Fiscalizzazione abusi edilizi: non sempre bisogna attendere l'ordine di demolizione

Se l'amministrazione constata già in fase di accertamento l'impossibilità di demolire senza pregiudicare la parte conforme, può già irrogare la sanzione pecuniaria

di Redazione tecnica - 03/10/2022

La cosiddetta fiscalizzazione dell’abuso non è una scelta a discrezione del responsabile dell’abuso, ma è una decisione che l’Amministrazione prende dopo avere accertato l’oggettiva impossibilità di ripristinare lo stato dei luoghi tramite demolizione, senza pregiudicare le parti conformi. E attenzione: si può decidere di irrogare la sanzione prima ancora di emettere l'ordinanza di demolizione.

Fiscalizzazione abusi: è sempre necessario l'ordine di demolizione?

La conferma viene dalla sentenza n. 1362/2022, con cui il TAR Veneto ha ritenuto legittimo il provvedimento di irrogazione di sanzione pecuniaria ai sensi dell’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), emesso a seguito del sopralluogo con cui erano stati accertati gli abusi.

Nel caso in esame, la parte ricorrente aveva acquistato un’immobile per la quale la parte alienante aveva presentato una DIA alternativa a permesso di costruire per realizzare un intervento di ristrutturazione che contemplava anche il rifacimento della copertura e l’inserimento di quattro abbaini, senza modifica della sagoma. A seguito di un sopralluogo, il Comune ha sospeso i lavori constatando la sussistenza di difformità delle opere realizzate rispetto al titolo ed ha comunicato l’avvio del procedimento sanzionatorio.

Il procedimento si è concluso dopo 3 anni con l’irrogazione di una sanzione pecuniaria di oltre 100mila euro, ai sensi dell’art. 34 D.p.r. 380/2001 per le seguenti difformità:

  • modifica del cambio di destinazione d’uso da residenziale a commerciale;
  • sopraelevazione dell’edificio in violazione dele NTA del P.R.G. che impone la distanza minima di dieci metri dagli edifici frontistanti;
  • modifica della conformazione delle falde di copertura con realizzazione di due abbaini in luogo dei quattro previsti, aventi, tuttavia, larghezza superiore ai tre metri;
  • difformità nelle partiture interne.

In particolare la sopraelevazione e la modifica della conformazione delle falde di copertura hanno determinato un incremento del volume dell’edificio, senza che si rispettassero più rispettati i parametri di altezza del sottotetto ed i limiti dimensionali degli abbaini.

Secondo il ricorrente l'irrogazione della sanzione era illegittima perché il Comune avrebbe dovuto prima emettere l'ordine di demolizione e poi eventualmente in fase di esecuzione, convertire "in moneta" la sanzione.

La sentenza del TAR

Sul punto, il tribunale amministrativo ha precisato che se è vero che, di regola, a fronte della constatazione di una parziale difformità dal titolo edilizio, il Comune irroga la sanzione reale, per poi eventualmente convertirla in sanzione pecuniaria, è anche vero che la disposizione di cui all’art. 34, comma 2, D.P.R. 380/2001 non pone ostacoli ad una soluzione diversa, qualora l’Amministrazione possa già in prima battuta verificare l’impossibilità di procedere alla sanzione ripristinatoria senza pregiudizio delle parti conformi.

Nello specifico, l’art. 34, comma 2, infatti, non riserva al privato la scelta tra sanzione reale e sanzione pecuniaria, correlando l’irrogazione della seconda al dato oggettivo del pregiudizio arrecato dalla demolizione parziale alla parte di edificio eseguita in conformità. Questo il testo della norma: “2. Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell'ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell'opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale”.

In questo caso, il Comune ha constatato che era impossibile il ripristino della precedente quota di imposta del solaio di copertura e che, pertanto, la rimessa in pristino risulta di pregiudizio per la parte conforme.

La sanatoria per abusi formali

Infine, non si può dire che la sanzione irrogata fosse illegittima perché il Comune avrebbe dovuto attendere la fine dei lavori per verificare se residuassero difformità sanzionabili. La ricorrente, in assenza di titolo edilizio, ha demolito e ricostruito a quota inferiore una parte del solaio dell’ultimo piano dell’edificio, il che, spiega il giudice amministrativo, è sufficiente a configurare un abuso quantomeno formale.

In quanto tale esso può essere sanato in via postuma, con una DIA a fine lavori se ricorrono le condizioni previste dall’art. 22 D.P.R. 380/2001 (che nella formulazione vigente ratione temporis, al comma 2 era così formulato: “2. Sono, altresì, realizzabili mediante denuncia di inizio attività le varianti a permessi di costruire che non incidono sui parametri urbanistici e sulle volumetrie, che non modificano la destinazione d'uso e la categoria edilizia, non alterano la sagoma dell'edificio qualora sottoposto a vincolo ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, e non violano le eventuali prescrizioni contenute nel permesso di costruire. Ai fini dell'attività di vigilanza urbanistica ed edilizia, nonché ai fini del rilascio del certificato di agibilità, tali denunce di inizio attività costituiscono parte integrante del procedimento relativo al permesso di costruzione dell'intervento principale e possono essere presentate prima della dichiarazione di ultimazione dei lavori.”).

Nell’arco dei tre anni in cui il Comune ha atteso dall’avvio del procedimento sanzionatorio prima di irrogare la sanzione, la ricorrente non ha presentato alcuna istanza di sanatoria, né DIA per varianti in corso d’opera.

Il ricorso è stato quindi respinto, confermando la legittimità dell’irrogazione della sanzione pecuniatia laddove si accerti, anche prima dell’ordine di demolizione, che è impossibile eseguire il ripristino dello stato dei luoghi senza pregiudicare la parte conforme dell’edificio.

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