Sanatoria edilizia 2023: è legittimo il silenzio-rigetto dell'accertamento di conformità?

La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 36, comma 3, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380

di Gianluca Oreto - 18/04/2023

Mentre è previsto nelle prossime settimane un tour a sostegno all'aggiornamento del Testo Unico Edilizia, nonostante gli oltre 20 anni di applicazione il d.P.R. n. 380/2001 continua a far parlare di sé. Questa volta è la Corte Costituzionale che con la sentenza n. 42 del 16 marzo 2023 "smonta" le tesi sostenute dal TAR Lazio a sostegno di una presunta illegittimità costituzionale dell'art. 36, comma 3 del Testo Unico Edilizia.

Accertamento di conformità

Stiamo parlando della normativa prevista per sanare eventuali abusi di tipo "formale" che in Italia è concessa utilizzando l'istituto dell'accertamento di conformità di cui all'art. 36 del d.P.R. n. 380/2001, consentito solo in presenza della cosiddetta doppia conformità alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell'abuso, sia al momento della presentazione della domanda. Un istituto che presenta tante complessità, soprattutto della "scarsa" integrazione con la normativa di tipo strutturale.

Diversamente dalla sanatoria sostanziale prevista in Italia in 3 momenti storici differenti (i 3 condoni edilizi), sull'istanza di accertamento di conformità si applica il silenzio-rifiuto: se sulla richiesta di permesso in sanatoria il dirigente o il responsabile del competente ufficio comunale non si pronuncia entro sessanta giorni, decorsi tali termini la richiesta si intende rifiutata.

Le motivazioni del ricorso

Ed è su questa disposizione, prevista al comma 3 del citato articolo 36, che il TAR Lazio ha proposto verifica di legittimità costituzionale, evidenziando le seguenti censure:

  1. la previsione del silenzio-rigetto lederebbe i princìpi di ragionevolezza, imparzialità, buon andamento e trasparenza, di cui agli artt. 3 e 97, secondo comma, Cost. anche in relazione agli artt. 2, 3 e da 7 a 10-bis della legge n. 241 del 1990, perché la qualificazione legislativa dell’inerzia in termini di rigetto impedirebbe al cittadino di comprendere le ragioni della reiezione dell’istanza e di dare il suo apporto nella fase istruttoria del relativo procedimento;
  2. la norma violerebbe l’art. 3 Cost. sotto il profilo della ragionevolezza: il legislatore prevede la definizione delle istanze di sanatoria degli abusi edilizi solo formali con lo sfavorevole meccanismo del silenzio-rigetto, mentre riserva il più favorevole meccanismo del silenzio-assenso per la definizione delle istanze di condono degli abusi sostanziali;
  3. il diniego tacito contrasterebbe con gli artt. 24 e 113 Cost., in quanto aggraverebbe la posizione processuale del privato. Questo, infatti, sarebbe costretto a un ricorso «al buio», in difetto di motivazioni sfavorevoli espresse da confutare e avrebbe l’ulteriore onere di dimostrare la doppia conformità urbanistico-edilizia delle opere;
  4. la fictio legislativa sarebbe contraria al principio di separazione dei poteri, riconducibile agli artt. 97 e 113 Cost., in quanto, nel giudizio di impugnazione del silenzio-rigetto, si demanderebbe al giudice di pronunciarsi sull’istanza di sanatoria in prima battuta, sostituendosi all’amministrazione nell’esercizio del potere amministrativo.

Le eccezioni dell’Avvocatura generale dello Stato

È intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo la dichiarazione di inammissibilità o, in subordine, di non fondatezza delle sollevate questioni.

In particolare, viene contestato l’assunto dell’ordinanza secondo cui sarebbe precluso al giudice amministrativo, adito per l’annullamento del silenzio-rigetto sull’istanza di sanatoria, di accertare la doppia conformità.

Inoltre, l’Avvocatura dello Stato evidenzia che, anche ove fosse dichiarata l’illegittimità costituzionale della norma censurata, il giudice amministrativo sarebbe pur sempre chiamato a pronunciarsi sull’accertamento della doppia regolarità delle opere: caduta la norma che qualifica il silenzio in termini di rigetto, il privato si troverebbe a reagire avverso una mera inerzia, ma il codice del processo amministrativo consente al giudice investito del ricorso sul silenzio di pronunciarsi sulla fondatezza della pretesa del privato quando afferisce ad attività vincolata.

Eccezioni considerate non fondate dalla Corte Costituzionale che ha ritenuto correttamente formulata l'istanza. Nella specie, il TAR ha esaurientemente spiegato di dover fare applicazione dell’art. 36, comma 3, t.u. edilizia, in quanto è chiamato a giudicare sulla (pregiudiziale) impugnazione del silenzio-rigetto sull’istanza di sanatoria, formatosi secondo il meccanismo ivi previsto.

Le sollevate questioni sono state, tuttavia, ritenute inammissibili per altro profilo.

La decisione della Corte Costituzionale

Nel merito, secondo i giudici della Corte Costituzionale, la ricostruzione del TAR sarebbe per molti versi carente e in parte anche erronea. Il TAR non si sarebbe soffermato sulla natura del potere di sanatoria e sulla ratio del silenzio-rigetto, né si sarebbe confrontato con gli orientamenti giurisprudenziali sulla relativa tutela. Mancanze che avrebbero compromesso l’iter logico-argomentativo posto a fondamento della valutazione di non manifesta infondatezza.

L'accertamento di conformità: cos'è

Per meglio comprendere la sua decisione, la Corte Costituzionale ha cominciato la sua analisi partendo da quanto prevede l'art. 36 del Testo Unico Edilizia che disciplina l’accertamento di conformità. Stiamo parlando del permesso in sanatoria ottenibile per interventi realizzati in difetto del, o in difformità dal, titolo edilizio, alla condizione che le opere siano rispondenti alla disciplina urbanistico-edilizia vigente tanto al momento di realizzazione dell’opera, quanto al momento dell’istanza.

La normativa, dunque, consente la regolarizzazione postuma di abusi difettosi nella forma, ma non nella sostanza, in quanto privi di danno urbanistico.

L’istituto si distingue nettamente dalle ipotesi del condono edilizio in cui la legge, in via straordinaria e con regole ad hoc, consente di sanare situazioni di abuso, perpetrate sino ad una certa data, di natura sostanziale, in quanto difformi dalla disciplina urbanistico-edilizia.

La doppia conformità e il silenzio-rifiuto

Secondo una costante e pacifica giurisprudenza amministrativa, il provvedimento che segue all'istanza di accertamento di conformità ha natura vincolata: con esso l’amministrazione comunale non compie apprezzamenti discrezionali, ma si limita a riscontrare la doppia conformità dell’opera alle prescrizioni urbanistico-edilizie.

La norma prevede un procedimento a iniziativa di parte in cui l’onere di dimostrare la cosiddetta doppia conformità delle opere è a carico del richiedente. L’amministrazione è tenuta a pronunciarsi con adeguata motivazione entro sessanta giorni, decorsi i quali la richiesta «si intende rifiutata».

La formula normativa è stata interpretata dalla giurisprudenza amministrativa come previsione di una fattispecie di silenzio con valore legale di diniego della proposta istanza (cosiddetto silenzio-rigetto) e non come mera inerzia nel provvedere (cosiddetto silenzio-inadempimento).

La ratio del silenzio-rigetto

La ratio del silenzio-rigetto viene rinvenuta in plurimi elementi:

  • la previsione è ritenuta rispondente alla necessità della difesa del corretto assetto del territorio dagli abusi edilizi, la cui repressione costituisce attività doverosa per l’amministrazione (artt. 27 e 31 del d.P.R. n. 380 del 2001);
  • il legislatore impone all’autorità comunale di ordinare la demolizione delle opere abusive, senza gravarla della previa verifica della loro sanabilità e, piuttosto, pone in capo al privato l’onere di proporre l’istanza di sanatoria e quello di impugnare il suo eventuale diniego, anche tacito;
  • la domanda di conformità è presentata (molto spesso) a seguito dell’emanazione dell’ordinanza di demolizione nella quale l’amministrazione ha già esplicitato i caratteri dell’abuso;
  • la definizione del procedimento di sanatoria con i tempi certi del silenzio-rigetto si coordina con la disposizione dell’art. 45 del d.P.R. n. 380/2001 relativa alla persecuzione penale degli abusi edilizi: questa prevede la sospensione del procedimento penale sino alla decisione amministrativa sull’istanza di titolo in sanatoria, in ragione dell’effetto estintivo dei reati contravvenzionali derivante dal suo accoglimento; ma, al contempo, tale sospensione richiede un contenimento temporale non potendo il processo penale arrestarsi sine die;
  • la previsione del silenzio significativo è anche nell’interesse del privato, cui è in tal modo consentita una sollecita tutela giurisdizionale.

Le conseguenze del silenzio-rigetto

Il privato, con l’impugnazione del provvedimento tacito, non può far valere difetti di motivazione o lacune nel procedimento, attesa l’incompatibilità logica di tali vizi con la fattispecie del silenzio significativo, dovendo, piuttosto, dolersi del suo contenuto sostanziale di rigetto, vale a dire della tacita valutazione di insussistenza della conformità.

In sostanza, con il delineato sistema di tutela è traslato in fase processuale l’onere incombente sul privato in fase procedimentale.

Secondo la giurisprudenza amministrativa, l’onere probatorio del privato è diversamente modulato a seconda che si qualifichi il potere di sanatoria in termini vincolati o tecnico-discrezionali:

  • dalla prima, prevalente impostazione è richiesto al ricorrente di fornire prova piena della doppia conformità;
  • dal secondo indirizzo è richiesto al ricorrente di fornire la prova della non implausibilità della doppia conformità, in termini idonei a sconfessare la negativa definizione del procedimento.

Dall’assolvimento del richiesto onere probatorio, discende l’annullamento del silenzio-rigetto, con il conseguente obbligo dell’amministrazione a provvedere espressamente sull’istanza in termini conformati a seconda all’accertamento compiuto in sentenza.

Nella riedizione del potere, l’amministrazione sarà, quindi, o totalmente vincolata dal compiuto riscontro giudiziale della doppia conformità o fortemente condizionata dalle indicazioni giudiziali sui necessari riscontri istruttori o, infine, continuerà a vantare margini di valutazione tecnico-discrezionali.

In definitiva, la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 36, comma 3, del d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia. (Testo A)», sollevate, in riferimento agli artt. 3, 24, 97, e 113 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per il Lazio.

© Riproduzione riservata