Superbonus 110 e Bonus facciate: ecco i dati dell'ISTAT

In audizione alla Camera ISTAT ha diffuso i dati sugli effetti macroeconomici e di finanza pubblica derivanti dal Superbonus e dal Bonus facciate

di Redazione tecnica - 29/05/2023

Prosegue in V Commissione (Bilancio, tesoro e programmazione) della Camera dei deputati l'indagine conoscitiva sugli effetti macroeconomici e di finanza pubblica derivanti dagli incentivi fiscali in materia edilizia che ha visto lo scorso 24 maggio in audizione il Dott. Giovanni Savio, Direttore della Direzione Centrale per la Contabilità Nazionale dell’Istituto nazionale di statistica (ISTAT).

Indagine alla Camera: audizione di ISTAT

Dopo una premessa sulle misure introdotte nel nostro ordinamento negli ultimi 20 anni sulle misure agevolative volte alla riqualificazione del patrimonio edilizio, l'audizione dell'ISTAT si è concentrata su due aspetti distinti riepilogati nel documento depositato in audizione:

  • il trattamento contabile dei bonus edilizi nei conti di finanza pubblica;
  • le valutazioni sugli effetti macroeconomici degli incentivi edilizi.

La prima sezione del documento illustra i profili contabili del Superbonus 110% e del Bonus facciate sulla base delle indicazioni metodologiche contenute nell’edizione 2022 del Manual on Government Deficit and Debt – Implementation of ESA 2010 (MGDD 2022). Su questo tema, ISTAT ha confermato il mutato cambio di trattamento contabile per queste due detrazioni fiscali e gli effetti sulle stime del Conto delle Amministrazioni pubbliche per gli anni 2020-2022.

La seconda sezione si concentra sugli effetti macroeconomici derivanti dagli incentivi edilizi sulla base di due contributi:

  • nel primo si analizzano le caratteristiche degli effetti di propagazione sul sistema produttivo di un aumento degli investimenti in costruzioni;
  • nel secondo, viene trattata la questione dell’impatto macroeconomico degli incentivi edilizi sulla base dell’analisi dei “moltiplicatori” associati agli aumenti di spesa utilizzati nel modello macroeconometrico dell’Istat MeMo-It.

A completamento del quadro offerto, vengono proposti due brevi approfondimenti sull’evoluzione recente del settore delle costruzioni e sulle caratteristiche energetiche del settore residenziale privato nel biennio 2020-2021 sulla base delle informazioni tratte dall’ultima edizione dell’Indagine su “I consumi energetici delle famiglie”.

Il trattamento contabile dei bonus edilizi

A seguito dell'aggiornamento di febbraio 2023 del MGDD, ISTAT conferma preliminarmente che il SEC2010 prevede una diversa modalità di registrazione delle due tipologie di credito fiscale:

  • un credito di imposta “non pagabile” deve essere registrato come una riduzione del gettito fiscale nel momento dell’effettiva fruizione dell’agevolazione;
  • un credito di imposta “pagabile”, deve essere evidenziato per il suo intero importo come maggiore spesa pubblica (sia la parte compresa nel debito fiscale che quella eccedente). In questo caso, le imposte sono registrate al lordo delle detrazioni e l’intero ammontare come spesa nel momento in cui l’agevolazione matura (ossia il momento in cui viene sostenuta la spesa agevolata). Questi rappresentano, infatti, sostegni finanziari rivolti a platee specifiche di beneficiari e consentono il minor versamento di imposte e/o contributi dovuti. Un credito di imposta pagabile, quindi, sebbene “veicolato” dal sistema fiscale, è assimilabile più a un trasferimento unilaterale che a una misura di riduzione dell’onere fiscale. Come tale, l’effettiva natura di spesa deve essere coerentemente riprodotta nei Conti nazionali e in tutti i saldi e indicatori caratteristici di finanza pubblica.

Viene anche sottolineato che il costo complessivo della misura agevolativa è il medesimo, sia che la stessa sia registrata come minore entrata tributaria, sia come maggiore spesa. Il profilo temporale in termini di impatto sull’indebitamento delle Amministrazioni pubbliche è invece differente:

  • quando la misura è classificata “non pagabile”, l’impatto è distribuito negli anni di utilizzo del credito fiscale;
  • quando è invece classificata “pagabile”, l’impatto si concentra esclusivamente nell’anno di sostenimento della spesa incentivata (quando matura il diritto all’agevolazione) o comunque nell’anno in cui l’obbligazione della Pubblica Amministrazione è definita con certezza.

Al contrario, le due classificazioni incidono differentemente sull’indicatore della pressione fiscale.

Alla luce del meccanismo di cessione dei crediti edilizi di cui all'art. 121 del Decreto Legge n. 34/2020 (Decreto Rilancio), a partire dall’edizione dei Conti nazionali del 1 marzo 2023, l’Istat ha concordato con Eurostat una riclassificazione dei Superbonus e del Bonus facciate come “pagabile”.

Per gli anni 2020-2022 sono stati quindi registrati nei Conti delle Amministrazioni Pubbliche come spesa nel momento in cui il beneficio è maturato (ossia, nel momento in cui si è sostenuta la spesa di investimento per stato di avanzamento dei lavori) e per il suo intero ammontare. Ciò ha comportato una considerevole revisione delle stime dell’indebitamento netto (deficit) delle Amministrazioni Pubbliche, in ragione del fatto che nella versione precedente dei Conti, il Superbonus e il Bonus facciate incidevano sul disavanzo pubblico per la sola quota utilizzata nell’anno (in detrazione o compensazione fiscale).

Per gli anni 2020, 2021 e 2022 la spesa relativa alle due agevolazioni è rispettivamente pari allo 0,1%, 2,0% e 2,6% del Pil. La riclassificazione del credito da minori entrate a maggiori spese ha determinato un aumento sulla pressione fiscale del 2022 di 0,3 punti percentuali (43,2% vs 43,5%). Non ha invece avuto impatto evidente sul 2020 e sul 2021 in ragione della dimensione limitata degli importi dei crediti fruiti. Gli importi, in termini di fruizione, cominciano ad essere significativi dall’anno 2021, in progressione crescente per gli anni successivi per il sovrapporsi delle quote annuali di fruibilità.

Le valutazioni sugli effetti degli incentivi edilizi

La seconda sezione del documento messo a punto da ISTAT offre alcuni elementi di discussione sugli effetti macroeconomici del Superbonus 110% e del Bonus Facciate, un tema particolarmente complesso sul piano metodologico e su quello dell’integrazione delle fonti e delle tecniche di analisi disponibili.

Secondo ISTAT “uno shock che si origina nel settore delle costruzioni tende a produrre effetti significativi sul sistema produttivo, interessando un insieme di comparti rilevanti, sia sotto il profilo dell’attività economica (in termini di produzione e valore aggiunto), sia dal punto di vista dell’importanza del volume degli scambi”. Tradotto, il comparto delle costruzioni risulta essere trainante per l’intera economia del Paese.

Per verificare gli effetti del Superbonus e del Bonus facciate (quest’ultimo mai preso in considerazione dalle analisi di altre associazioni o enti privati) sul comparto si è scelto di confrontare l’evoluzione del periodo 2014-2019 con il triennio 2020-2022-

La stima degli investimenti addizionali in costruzioni indotti dagli incentivi risulterebbe pari a 758 milioni di euro per il 2020, 18,6 miliardi per il 2021 e 32,0 miliardi per il 2022. Secondo la simulazione, per l’anno 2020, lo stimolo degli incentivi edilizi al sistema produttivo risulterebbe trascurabile sia sul valore aggiunto (poco meno di 640 milioni di euro) sia su occupazione e redditi.

Nel 2021, gli incentivi edilizi considerati quale stimolo effettivo agli investimenti in costruzioni,18,6 miliardi, sono pari al 5,4%degli investimenti complessivi e l’impatto stimato sul valore aggiunto del sistema produttivo è di circa 15,6 miliardi di euro (pari allo 0,9%). Di questi, poco più della metà si concentrano nel settore delle costruzioni, con uno stimolo al valore aggiunto del settore pari al 10,1%. In termini di occupazione, l’effetto complessivo è dell’1,1%, mentre nelle costruzioni è del 10,0%. Lo stimolo sui redditi da lavoro è pari a circa 7,0 miliardi di euro (l’1,0% del totale).

Nel 2022, gli incentivi edilizi considerati quale stimolo effettivo agli investimenti in costruzioni, 32,0 miliardi, rappresentano poco più dell’8% degli investimenti complessivi dell’anno. L’impatto stimato sul valore aggiunto del sistema produttivo è di poco meno di 26 miliardi di euro (pari all’1,4%), quello sul solo settore delle costruzioni è poco più del 14%. In termini occupazionali, l’effetto è pari al 1,7%, mentre sul reddito l’effetto è pari all’1,5%.

A parte il settore delle costruzioni, beneficiario diretto dell’incremento degli investimenti, gli effetti si trasmettono seguendo le filiere produttive. In particolare, fra i settori maggiormente beneficiati spiccano:

  • quello estrattivo, principalmente per ciò che concerne i prodotti non energetici (3,3%);
  • la gomma, plastica e minerali non metalliferi (2,7%);
  • i servizi professionali (2,5%);
  • quelli alle imprese (2,3%);
  • le altre attività professionali (1,8%);
  • legno, carta e stampa (1,5%).

Più in generale i settori maggiormente coinvolti (ovvero quelli la cui attivazione è superiore alla media complessiva) ricevono uno stimolo all’attività produttiva pari a 18,4 miliardi di euro, oltre il 71% dell’effetto complessivo, che corrisponde a un’occupazione pari a poco più di 330 mila unità di lavoro a tempo pieno (ULA).

Escludendo le costruzioni, gli altri comparti “di filiera” beneficiano di un effetto per complessivi 5,4 miliardi di valore aggiunto e 78,1 mila ULA.

La crescita del settore delle costruzioni

Nel biennio 2021-2022, il settore delle costruzioni ha conosciuto un periodo di crescita eccezionale. Secondo le stime dei Conti Annuali diffuse a marzo, il valore aggiunto in termini reali è aumentato a ritmi elevati sia nel 2021 (+20,7%) sia nel 2022 (+10,2%), dopo la contrazione osservata nel 2020 (-5,8%) – un andamento decisamente più sostenuto di quello osservato per il totale delle attività economiche (+6,8, +3,9% rispettivamente, dopo il -8,4% nel 2020).

L’input di lavoro del comparto, in termini di ore lavorate, è cresciuto in misura altrettanto significativa (+19,7% nel 2021 e +7,9% nel 2022), con un aumento del numero di occupati pari a +211mila unità nel biennio (+5,9% nel 2021 e +7,2% nel 2022), di cui 191mila lavoratori dipendenti.

Secondo i dati dell’Indagine sulle forze di lavoro, l’incremento del numero di occupati sarebbe peraltro legato a una significativa risalita dell’occupazione a tempo indeterminato (+11,6% nel 2021 e +12,6% nel 2022) rispetto a quella a termine (+17,7% e -0,7% nei due anni rispettivamente).

A completare il quadro, gli investimenti in costruzioni hanno mostrato nel biennio tassi di crescita più elevati del valore aggiunto: quelli in Abitazioni sono aumentati del 37,2% nel 2021 e dell’10,3% nel 2022, quelli in Fabbricati residenziali e altre opere rispettivamente del 18,4% e 12,9%.

In rapporto al Pil, gli investimenti del settore sono così tornati sui valori osservati nel 2008.

Gli ultimi dati congiunturali, relativi ai primi mesi del 2023, mostrano nel complesso segnali moderatamente positivi. L’indice della produzione nelle costruzioni ha registrato, a marzo, un lieve incremento (+0,1%), dopo il calo marginale di gennaio -0,2% la variazione congiunturale) e il recupero di febbraio (+0,3%). Su base trimestrale, l’aumento congiunturale dell’indice rimane robusto (+1,1% nel primo trimestre rispetto ai tre mesi precedenti); nel confronto con i primi tre mesi del 2022, l’indice corretto della produzione nelle costruzioni registra però una lieve flessione (-0,4%).

Ad aprile, il clima di fiducia delle imprese di costruzioni ha mostrato una decisa accelerazione, attestandosi su livelli molto alti dell’indicatore (a 164,2, dal 159,1 di marzo), a fronte del peggioramento della fiducia delle imprese manifatturiere e del commercio al dettaglio e un aumento più contenuto per quelle dei servizi di mercato; tutte le variabili che concorrono al calcolo dell’indice hanno, peraltro, registrato un andamento positivo (i giudizi sul livello degli ordini e/o piani di costruzione e le attese sull’occupazione).

I consumi energetici delle famiglie nel biennio 2020-2021

L’Indagine sui consumi energetici delle famiglie, condotta nel 2021, ha offerto un quadro delle caratteristiche energetiche del settore residenziale nel biennio 2020-2021 e delle spese sostenute per l’energia dalle famiglie nel corso del 2020. I risultati dell’Indagine sono stati diffusi con due Report rilasciati nei mesi di giugno e dicembre 2022.

In particolare, alcuni quesiti hanno riguardato gli investimenti in efficienza energetica condotti dalle famiglie nella propria abitazione per ridurre le spese per l’energia elettrica, il riscaldamento domestico o quello dell’acqua. Nel 2021, il 75,4% delle famiglie ha dichiarato di avere effettuato almeno un intervento di questo tipo nei cinque anni precedenti. Nel dettaglio, il 70,7% delle famiglie ha effettuato investimenti o interventi per ridurre le spese per l’energia elettrica, come la sostituzione delle lampadine tradizionali con lampadine a risparmio energetico (67,0% delle famiglie) o degli elettrodomestici obsoleti con modelli più efficienti (22,4%).

Sono risultati meno diffusi, invece, interventi di risparmio più onerosi, come l’installazione di regolatori d’intensità o di interruttori crepuscolari o di impianti a energia rinnovabile per la produzione di energia elettrica (impianto fotovoltaico, minieolico ecc.). Il 26,0% delle famiglie ha inoltre effettuato investimenti o interventi per ridurre la spesa di riscaldamento: il 15,6% è passato a dotazioni più efficienti mentre il 10,0% ha aumentato l’isolamento dell’abitazione. Il 16,8% delle famiglie è, infine, intervenuta per ridurre la spesa per la produzione di acqua calda e il 15,8% è passato a dotazioni più efficienti.

Sempre nel 2021, il 15,5% delle famiglie ha dichiarato di aver dovuto rinunciare a investimenti volti a ridurre le spese dell’energia elettrica perché troppo costosi, mentre il 19,8% ha rinunciato per lo stesso motivo a interventi di risparmio sui costi del riscaldamento dell’abitazione e il 18,9% sui costi di produzione dell’acqua calda.

La maggioranza delle famiglie non aveva in programma interventi futuri di efficienza (perché non ci aveva mai pensato o non li riteneva necessari) per risparmiare sull’energia elettrica (68,3% delle famiglie), per il riscaldamento dell’abitazione (56,1%) o per la produzione di acqua calda (59,9%). Al contrario, la quota di famiglie con in programma investimenti da realizzare appena possibile era pari al 9,5% per ridurre le spese per energia elettrica, al 13,6% per il riscaldamento e al 12,3% per la produzione di acqua calda.

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