Distanze legali tra edifici: è il Comune a stabilirle

Come spiega la Corte di Cassazione, le NTA del PRG e i regolamenti edilizi hanno valenza integrativa dell’art. 873 c.c.

di Redazione tecnica - 11/03/2022

Quali norme regolano le distanze legali tra gli edifici? Se di base viene in aiuto il codice civile con l'art. 873 che stabilisce il limite minimo di 3 metri per gli edifici, esso va integrato con le prescrizioni delle norme tecniche di attuazione del piano regolatore e dai regolamenti edilizi, con prevalenza di questi ultimi: a ribadirlo è la Corte di Cassazione sez. II Civile, con l'ordinanza n. 3241/2022sul ricorso presentato dal proprietario di un immobile contro una società di costruzioni.

Distanze legali tra edifici e regolamenti edilizi: la sentenza della Cassazione

Questi i fatti: il ricorrente ha adito il Tribunale contro una società di costruzioni per violazione delle distanze legali tra edifici, chiedendo il ripristino dello stato dei luoghi, con rimozione anche delle condotte fognarie e di quelle della luce e del gas e con condanna al risarcimento del danno. Il ricorso è stato respinto sia in primo grado che in appello: in particolare, la Corte d'Appello ha osservato che il Comune aveva adottato un regolamento edilizio con cui aveva disciplinato ex novo le distanze tra le costruzioni, superando le prescrizioni contenute nelle norme tecniche di attuazione del piano regolatore ed imponendo un distacco dal confine pari a mt. 5 per gli edifici e di mt. 1,50 per i balconi.

Secondo il giudice distrettuale, le norme contenute nel regolamento edilizio prevalevano sulle previsioni delle norme di attuazione del PRG, considerato che il primo è espressione della autonomia normativa del Comune, mentre le norme di attuazione hanno solo natura di provvedimento e hanno carattere generale. Ha quindi ritenuto che il manufatto fosse conforme alla disciplina locale poiché, oltre a rispettare l’indice di visuale libera, era distante 5 metri dal confine, mentre i balconi aggettanti rispettavano la distanza di mt. 1,50 imposta dal regolamento, dato che si trovavano ad oltre 2 metri dal confine.

Anche la Suprema Corte ha confermato il giudizio: per prima cosa ha ricordato che già l’art. 33 della legge n. 1150/1942 attribuiva specificamente ai regolamenti edilizi – adottati dal Comune - la competenza a disciplinare l’altezza minima e quella massima dei fabbricati secondo le zone e gli eventuali distacchi dai fabbricati vicini e dal filo stradale. La disposizione è stata successivamente abrogata con l’entrata in vigore del D.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) il cui art. 4 prevede che i regolamenti edilizi comunali devono tuttora contenere la disciplina delle modalità costruttive, con particolare riguardo al rispetto delle normative tecnico-estetiche, igienico-sanitarie, di sicurezza e vivibilità degli immobili e delle pertinenze degli stessi.

NTA e regolamenti edilizi integrano quanto stabilito dal Codice Civile

Nel caso in esame, il Comune aveva disciplinato ex novo le distanze, adottando una nuova regolazione della materia che prevaleva sulle norme tecniche del PRA. Sul punto gli ermellini hanno evidenziato che sia le norme tecniche di attuazione del PRG che i regolamenti edilizi hanno valenza integrativa dell’art. 873 c.c., per cui la prevalenza delle diverse prescrizioni è affidata essenzialmente ad un criterio di successione temporale delle norme locali. Non solo: anche la giurisprudenza amministrativa, in diverse sentenze del Consiglio di Stato e del TAR ha ribadito che i regolamenti edilizi comunali e le prescrizioni generali ed astratte dei piani regolatori generali e delle relative norme tecniche, avendo entrambe natura regolamentare o di atti amministrativi generali, sono subordinati solamente alle norme di rango primario in esecuzione delle quali sono stati emanati.

Quini la norma di un regolamento edilizio che disciplini "ex novo" tutta la materia delle distanze, ha forza abrogativa rispetto a una precedente disposizione derogatoria contenuta nelle norme di attuazione del piano regolatore generale.

In questo caso, mentre nelle norme tecniche di attuazione del P.R.G. mancava una specifica disposizione riguardante la distanza dei balconi dal confine, questa previsione era invece contenuta nel regolamento edilizio, affermando espressamente che il distacco da osservare nelle nuove costruzioni doveva essere di 5 metri dal confine e non inferiore a 1,50 metri per i balconi.

I balconi sono costruzioni

In sostanza, la tesi avanzata dal ricorrente, circa l’impossibilità che il regolamento disciplinasse le distanze legali, non tiene conto del contrario e consolidato orientamento della giurisprudenza amministrativa e civile circa la valenza integrativa dell’art. 873 c.c. che va assegnata al regolamento edilizio. Per altro in questo modo la normativa locale appare coerente con il principio secondo cui anche i balconi, ove abbiano determinate caratteristiche, costituiscono “costruzione” agli effetti dell’art. 873 c.c. ed è rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione la fissazione dell’entità del distacco minimo che le parti sono tenute in tal caso ad osservare (salvo il limite sancito dall’art. 873 c.c. per la distanza tra costruzioni, che non può essere inferiore a 3 metri).

Il ricorso è stato quindi respinto: il fabbricato rispettava le distanze legali sancite dal regolamento edilizio, che costituisce integrazione a quanto stabilito in merito dal codice civile.

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