Soppalco: i requisiti per considerarlo edilizia libera

Il Consiglio di Stato chiarisce quando un soppalco può essere considerato edilizia libera oppure quando serve il titolo abilitativo

di Redazione tecnica - 29/03/2022

Benché il mondo dell'edilizia abbia dal 2001 un testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari, il d.P.R. n. 380/2001 cosiddetto testo unico edilizia, ci sono infinite sfaccettature che vanno analizzate caso per caso. E in questo la giurisprudenza degli ultimi 20 anni ci aiuta a fare chiarezza, anche se difficilmente è possibile tirarne sempre fuori principi generali ma va sempre analizzato il caso di specie.

Soppalco: nuova sentenza del Consiglio di Stato

Interessante è la sentenza del Consiglio di Stato 11 febbraio 2022, n. 1002 che ci consente di approfondire il tema legato ai soppalchi, su cui occorre sempre fare le dovute valutazioni dalle quali desumere se si tratti di edilizia libera (per la quale non serve alcun titolo abilitativo) oppure tutelata da titoli abilitativi. E la sentenza di Palazzo Spada fa dei ragionamenti molto interessanti.

Nel caso di specie, a finire sotto la lente del Consiglio di Stato è una precedente decisione dei giudici del TAR che hanno confermato l'orine emesso da un Comune per la demolizione delle opere abusive consistenti nel completamento di un soppalco intermedio di 30 mq, impostato a metri 2,10 dal calpestio e metri 2,00 dal solaio di copertura, completo di scala in muratura di accesso.

Secondo il ricorrente, però, sia il Comune che i giudici avrebbero errato nel considerare l'opera soggetta a permesso di costruire. In particolare, il ricorrente rileva:

  • la natura delle opere interne contestate, non necessitanti di previo titolo edilizio;
  • il mancato rispetto delle norme sul giusto procedimento;
  • l'erroneità dei presupposti, vizio di motivazione e di istruttoria istruttorie;
  • la sproporzione della sanzione demolitoria inflitta.

Entrando nel dettaglio, secondo l’appellante, la sentenza di primo grado sarebbe erronea in quanto:

  • non avrebbe considerato le modeste dimensioni del soppalco, riconducibili al regime giuridico delle "opere interne", per le quali il previgente art. 26 della legge n. 47 del 1985 non richiedeva né concessione né autorizzazione;
  • l’amministrazione procedente avrebbe completamente omesso di motivare in ordine al permanere dell’interesse pubblico alla demolizione di un’opera ritenuta abusiva, tenuto conto del lungo lasso di tempo trascorso dalla commissione dell’abuso, avendo tale inerzia creato un qualche affidamento nel privato;
  • l’omessa comunicazione dell’avvio del procedimento non potrebbe giustificarsi facendo generico riferimento al contenuto vincolato che caratterizza gli atti sanzionatori in materia edilizia, in quanto la valutazione e la qualificazione giuridica degli interventi contestati non sarebbe priva di spazi di apprezzamento discrezionale.

Soppalco: edilizia libera o permesso di costruire?

Sul primo punto, i giudici hanno confermato che la disciplina edilizia del soppalco, ovvero dello spazio aggiuntivo che si ricava all'interno di un locale, di solito un’abitazione, interponendovi un solaio, va apprezzata caso per caso, in relazione alle caratteristiche del manufatto.

Secondo la giurisprudenza di questo Consiglio di Stato, è necessario il permesso di costruire quando il soppalco sia di dimensioni non modeste e comporti una sostanziale ristrutturazione dell’immobile preesistente, con incremento delle superfici dell’immobile e, in prospettiva, ulteriore carico urbanistico.

Si rientrerà, invece, nell’ambito degli interventi edilizi minori, per i quali comunque il permesso di costruire non è richiesto, ove il soppalco sia tale da non incrementare la superficie dell’immobile.

Quest’ultima ipotesi si verifica solo nel caso in cui lo spazio realizzato col soppalco consista in un vano chiuso, senza finestre o luci, di altezza interna modesta, tale da renderlo assolutamente non fruibile alle persone.

Nel caso di specie, le opere contestate hanno comportato un organismo edilizio nuovo ad uso abitativo, con aumento di superficie e volume utile, come confermato dalla significativa metrature e dalla presenza di un servizio igienico.

I giudici ricordano pure che la qualifica di pertinenza urbanistica è applicabile soltanto ad opere di modesta entità e accessorie rispetto ad un’opera principale, quali ad esempio i piccoli manufatti per il contenimento di impianti tecnologici et similia, ma non anche opere che, dal punto di vista delle dimensioni e della funzione, si connotino per una propria autonomia rispetto all’opera cosiddetta principale e non siano coessenziali alla stessa, tale, cioè, che non ne risulti possibile alcuna diversa utilizzazione economica.

Anche il richiamato art. 26 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, esimeva l’interessato dal richiedere il previo rilascio di titolo edilizio soltanto per le opere interne alle costruzioni che non comportassero «modifiche della sagoma né aumento delle superfici utili e del numero delle unità immobiliari».

Nel caso di specie (in cui non può parlarsi di mero recupero del patrimonio edilizio esistente), deve aggiungersi che non sono neppure state rispettate le altezze minime previste per gli ambienti abitativi dall’art. 43, comma 2, della legge n. 457 del 1978: tale disposizione richiede infatti che l’altezza dei locali sottostanti il soppalco non debba essere inferiore a mt. 2,70 per gli ambienti abitativi e a 2,40 per i vani accessori.

Ordine di demolizione: serve motivazione?

In ragione dell’acclarata abusività dei manufatti rimasti sforniti di titolo abilitativo, l’ordine di demolizione è atto dovuto e vincolato (art. 31, del d.P.R. n. 380 del 2001) e non necessita di motivazione aggiuntiva rispetto all’indicazione dei presupposti di fatto e all’individuazione e qualificazione degli abusi edilizi.

L’omesso avviso di avvio del procedimento non può dunque comportare l’annullamento dell’ordinanza in quanto il dispositivo dell’ordinanza demolitoria «non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato», ai sensi dell’art. 21-octies, comma 2, della legge n. 241 del 1990.

Il trascorrere del tempo sana l'abuso?

Altro aspetto, sul quale a dire il vero esistono una moltitudine di interventi della giurisprudenza, riguarda il trascorrere del tempo tra la realizzazione dell'abuso e l'ordine di demolizione.La giurisprudenza è ormai consolidata nel ritenere che la mera inerzia da parte dell’amministrazione nell’esercizio di un potere-dovere finalizzato alla tutela di rilevanti finalità di interesse pubblico non può certamente radicare un affidamento di carattere legittimo in capo al proprietario dell’abuso, giammai destinatario di un atto amministrativo favorevole idoneo a ingenerare un’aspettativa giuridicamente qualificata.

Se pertanto il decorso del tempo non può incidere sull’ineludibile doverosità degli atti volti a perseguire l’illecito attraverso l’adozione della relativa sanzione, deve conseguentemente essere escluso che l’ordinanza di demolizione di un immobile abusivo debba essere motivata sulla sussistenza di un interesse pubblico concreto e attuale al ripristino della legalità violata.

Dunque, è del tutto congruo che l’ordine di demolizione sia adeguatamente motivato mercé il richiamo al comprovato carattere abusivo dell’intervento, senza che si impongano sul punto ulteriori oneri motivazionali, applicabili nel diverso ambito dell’autotutela decisoria.

Anche nel caso in cui l’attuale proprietario dell’immobile non sia responsabile dell’abuso e non risulti che la cessione sia stata effettuata con intenti elusivi, le conclusioni sono le stesse.

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