Distanze tra edifici e sopraelevazioni: interviene il TAR

Il TAR Lazio entra nel merito di una controversia tra vicini e si esprime sull'obbligo del rispetto delle distanze fra gli edifici nel caso di sopraelevazioni

di Giorgio Vaiana - 01/07/2021

Torniamo ad occuparci di distanza fra edifici, sopraelevazioni e permessi di costruire. La disputa tra due vicini confinanti sfocia in una causa che viene analizzata dal Tar Lazio. La sentenza n. 7136/2021, sfruttando le norme in vigore, chiarisce molti punti.

Sopraelevazione e permesso di costruire

Sono i proprietari di un appartamento a chiedere l'annullamento del permesso di costruire concesso da un comune ad una donna "per la realizzazione di una copertura a tetto per uso soffitta al piano sottotetto". Secondo i due, il comune avrebbe concesso il permesso di costruire in maniera errata in quanto non vengono rispettate previste per legge e dal Piano regolatore in vigore in quel comune.

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Le misure

I giudici del Tar fanno la prima cosa giusta da fare: prendono le misure. E quindi scoprono che il nuovo corpo di fabbrica realizzato dista poco meno di 2,5 metri dall'interasse del muro di confine e 8,5 metri dalla parete finestrata dell'abitazione dei due ricorrenti. Il piano regolatore del comune prevede che i distacchi dovessero essere di almeno sei metri e che, comunque, vige l'obbligo, previsto dalla norma nazionale (il DM n.1444/1968) di rispettare la distanza di dieci metri dalle pareti finestrate.

Nuove costruzioni e sopraelevazioni

Ma queste norme valgono anche per le sopraelevazioni? Assolutamente sì, dicono i giudici. "Una sopraelevazione - si legge nella sentenza - deve essere considerata come nuova costruzione e può essere di conseguenza eseguita solo con il rispetto della normativa sulle distanze legali dalle costruzioni esistenti sul fondo confinante. Una sopraelevazione, comportando sempre un aumento della volumetria e della superficie di ingombro, non può qualificarsi come risanamento conservativo o ricostruzione dei volumi edificabili preesistenti, i quali hanno solo lo scopo di conservarne i precedenti valori".

L'aumento di volumetria

Dall'analisi dei documenti, emerge di come le opere in questione e oggetto di disputa legale, abbiano comportato un aumento di volumetrie dell'edificio "essendosi provveduto alla costruzione di nuovi ambienti (soffitta) al di sopra del piano originario, con incremento dell’altezza del fabbricato nella parte antistante la proprietà del ricorrente ed alla realizzazione di una nuova copertura a tetto ad un’altezza superiore a quella originaria". E, dicono i giudici, queste opere non possono rientrare in quelle definite di "volume tecnico".

Cos'è il volume tecnico

Lo spiegano i giudici. Il volume tecnico "corrisponde a un'opera priva di qualsiasi autonomia funzionale, anche solo potenziale, perché destinata solo a contenere, senza possibilità di alternative e, comunque, per una consistenza volumetrica del tutto contenuta, impianti serventi di una costruzione principale per essenziali esigenze tecnico-funzionali di essa; i volumi tecnici degli edifici sono esclusi dal calcolo della volumetria a condizione che non assumano le caratteristiche di vano chiuso, utilizzabile e suscettibile di abitabilità; ne consegue che nel caso in cui un intervento edilizio sia di altezza e volume tale da poter essere destinato a locale abitabile, ancorché designato in progetto come volume tecnico, deve essere computato a ogni effetto, sia ai fini della cubatura autorizzabile, sia ai fini del calcolo dell'altezza e delle distanze ragguagliate all'altezza". E per i giudici, dunque, il nuovo corpo di fabbrica risulta edificato in violazione delle distanze, "sia sotto il profilo del mancato rispetto della distanza di metri 3 dal confine sia sotto quello del contrasto con la distanza minima di 10 metri lineari tra pareti finestrate e pareti di edifici antistanti". Per questo il permesso di costruire è illegittimo. Il ricorso dunque è stato accolto.

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