Installazione gazebo: il TAR sul concetto di temporaneità delle opere

Perché un'opera possa essere qualificata come precaria, deve trattarsi di un intervento oggettivamente finalizzato ad un uso temporaneo e limitato. Diversamente, ci vuole il permesso di costruire

di Redazione tecnica - 19/07/2023

A rendere precaria un’opera non è la sua amovibilità, ma l’uso oggettivamente temporaneo e limitato a cui è destinata la struttura. Di conseguenza, la realizzazione di gazebo di dimensioni anche notevoli, per attività commerciali continuative, configura un intervento di ristrutturazione soggetto a permesso di costruire e non un intervento in edilizia libera.

Installazione gazebo: quando ci vuole il permesso di costruire?

Lo specifica il TAR Lazio con la sentenza n. 11418/2023, con la quale ha confermato la legittimità di un’ingiunzione a demolire 5 gazebo, realizzati da una società specializzata in attività di architettura da esterni e di progettazione di strutture da giardino, quale "vetrina dimostrativa" della tipologia di prodotti offerti.

Secondo l’Amministrazione comunale, si trattava di un intervento di ristrutturazione edilizia realizzato in assenza del titolo abilitativo, ex art. 33 del d.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia) e in area sottoposta a vincolo. Di diverso avviso la società ricorrente, per cui si trattava di manufatti semplicemente appoggiati sul terreno in via temporanea, appunto come vetrina espositiva esterna al negozio, facilmente rimovibili e quindi non necessitanti di titolo edilizio.

Nel valutare il caso, il TAR ha sottolineato che non si possono invocare i principi giurisprudenziali espressi per gazebo e pergotende installate su immobili residenziali, in quanto questa tipologia di strutture ha finalità di arredo di spazi esterni volti alla loro migliore fruizione. In questo caso invece si è trattato dell’installazione di strutture con finalità espositiva della merce, comportando un’estensione della superficie commerciale.

Non solo: il numero e le dimensioni dei gazebo hanno determinato un significativo impatto sul territorio, con una sua visibile e significativa alterazione, motivo per cui le opere andavano qualificate come ristrutturazione edilizia ai sensi dell'art. 3 comma 1, lett. d), del d.P.R. n. 380/2001 e quindi subordinate, ai sensi dell’art. 10 del citato T.U., al regime del permesso di costruire o comunque della scia alternativa al permesso a costruire, la cui mancanza ha legittimato l’adozione dell’ordine di demolizione, così come l'assenza del pare dell'Autorità preposta al vincolo.

Opere precarie: criteri di definizione

In ogni caso, secondo il TAR, di tutto si trattava tranne che di opere provvisorie, considerato che è stata allestita una vera e propria vetrina con opere amovibili ma destinate a soddisfare esigenze permanenti di natura commerciale.

Spiega il giudice amministrativo che ai fini dell'identificazione del regime abilitativo edilizio, per qualificare un’opera come precaria, è necessario non solo considerare la consistenza strutturale e l'ancoraggio al suolo dei materiali di cui si compone, ma condurre l’esame in termini funzionali, accertando se si tratta di un'opera destinata a soddisfare bisogni duraturi, ancorché realizzata in modo da poter essere agevolmente rimossa. Le caratteristiche costruttive del manufatto, sono quindi inidonee a comprovarne il carattere precario, essendo destinato ad uso duraturo nel tempo, avente notevoli dimensioni ed impatto.

La natura precaria di un manufatto va infatti ricollegata alla intrinseca destinazione materiale dell'opera ad un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione, non risultando, peraltro, sufficiente la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo o la temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore. L’opera precaria non deve comportare una trasformazione irreversibile del territorio e l'accertamento della natura precaria dell'intervento deve essere effettuato secondo un criterio obiettivo: in particolare, perché un'opera possa essere qualificata come precaria, deve trattarsi di un intervento oggettivamente finalizzato ad un uso temporaneo e limitato.

Il concetto di precarietà va dunque distinto da quello di amovibilità, non essendo quest'ultimo coessenziale per l'individuazione della natura precaria dell'opera realizzata e ciò coerentemente con l’art. 3, lettera d, punto e.5, che disciplina le strutture leggere, espungendo dalla nozione di ristrutturazione edilizia solo quelle opere che siano destinate a soddisfare esigenze meramente temporanee.

Accertamento di conformità: il silenzio rigetto sull'istanza

In riferimento all’istanza di sanatoria ex art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, (accertamento di conformità) per opere eseguite in assenza di permesso di costruire) essa, è da intendersi rigettata una volta decorsi 60 giorni dalla sua presentazione. Ne discende che su di essa, conclude il TAR, si è formato il silenzio rigetto, che avrebbe dovuto essere tempestivamente impugnato. Per altro, contrariamente a quanto affermato da parte ricorrente, la pendenza dell’accertamento di conformità e la presentazione della relativa istanza, non determinano l’inefficacia dei provvedimenti sanzionatori, essendo tale effetto riconosciuto solo alle diverse istanze di condono.

 

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