Fiscalizzazione abusi edilizi: come si calcola la sanzione?

Quali sono gli elementi che concorrono alla determinazione dell'importo della sanzione alternativa alla demolizione? Ecco la risposta del Consiglio di Stato

di Redazione tecnica - 23/03/2024

L’unico criterio per la determinazione dell’importo della sanzione pecuniaria sostitutiva di quella demolitoria, ai sensi dell’art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001(Testo Unico Edilizia) è quello del costo di produzione: la disposizione non menziona criteri diversi, come il costo storico o il valore di mercato, né contempla differenti metodologie di calcolo del valore dell’immobile ante e post abuso.

Fiscalizzazione abusi: come calcolare la sanzione?

Dopo i recenti chiarimenti sulla fiscalizzazione degli abusi edilizi operata dall’Adunanza Plenaria dell'8 marzo 2024, n. 3, che ha cristallizzato i principi sul dies a quo per il calcolo della sanzione pecuniaria, il Consiglio di Stato, con la sentenza del 15 marzo 2024, n. 2507 ha puntualizza anche quali siano i criteri validi a determinare l’importo della sanzione.

La questione è nata dal ricorso presentato per l’annullamento di un'ordinanza comunale e delle cartelle esattoriali con cui è stato ingiunto il pagamento della sanzione pecuniaria relativa ad un intervento di ristrutturazione edilizia realizzato in mancanza di idoneo titolo abilitativo.

Secondo i ricorrenti sarebbe stato applicato illegittimamente il criterio del costo di produzione per il calcolo del valore dell’immobile antecedente alla realizzazione dell’abuso, specificando che invece il costo avrebbe dovuto essere applicato unicamente all’immobile come è “emerso” dall’abuso, che sarebbe stato necessario distinguere tra preesistenze legittime e innovazioni abusive. Questo perché il “valore” ritratto dall’abuso corrisponde unicamente all’ “oggetto edilizio” realizzato in modo illecito, mentre la porzione legittima ha un valore che non dovrebbe mai essere incluso nell’operazione estimativa. In sostanza, la “preesistenza legittima” rappresenterebbe un limite oggettivo e invalicabile del potere sanzionatorio urbanistico-edilizio.

Il criterio del costo di produzione

Una tesi non condivisa da Palazzo Spasa, che ha appunto specificato che l’unico criterio menzionato dall’art. 33 comma 2 d.p.r. 380/2001 per la determinazione dell’importo della sanzione è quello del costo di produzione. La disposizione non menziona criteri diversi, come il costo storico o il valore di mercato, né contempla differenti metodologie di calcolo del valore dell’immobile ante e post abuso.

Il legislatore contempla un solo criterio, quello del costo di produzione, sia per gli interventi di ristrutturazione eseguiti in assenza o in totale difformità dal permesso di costruire (art. 33 del Testo Unico Edilizia) sia per quelli eseguiti in parziale difformità da esso (art. 34) . Le due fattispecie si differenziano unicamente in relazione alla base di calcolo:

  • nel primo caso è costituita dall’aumento del valore dell’immobile;
  • nel secondo caso dalla parte realizzata in difformità.

Il costo di produzione assurge, nell’ambito della disciplina eccezionale e derogatoria della c.d. fiscalizzazione dell’abuso, a criterio esclusivo di commisurazione della sanzione pecuniaria alternativa alla demolizione.

Si conferma quindi la tesi già specificata in primo grado, secondo cui, in assenza di diverse indicazioni normative, la differenza non può che calcolarsi sulla base di grandezze omogenee, dovendo i riferiti dati sul valore dell’immobile essere posti a confronto tra loro ai fini di calcolare (per differenza tra gli importi) la somma relativa alla sanzione pecuniaria da irrogare.

Spiegano inoltre i giudici che i criteri del costo storico e del valore di mercato, in ragione dell’estrema variabilità dei valori concreti di riferimento, non solo non consentono la certa predeterminazione della sanzione, in violazione del già richiamato principio di legalità, ma rischiano di privarla del tutto della sua afflittività nei casi in cui non sia ravvisabile un costo storico di acquisto (perché l’immobile è pervenuto all’attuale proprietario per donazione o successione) o nel caso di disallineamento tra il valore di mercato e quello reale. L’applicazione dei criteri in esame, in ultima analisi, può determinare in concreto differenziali negativi o irrisori, privando la sanzione della sua ragion d’essere e assicurando un ulteriore vantaggio ingiusto a chi ha commesso l’abuso edilizio, con frustrazione dell’esigenza di effettività della pretesa punitiva e della garanzia del giusto risarcimento alla comunità danneggiata dall’abuso.

Nel caso di specie, l’abuso ha oltretutto riguardato l’intero fabbricato, con la conseguenza che non è individuabile nemmeno fisicamente una porzione legittima che, non potrebbe essere ricompresa nella fiscalizzazione.

Il rinvio alla legge n. 392/1978

Non solo: il rinvio alla legge n. 392/1978, contenuto nell’art. 33 comma 2 d.P.R. n. 380/2001, è limitato ai criteri di determinazione del costo di produzione ai fini dell’applicazione della sanzione pecuniaria e non può estendersi anche ai criteri di calcolo del costo base ai fini della determinazione dell’equo canone contemplati dall’art. 22 della legge citata.

Sul punto, secondo il Consiglio di Stato è sufficiente osservare che:

  • il comma 6 dell’art. 33 sancisce che il contributo di costruzione è comunque dovuto, circostanza che, già di per sé, esclude che esso debba essere inglobato nella sanzione. Quindi non si può trasformare il contributo di costruzione in una voce di costo di produzione e quindi della sanzione, ne esclude (o riduce) il pagamento per le opere abusive soggette a fiscalizzazione, laddove esso è, invece, integralmente dovuto per le opere legittimamente realizzate;
  • la previsione della riduzione del costo base in ragione dell’imposizione fiscale, sancita dal comma 3 dell’art 22 l.392/1978, è accomunata all’equo canone dalla medesima finalità di equità sociale e di giustizia redistributiva che ispira l’istituto ed è incompatibile con l’afflittività della sanzione alla quale non è applicabile, poiché si tradurrebbe in un vantaggio ingiusto per l’autore dell’abuso, traslando sulla collettività gli oneri fiscali afferenti all’immobile abusivamente realizzato
  • la mancata applicazione dei coefficienti relativi alla categoria catastale previsti dall’art. 16 riguarda, per espressa previsione di legge, solo la determinazione del canone di locazione (comma 4 art. 22), mentre nel caso della sanzione pecuniaria trova applicazione anche l’art. 16 a cui l’art. 33 fa rinvio.

Fiscalizzazione abusi edilizi: i chiarimenti dell’Adunanza Plenaria

Infine, come osservato dalla recente sentenza dell’Adunanza Plenaria n. 3 del 8 marzo 2024, “la sanzione pecuniaria costituisce, nei tassativi casi consentiti, una misura alternativa alla materiale demolizione del manufatto e deve costituire una ‘risposta sanzionatoria’ omogenea ed effettiva, ciò che non vi sarebbe se si dovesse tenere conto del suo valore inferiore, commisurato al tempo della realizzazione dell’abuso” o, come nel caso di specie, se venisse decurtata una parte della sanzione in ragione dell’asserita afferenza ad una (inesistente) parte legittima.

Sul punto rileva il dies a quo dal quale calcolare la sanzione pecuniaria: sempre l’Adunanza Plenaria n. 3/2024 ha chiarito che con l’espressione “data di esecuzione dell’abuso”, contenuta nell’art. 33 comma 2 d.P.R. n. 380/2001, deve intendersi il momento di realizzazione delle opere abusive, che nel caso di specie coincide con la data di presentazione della DIA.

 

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