. Opere adeguatamente dettagliate:

  • difformità dimensionali di un balcone rispetto al progetto assentito
  • difformità della scala interna;
  • realizzazione di altri tre balconi non conformi al progetto;
  • realizzazione di otto pilastri a sostegno della veranda del primo piano;
  • realizzazione di aperture in difformità al progetto;
  • copertura in scatolato di ferro e lamiera;
  • sgabuzzino in mattoni di cemento con copertura in lamiera;
  • installazione di un cancello di ferro, con apertura in base ad un impianto elettrico.

Il Comune emette il 7 settembre 2012 un ordinanza di demolizione che viene immediatamente impugnata al TAR e seguita da una nuova l’ingiunzione di demolizione datata 19 dicembre 2012 in cui viene dato atto che l’accertamento in loco era stato effettuato il 19 aprile 2012 (e non già il 6 dicembre 2011).

Anche questo provvedimento viene impugnato. Nel corso del giudizio l’appellante ha depositato documentazione comprovante l’avvenuta presentazione, in data 18 gennaio 2012, di una istanza di accertamento di conformità ai sensi 36 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), relativa agli abusi in contestazione. Il Comune, però, eccepisce che tale istanza non è stata evasa con provvedimento formale, ragione per cui sulla medesima si è formato il silenzio-rigetto previsto dall’art. 36, comma 3, del Testo Unico Edilizia (TUE).

Il valore del silenzio sull'istanza di sanatoria edilizia

Preliminarmente il Consiglio di Stato spende due parole sul silenzio serbato dall'amministrazione su un'istanza di accertamento di conformità che, come prevede l'art. 36, comma 3 del TUE, dopo 60 giorni si intende rigettata.

Il perfezionamento del silenzio-rigetto sulla istanza di sanatoria di conformità presentata dall’appellante, avverso il quale quest’ultima non ha dedotto di aver presentato impugnazione, rende persistente l’interesse alla decisione sulla legittimità dell’ordinanza di demolizione impugnata.

Secondo orientamento consolidato, la presentazione di una istanza di accertamento di conformità ai sensi dell'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001 non determina la perdita di efficacia della precedente ordinanza di demolizione, che viene solo momentaneamente “accantonata” e sospesa nei suoi effetti ( quindi non portata ad esecuzione ) in attesa di definizione del procedimento per sanatoria.

Dunque, la presentazione di una istanza di sanatoria non determina l’improcedibilità del ricorso che abbia ad oggetto l’ordinanza di demolizione.

Il valore delle prove

La parte appellante censura la decisione del TAR che ha ritenuto irrilevanti, ai fini di dimostrare la conformità del fabbricato rispetto al progetto licenziato, le planimetrie catastali prodotte in giudizio nonché quelle allegate all’atto di compravendita.

Il Consiglio di Stato, però, conferma che la legittimità edilizia di un immobile è determinabile solo con riferimento al progetto licenziato dal Comune, e quindi a detto scopo non possono essere utilizzate anche eventuali disegni o planimetrie che non risultino parte del corredo della pratica edilizia.

Nel caso di specie, l'appellante ha prodotto in giudizio un disegno recante una “veduta prospettica” dell’immobile che reca il timbro della Commissione edilizia del 2 agosto 1968, e che, per tale ragione, si può ritenere fedele al progetto sul quale il Comune si è, a suo tempo, pronunciato. Rispetto a tale “veduta prospettiva” è evidente, dalle fotografie del fabbricato pure prodotte dalla appellante, la sussistenza di difformità, che probabilmente sono state decise in via estemporanea nel corso dei lavori di costruzione, e che, tuttavia, avrebbero dovuto essere preventivamente segnalate con una variante in sanatoria, ciò che non è stato fatto. La appellante, comunque, pur affermando la conformità delle opere oggetto della ordinanza di demolizione rispetto al progetto licenziato dal Comune, non ne ha dato dimostrazione.

La responsabilità degli abusi edilizi

In appello viene contestata la parte della sentenza di primo grado che avrebbe ritenuto la legittimità dell’ordinanza di demolizione pur se gli abusi contestati non siano stati posti in essere dalla stessa, essendo gli stessi ascrivibili al precedente proprietario.

Anche su questo rilievo la normativa edilizia e la giurisprudenza sono chiare. Sul punto il TAR ha affermato: “In primo luogo, l’illecito edilizio va sanzionato nei confronti del proprietario dell’immobile (anche se non responsabile dell’abuso), in quanto è dovere primario della amministrazione il ripristinare la legalità attraverso l’adeguamento della situazione di fatto a quella di diritto. In secondo luogo, i passaggi di proprietà degli immobili non rendono irrilevanti i precedenti abusi edilizi e non costituiscono indirette forme di sanatoria, che sono ammissibili solo nei casi previsti dalla legge statale”.

Il decorrere del tempo sugli abusi edilizi

Altro elemento clou che viene contestato e sul quale esiste un fiume di giurisprudenza di ogni ordine e grado riguarda gli effetti del tempo su abusi e difformità edilizie.

L’appellante lamenta, infatti, l’erroneità della sentenza nella parte in cui ha ritenuto irrilevante il decorso di un lungo lasso di tempo dall’epoca di realizzazione delle opere abusive.

Rilievo anche questo infondato alla luce della ormai consolidata giurisprudenza che ha riconosciuto che l’ordinanza di demolizione di opere abusive, in quanto realizzate in assenza o in difformità da un titolo edilizio, costituiscono un atto dovuto e non richiedono alcuna particolare motivazione che tenga conto dell’aspettativa del privato, posto che alcuna legittima aspettativa può formarsi con riferimento ad opere abusive (leggere sentenza dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 9/2017).

Modifiche marginali?

Con un quarto motivo l'appellante lamenta pure che le quelle apportate alla scala interna e l’automatizzazione del cancello costituirebbero modifiche marginali, che avrebbero necessitato una mera comunicazione. Rilievi irrilevanti per il Consiglio di Stato per il quale si tratterebbe sempre di varianti che avrebbero dovuto essere denunciate preventivamente: in mancanza di ciò integrano opere abusive, essendo pacifico che non possono considerarsi opere di edilizia libera.

Planimetria rogito vs Progetto depositato al Comune

Altro motivo riguarda il fatto di non aver attribuito rilevanza alle risultanze della planimetria allegata al rogito di acquisto dell’immobile, relativamente alle rilevate difformità dei balconi. Ma anche qui il Consiglio di Stato non lascia margini di interpretazione: la conformità deve essere stabilita solo con riferimento al progetto sul quale si è pronunciato il Comune; peraltro, proprio le difformità dei balconi si evidenziano nel confronto tra le fotografie dello stato attuale ed il disegno della “veduta prospettica” licenziato dalla Commissione edilizia.

Demolizione e accertamento di conformità

Altro rilievo riguarda l'aver ritenuto non sanati due manufatti esterni, uno adibito a ricovero auto e costituito da una copertura in scatolato di ferro e lamiera, e l’altro da un vano tecnico. Secondo l’appellante sarebbe stata presentata domanda di sanatoria con rilascio del permesso di costruire in sanatoria.

Il Consiglio di Stato, però, rileva che l'Ufficio Tecnico del Comune non avrebbe mai rilasciato alcun provvedimento di concessione in sanatoria, che pertanto deve ritenersi negata ai sensi dell’art. 36, comma 3, del d.P.R. n. 380/2001.

L'autorizzazione paesaggistica

Ultimo punto su cui l'appellante muove rilievi è che la sentenza avrebbe ritenuto che le opere abusive avrebbero dovuto essere precedute da richiesta di autorizzazione preventiva a causa del vincolo paesaggistico insistente sull’area di interesse. Secondo l’appellante, tale vincolo sarebbe entrato in vigore solo nel 1976 e, dunque, la preventiva autorizzazione paesaggistica non sarebbe stata necessaria.

Per il Consiglio di Stato, però, la questione è irrilevante con riferimento alle opere per le quali non è stata richiesta la sanatoria, le quali, non essendo state previamente autorizzate, erano e rimangono abusive anche a prescindere dall’autorizzazione paesaggistica.

Sui manufatti esterni, in relazione ai quali l’appellante ha presentato la sanatoria, il vincolo paesaggistico doveva essere tenuto in considerazione dal Comune in ragione della necessità di verificare la c.d. doppia conformità, ovvero la conformità dei manufatti alla normativa vigente al momento della domanda di sanatoria, presentata nel 2012.

In conclusione l’appello è stato ritenuto infondato.

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