Sottotetto e cambio di destinazione d'uso: quale titolo edilizio serve?

Permesso di costruire, SCIA e SCIA alternativa, il TAR Liguria chiarisce come si configura il cambio di destinazione d'uso di un sottotetto da non abitabile ad abitabile e quale titolo edilizio è necessario

di Redazione tecnica - 17/05/2021

Il cambio di destinazione d'uso da non abitabile ad abitabile del sottotetto è uno di quegli argomenti controversi che necessita di un opportuno approfondimento. Quale titolo edilizio serve? la SCIA, la SCIA alternativa al permesso di costruire o il permesso di costruire?

Sottotetto e cambio di destinazione d'uso: interviene il TAR

A rispondere a questa domanda (come spesso accade) ci ha pensato la giurisprudenza. Questa volta è il Tribunale Amministrativo Regionale per la Liguria, con la sentenza n. 341/2021, ad approfondire l'argomento.

Nel caso di specie, il Comune ha dichiarato irricevibile una segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) presentata per la realizzazione di lavori finalizzati al mutamento della destinazione d’uso (da locale di sgombero a residenza) di un sottotetto in Zona A, vietando la prosecuzione dei lavori.

Secondo l'amministrazione, l'intervento di cambio di destinazione d'uso, sulla base dell'art. 10, comma 1, lett. c) del DPR n. 380/2001 (Testo Unico Edilizia), sarebbe subordinato a permesso di costruire. Ma non per il ricorrente che sostiene l'errore del Comune che non avrebbe qualificato l'intervento come “restauro e risanamento conservativo” e, come tale, non assoggettato alla disciplina richiamata (che richiede, per gli interventi di ristrutturazione edilizia che comportino mutamenti di destinazione d’uso, realizzati in zona A, l’ottenimento di un permesso di costruire), ma a quella, più lieve, di cui all'art. 22 del Testo Unico Edilizia che richiede, per gli interventi di “restauro e risanamento conservativo”, solamente la presentazione di una SCIA.

Speciale Testo Unico Edilizia

La qualificazione degli interventi edilizi

Come correttamente evidenziato dal TAR, la questione ruota intorno alla qualificazione dell'intervento come restauro e risanamento conservativo di cui all’art. 3, comma 1, lett. c) del DPR n. 380/2001 o come ristrutturazione edilizia ai sensi della successiva lettera d).

Per poter correttamente inquadrare l'intervento oggetto della sentenza, occorre fare un tuffo all'interno del DPR n. 380/2001 che definisce:

  • gli interventi di restauro e di risanamento conservativo, gli interventi edilizi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d'uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi. Tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio;
  • gli interventi di ristrutturazione edilizia, gli interventi rivolti a trasformare gli organismi edilizi mediante un insieme sistematico di opere che possono portare ad un organismo edilizio in tutto o in parte diverso dal precedente. Tali interventi comprendono il ripristino o la sostituzione di alcuni elementi costitutivi dell'edificio, l’eliminazione, la modifica e l'inserimento di nuovi elementi ed impianti.

Come abbiamo già avuto modo di osservare nell'approfondimento "Interventi edilizi 2021: edilizia libera, CILA, SCIA e permesso di costruire" la normativa edilizia definisce gli interventi e i relativi titoli edilizi necessari per realizzarli. Ed è su questo che si basa l'analisi del TAR.

Il cambio di destinazione d'uso

Il cambio di destinazione d’uso può essere indifferentemente conseguito con due tipi di intervento in relazione della finalità dell’intervento stesso:

  • nel caso del restauro e risanamento viene conservato l'organismo edilizio rispettandone gli elementi tipologici, formali e strutturali (mediante il solo ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio e l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso);
  • nel caso della ristrutturazione viene trasformato l’organismo edilizio di partenza in uno in tutto o in parte diverso dal precedente.

Il caso oggetto della sentenza

Nel caso oggetto della sentenza, dalla documentazione prodotta e dalla SCIA presentata si evince che l'intervento comporta l’inserimento degli impianti (idrico, elettrico, etc.) richiesti dalle nuove esigenze abitative, ma anche una modifica interna degli elementi strutturali dell’organismo edilizio, mediante l’inserimento (non il mero ripristino o rinnovo) di pareti divisorie ed una nuova distribuzione interna.

Si tratterebbe, dunque, di una ristrutturazione edilizia e non un restauro e risanamento conservativo. Aspetto confermato dalla Legge della Regione Liguria 6 agosto 2001, n. 24 (recupero ai fini abitativi dei sottotetti esistenti), la quale precisa, all’art. 2 comma 7, che “gli interventi di recupero dei sottotetti sono soggetti alla corresponsione del contributo di costruzione previsto per gli interventi di ristrutturazione edilizia oppure di nuova costruzione ai sensi della legge regionale 7 aprile 1995, n. 25”, e ciò anche quando non comportino modifiche nella sagoma dell’edificio.

Cambio di destinazione d'uso e ristrutturazione edilizia: quale titolo edilizio?

In conclusione, trattandosi di ristrutturazione edilizia, è necessario il permesso di costruire come vuole il Comune oppure la SCIA come affermato dal ricorrente? si potrebbe rispondere come dicevano i latini "in medio stat virtus".

Trattandosi di un intervento di ristrutturazione edilizia comportante mutamento di destinazione d’uso di un immobile compreso nella zona omogenea A, esso era assentibile mediante:

  • permesso di costruire (art. 10, comma 1, lett. c del DPR n. 380/2001);
  • SCIA alternativa al permesso di costruire (art. 23 del DPR n. 380/2001) conosciuta anche come "Super SCIA".

In definitiva, per l'intervento oggetto della contesa il ricorrente avrebbe potuto presentare la SCIA alternativa (o Super SCIA) e non la normale SCIA di cui all'art. 22 del Testo Unico Edilizia.

Cosa cambia tra SCIA e Super SCIA?

Ma, in definitiva, cosa cambia tra le due istanze? lo spiega il TAR.

In entrambi i casi occorre:

  • asseverare la conformità delle opere da realizzare agli strumenti urbanistici vigenti, al regolamento edilizio ed alle norme di sicurezza e igienico-sanitarie;
  • pagare il contributo di costruzione ove dovuto in relazione all’aumento del carico urbanistico.

Le due istanze si differenziano per il solo fatto che:

  • nel caso di Super SCIA i lavori possono essere iniziati dopo 30 giorni dalla sua presentazione, cioè del termine a disposizione dell’amministrazione per notificare all’interessato l’ordine di non effettuare il previsto intervento, in caso di riscontrata assenza delle condizioni stabilite;
  • nel caso di SCIA semplice i lavori possono essere iniziati contestualmente alla presentazione dell'istanza.

Cosa è accaduto nel caso di specie

Nel caso di specie, il ricorrente ha corrisposto il contributo di costruzione e il provvedimento impugnato (emesso il 29° giorno dalla presentazione della SCIA) si è limitato a rilevare l’irricevibilità della SCIA semplice in ragione della sua inutilizzabilità per l’intervento in questione, ma non contesta alcuna difformità sostanziale rispetto alla normativa urbanistico-edilizia: donde l’illegittimità del divieto di prosecuzione dell’attività, che può essere emanato soltanto in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti richiesti dalla legge o da atti amministrativi a contenuto generale (P.R.G. e regolamento edilizio) per il relativo intervento edilizio.

Corretto, dunque, il secondo motivo del ricorso che ha lamentato la violazione e/o falsa applicazione dell'art. 23 del D.P.R. n. 380/2001 in relazione all'art. 22 dello stesso decreto e all'art. 19 della L. n. 241/1990. Il provvedimento dell'amministrazione risulta inutile nell’ottica dell’art. 23 comma 6 D.P.R. n. 380/2001 (“E' comunque salva la facoltà di ripresentare la denuncia di inizio attività, con le modifiche o le integrazioni necessarie per renderla conforme alla normativa urbanistica ed edilizia”), che finisce per gravare l’interessato della ripresentazione di una SCIA identica nei contenuti.

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