Edifici in area vincolata: permesso di costruire inefficace senza autorizzazione paesaggistica

In assenza di autorizzazione paesaggistica, eventuali titoli abilitativi già rilasciati sono inefficaci e non è possibile richiederla in sanatoria

di Redazione tecnica - 22/09/2022

Gli abusi edilizi commessi in zona vincolata sono insanabili, se non si è mai ottenuta l’autorizzazione paesaggistica. Si tratta dell’applicazione di quanto disposto dal D.Lgs. n. 42/2004 (Codice dei Beni Cuilturali e del Paesaggio), che non prevede la possibilità del rilascio della sanatoria paesaggistica post interventi.

Permesso di costruire senza autorizzazione paesaggistica: il no del Consiglio di Stato

A ribadirlo è il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 7701/2022 a seguito dell’appello di una società contro il diniego di permesso di costruire per completamento lavori e l’ordine di demolizione disposti da un’Amministrazione Comunale. Il caso riguarda un edificio costruito su un fondo in area sottoposta a vincolo paesistico all’interno di un Parco Nazionale. Il fabbricato era stato realizzato da un precedente proprietario, in forza di un permesso di costruire e di una variante d’opera assentiti dal Comune, senza che fosse mai stata ottenuta l’autorizzazione paesaggistica. Proprio per questo motivo, in un successivo procedimento penale riguardante proprio l’edificio, il GUP aveva dichiarato i due titoli non illegittimi ma inefficaci.

Alla presentazione di una nuova richiesta di permesso di costruire per effettuare un intervento di completamento, il Comune ha quindi opposto diniego, elencando tra i motivi proprio l’assenza di una autorizzazione paesaggistica precedente ai lavori di realizzazione del fabbricato e che il Comune riteneva non potesse essere acquisita ex post. Non solo: l'ente ha anche ingiunto la demolizione del fabbricato.

Già in primo grado il TAR aveva specificato che la carenza della autorizzazione paesaggistica determina l’inefficacia del permesso di costruire e della variante in corso d’opera precedenti. Inoltre, se è vero che l’immobile era assistito da permessi mai annullati in autotutela (ma comunque inefficaci), ciò non significa che fosse possibile il rilascio di un successivo titolo edilizio per il suo completamento, per altro in violazione delle norme sulle altezze.

Il diniego per mancanza di autorizzazione paesaggistica

Da qui l’appello. Il Consiglio di Stato ha evidenziato come i lavori assentiti con i P.d.C siano avvenuti in assenza di autorizzazione paesaggistica preventiva prevista dall’art. 146 del D. Lgs. n. 42/2004 e necessaria, dal momento che all’epoca della presentazione dell’istanza, del rilascio dei titoli edilizi e dell’inizio dei lavori, l’area su cui è stato costruito il fabbricato rientrava in area tutelata per legge. Per altro, nel diniego del Comune è stato fatto presente che l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi”, precisando inoltre che “la stessa non può essere rilasciata in termini di accertamento di compatibilità paesaggistica ai sensi ed alle condizioni di cui agli artt. 167 e 181 del D. L.gs. n. 42/2004”.

A fronte della chiarissima contestazione mossa dal Comune, relativa alla assenza della autorizzazione paesaggistica preventiva ai lavori ed alla impossibilità di acquisirla ex post, la società appellante non ha dimostrato l’esistenza della autorizzazione paesaggistica preventiva, né ha dimostrato che essa non fosse necessaria in ragione della non insistenza del vincolo paesaggistico sul bene immobile. 

In particolare, la ricorrente avrebbe specificato che sia il PdC del 2006 che quello rilasciato in variante nel 2007 attestavano essere “non dovuto” il nulla osta della Soprintendenza e “non dovuta” l’autorizzazione dell’Ente Parco, ragione per cui si sarebbe “ingenerato nel precedente proprietario – e nella società acquirente, odierna appellante – un legittimo affidamento sulla validità del titolo edilizio in forza del quale è stato dato corso ai lavori di realizzazione del fabbricato, e sulla scorta del quale è stata poi avanzata la richiesta di permesso di costruire in completamento oggetto del provvedimento di diniego”.

Inoltre ha fatto presente che i titoli edilizi non sono mai stati annullati in autotutela, e che il Comune, prima, e il TAR, dopo, non avrebbero in alcun modo valutato la posizione di assoluta buona fede in cui essa si trovava, dalla quale sarebbe conseguito il definitivo consolidamento dei titoli edilizi rilasciati nel 2006 e 2007.

In definitiva, nell’appello non si contesta l’insistenza o l’applicazione del vincolo paesaggistico, bensì l’affidamento ingenerato dai titoli edilizi originariamente rilasciati dal Comune, per sostenere che i suddetti titoli si sarebbero “consolidati”.

Le norme previste dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio

Sul punto, Palazzo Spada ricorda che l’art. 146 del D. Lgs. n. 42/2004 stabilisce, ai commi 1 e 2, che i proprietari, possessori o detentori a qualsiasi titolo di immobili ed aree di interesse paesaggistico, tutelati dalla legge, a termini dell'articolo 142, o in base alla legge, a termini degli articoli 136, 143, comma 1, lettera d), e 157, devono “astenersi dall'avviare i lavori fino a quando non ne abbiano ottenuta l'autorizzazione”, dalle autorità preposte alla tutela del vincolo paesaggistico.

Al comma 4, inoltre, la norma precisa che “L'autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo e presupposto rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l'intervento urbanistico-edilizio.”

Sulla base di tali previsioni questo Consiglio di Stato ha già da tempo affermato il principio secondo cui la mancanza di autorizzazione paesaggistica rende di fatto le opere ineseguibili, in ragione del divieto di cui all’art. 146 comma 2, e giustifica, in caso di realizzazione, provvedimenti inibitori e sanzionatori; correlativamente il titolo edilizio nel frattempo eventualmente rilasciato, in assenza dell’autorizzazione paesaggistica, non è invalido, ma è inefficace.

I lavori eseguiti sulla base di titoli edilizi legittimi, ma in assenza della necessaria autorizzazione paesaggistica, sono quindi suscettibili di atti inibitori e sanzionatori in quanto di realizzati in violazione del divieto di cui all’art. 146, comma 2, del D. Lgs. n. 42/2004 e, di fatto, in assenza di un titolo autorizzativo; essi integrano, perciò, un illecito edilizio e proprio per tale ragione si tratta di opere virtualmente inesistenti, in quanto suscettibili di essere oggetto di ingiunzione di demolizione, e come tali inidonee a costituire la base di ulteriori nuove opere.

No all'autorizzazione paesaggistica in sanatoria

Per altro, l’autorizzazione paesaggistica mancante non avrebbe potuto essere rilasciata ex post, sia perché si tratta di titoli che debbono necessariamente precedere gli interventi edilizi (come afferma chiaramente il richiamato art. 146 del D. Lgs. 42/2004), sia perché gli unici casi in cui è ammesso il rilascio di una autorizzazione paesaggistica ex post, intesa come “parere di compatibilità paesaggistica”, sono indicati all’art. 167, comma 5, del D. L.vo 42/2004, e tra essi sono esclusi gli interventi che determinano creazione di superfici utili, di volumi o aumento della volumetria legittimamente realizzata, come quelli oggetto della causa.

In definitiva, l’appello è stato respinto: la mancata acquisizione della necessaria autorizzazione paesaggistica, riferita alle opere assentite, rende il fabbricato di proprietà dell’appellante illecito, non sanabile e soggetto a demolizione, e tale circostanza giustifica, di per sé sola, il diniego del Comune ad effettuarvi opere di completamento, a prescindere dalla conformità di esse alle norme urbanistiche vigenti.

Inoltre Il decorso del tempo o, comunque, l’affidamento che la società appellante possa aver riposto sulla legittimità dei titoli edilizi e sulla non necessità dell’autorizzazione paesaggistica non costituiscono fatti idonei a superare l’illiceità delle opere: gli illeciti edilizi sono sanzionati a prescindere dallo stato soggettivo di colpevolezza del responsabile dell’abuso; l’eventuale affidamento riposto dalla società appellante, pertanto, può assumere rilevanza solo in funzione di una eventuale causa risarcitoria.

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